La parola
profetica del Papa ha minato alla base la tragica
equazione memoria storica uguale
progetto
di vendetta.
|
|
Se ne stavano lassù, tutti e quattro, gomito a gomito, sorridenti
e benevoli: Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele vegliavano
dallalto dei cieli e dei salotti buoni sulle sorti dellItalia
unita, dimentichi di tutto ciò che li aveva divisi quando
erano vivi. Così, almeno, li dipingeva loleografica
mitologia risorgimentale. Una bella favola, naturalmente, di quelle
che gli italiani amavano sentirsi raccontare.
Il punto è: quanto a lungo è lecito credere nelle
favole? Non cè un momento in cui, riflettendo sul passato,
lo si deve ripercorrere criticamente, senza nascondersi più
nulla, e soprattutto senza cadere nella politicizzazione tipica
degli storici italiani? In ultima analisi: è lecito, ed è
giusto, sbarazzarsi una volta per tutte dei miti storici nazionali,
si chiamino Cavour o Mussolini, Risorgimento o Resistenza?
Il nodo gordiano ha un nome: revisionismo. Attaccato dalla storiografia
di sinistra (ma difeso a oltranza da Paolo Mieli), laborrito
revisionismo torna a far parlare di sé. Era già accaduto,
tanto per non andar lontano, con la storia italiana raccontata da
Montanelli, e più recentemente con quella dei Savoia narrata
da Del Boca e dellidentità civile degli italiani, rivisitata
da Umberto Cerroni. Da poco, però, è uscito un libro
scritto a più mani (Belardelli, Cafagna, Galli della Loggia
e Sabbatucci), dal titolo Miti e storia dellItalia unita,
che ha dato unindicazione precisa: è necessario sgomberare
la storiografia dalle falsificazioni dovute allegemonia della
sinistra ideologica.
Punto di domanda: tutti cattivi gli eredi di Nenni e di Togliatti?
Non si può essere apodittici fino a questo. Si tratta comunque
di abbattere le mitologie e di favorire il dibattito, senza più
nascondersi, ad esempio, «che il consenso al fascismo fu alto,
lItalia venne liberata dagli angloamericani, la Resistenza
fu un fenomeno minoritario». E vero che la storia è
scritta dai vincitori, ma questo non significa che si debbano accogliere
dogmaticamente le ricostruzioni interessate che «divinizzano
gli avvenimenti», riordinano le vicende «secondo un
percorso rettilineo, dove il bene è presente dallinizio
alla fine», o ancora «spostano nel futuro la bontà
di quanto hanno fatto, cercandone insomma una conferma a posteriori».
Ed è altrettanto vero, come sostiene Belar-delli, che «i
miti a volte svolgono una funzione importante ed è certo
che in Italia Risorgimento e Resi-stenza abbiano favorito la coesione
nazionale».
Il guaio comincia quando «questi miti durano troppo a lungo»,
irrigidendosi in ideologie totalizzanti: «Allora, invece di
far sì che tutti possano riconoscersi in una storia comune,
si comincia a chiedere ai cittadini di inchinarsi acriticamente
ai miti collettivi». Allora, i miti vanno maneggiati con circospezione,
e soprattutto non vanno utilizzati come alibi. Tanto per fare un
esempio, «il mito dellantifascismo italiano di massa,
e del popolo in armi, non poteva che prestarsi a un sentimento di
autoassoluzione collettiva». Anche se Denis Mack Smith aveva
già notato ironicamente che, dopo lorribile macello
di Piazzale Loreto, la popolazione italiana miracolosamente raddoppiò:
ai 45 milioni di fascisti della prima ora e delle ore successive
si sommarono 45 milioni di antifascisti dellultima ora. (E
appena il caso di ricordare che tre libri editi nel giro di qualche
mese hanno messo a nudo lantifascismo daccatto di quanti,
poi, di antifascismo come rendita hanno vissuto: La cultura a Torino
tra le due guerre, di Angelo dOrsi; La cultura fascista, di
Ruth Ben-Ghiat; e Il giuramento rifiutato. I docenti universitari
e il regime fascista, di Helmut Goetz, nel quale si documenta che
non giurarono solo 12 professori universitari su 1.225).
Per completezza dinformazione, riferisco che è persino
ovvio che non tutti ci stiano, a demitizzare. Secondo Gaetano Arfé,
uno dei padri della storiografia socialista, «anche i miti
fanno parte della storia, e hanno avuto la grande funzione di consolidare
la coscienza nazionale. Penso, ad esempio, allinterpretazione
di Croce: il Risorgimento come epopea sabaudo-garibaldina. E poi
dobbiamo considerare i differenti revisionismi storici [...]. Ci
fu, ad esempio, quello fascista contro lItalietta».
E un altro storico, il cattolico Giorgio Rumi, allarga il discorso:
«Le lenti deformanti sono tante: cè lo scorrere
del tempo, linteresse, la deformazione professionale, lideologia.
Certo però che se per mito si intende il progetto politico
e lascendenza intellettuale, il sentimento e il risentimento,
bisogna ammettere che tutto questo pesa». Secondo Rumi, la
verità è che «la storia moderna è ormai
passata dalletà dei notabili e dei professori a quella
dei giornalisti. Il che porta un certo svantaggio, lanarchia,
ma anche un vantaggio: il potere non può più imporre
tanto facilmente la propria egemonia, o visione del mondo».
Personalmente ringrazio, non in nome della corporazione, che include
troppi diplomati in scienze confuse, ma nel ricordo di Federico
Chabod, che mi ebbe allievo apprezzato alla Sapienza,
ahimè, non ricordo più quanti anni fa!
Tornando al nostro discorso: allora, avanti col revisionismo? Risponde
Montanelli: «Potrei parlar male del revisionismo, io che non
ho fatto altro per tutta la vita? Ai nostri storici sono mancate
due cose: la capacità di raccontare e quella di demitizzare...».
In una recente Storia dellItalia contemporanea lo storico
inglese Martin Clark ha notato che da noi «gli storici cattolici
scrivono una storia ossequiente verso la Chiesa; gli storici marxisti
scrivono la storia dei sindacati e dei partiti dei lavoratori; gli
storici liberali scrivono in lode dellItalia liberale»,
e ha attribuito la connotazione politica della storiografia al «corporativismo»
della società italiana.
Punto di partenza corretto, nelle linee generali, ma conclusioni
affrettate. La corporativizzazione, che pure esiste, ha scarsi rapporti
con lesistenza di una forte politicizzazione degli storici.
Questa, infatti, ebbe origine nell800, allinizio del
processo risorgimentale. Quando Ugo Foscolo esortava gli italiani
a studiare la storia, compiva già unoperazione politica.
Per i patrioti contemporanei era necessario costruire una tradizione
che giustificasse la richiesta dellindipendenza e dellunità,
e questo fu il compito degli storici. Alcuni svolsero anche una
diretta e intensa attività politica: ad esempio, Luigi Carlo
Farini, autore di una Storia dItalia, nel 1859-60 ebbe incarichi
di rilievo nellannessione dellEmilia e dellItalia
meridionale. Scrisse Farini: «Lanci la prima pietra colui
il quale, versandosi col consiglio e collopera nelle cose
degli Stati, può testimoniare che non parteggia».
Fino al 1860, gli storici parteggiarono soprattutto
per lItalia, ma le divergenze tra monarchici e repubblicani,
tra laici e neoguelfi, tra unitari e federalisti, tra rivoluzionari
e moderati ebbero comunque sulla loro attività una rilevante
influenza, che si accentuò dopo lunificazione. Ci furono,
come ha rilevato uno dei maggiori storici italiani, Walter Maturi,
una scuola moderata e una scuola democratica. E ci furono anche
storici reazionari, che guardavano con nostalgia ai
Borbone. Già alle origini della vita unitaria dello Stato
italiano, dunque, la storiografia fu di partito: per
essa, da un lato cera il Bene e dallaltro il Male, da
una parte cerano «gli eletti e dallaltra i reprobi,
i delinquenti, o nel più indulgente dei casi, i matti e gli
scervellati». Lo storico di partito, osserva Maturi, si scagliava
spesso contro lavversario politico «con la stessa foga
con la quale un pubblico ministero addita ai giudici un accusato
come nemico pubblico». Maturi descriveva i caratteri della
storiografia risorgimentale, ma con ogni probabilità pensava
ai colleghi contemporanei che si scontravano in battaglie scientifiche
che avevano molto spesso un forte spessore partitico. Persino durante
il fascismo le contrapposizioni non mancarono. Mentre Gioacchino
Volpe fondava la scuola fascista, era ancora in piena attività
uno dei maggiori rappresentanti della scuola storica monarchica,
Alessandro Luzio. Questi voleva lo storico simile a un buon presidente
di Corte dAssise che dirigesse imparzialmente il dibattimento,
pur senza mancare di enunciare le proprie convinzioni, per orientare
la giuria. In realtà, si comportava ora come un pubblico
accusatore, ora come un avvocato della difesa. Certo, durante il
ventennio, il dibattito era quasi cifrato. Se Luzio, dovendo scegliere
tra i Savoia e Cavour, si schierava per i primi, a difesa dello
statista piemontese scendevano in campo gli storici liberali. A
Mussolini Cavour piacque sempre poco, e celebrarlo, come faceva,
per esempio, Adolfo Omodeo, poteva avere in quegli anni, almeno
agli occhi degli iniziati, un significato antifascista. Più
apertamente polemica era la posizione di un Nello Rosselli, che
prima di cadere in Francia per mano di un sicario pagato dallOvra,
pubblicò studi su Bakunin e sul socialismo italiano.
Si capisce allora perché le polemiche storiografiche siano
divampate nel dopoguerra, in unatmosfera fortemente seguita
da dure contrapposizioni ideologiche. Questo però non chiarisce
il carattere partitico di ampi settori della storiografia italiana
e non spiega soprattutto perché, con rare eccezioni, i comunisti
abbiano preferito studiare il movimento comunista, i cattolici quello
democristiano, e così via. Per capirlo, bisogna riflettere
sulla connotazione etica assunta dai partiti italiani dopo il 1945.
Essere comunista, democristiano o liberale significava non tanto
accettare un programma politico, quanto avere una particolare concezione
della vita, in cui in qualche misura rientrava anche un certo modo
di considerare i fatti storici.
Va detto che talora le contrapposizioni ideologiche, nelle figure
ovviamente di maggior caratura, hanno registrato anche influenze
non del tutto negative. Se hanno trasformato in parecchi casi gli
storici in pubblici ministeri, hanno anche improntato la ricerca
ad una passione civile che ha dato una connotazione positiva alla
storiografia italiana. E ci sono stati anche i risultati scientifici.
I lavori dei Patrioti dell800 (Luigi Carlo Farini,
Vincenzo Cuoco, Cesare Balbo, Carlo Cattaneo), dei Fascisti
(Gioacchino Volpe, Luigi Pareti), degli Antifascisti
(Adolfo Omodeo, Luigi Salvatorelli, Gaetano Salvemini, Nello Rosselli),
dei Cattolici (Arturo Carlo Jemolo, Gabriele De Rosa,
Pietro Scoppola, Giorgio Rumi), dei Marxisti (Paolo
Spriano, Ernesto Ragionieri, Franco De Felice, Enzo Santarelli)
e dei Liberali (Renzo De Felice, Federico Chabod, Rosario
Romeo, Ernesto Galli Della Loggia) hanno rappresentato complessivamente
dei contributi importanti alla conoscenza della società italiana
della seconda metà del XX secolo.
Una corposa novità fu introdotta da Renzo De Felice, perché
il suo interesse per la biografia di Mussolini fu quasi del tutto
politicamente disinteressato: non era fascista quando cominciò
a studiarla, non lo diventò quando la scrisse. Ma largomento
bruciava, e diventò subito terreno di scontro fra destra
e sinistra. Cè stata anche battaglia su altri argomenti:
per esempio, sulla tesi del Doppio Stato (democraticamente
costruito nella facciata, sostenuto da golpismo e complottismo di
forze occulte nella realtà), sostenuta da Franco De Felice
e Nicola Tranfaglia, e respinta come mitologia (e falsificazione
della storia) da Galli Della Loggia e da Giuseppe Vacca. E cè
stata una rovente discussione sulla storia del comunismo italiano
(esplosa dopo la pubblicazione del Libro nero, che è stato
un best seller per parecchio tempo), non solo su quel che riguarda
Togliatti, difeso dal suo biografo Aldo Agosti e attaccato da altri,
come Elena Aga Rossi, ma anche per quel che concerne Gramsci, conteso
da più parti, e da più parti ridimensionato.
Revisionista chi?
Revisionista è colui che, sulla base di nuovi documenti e
di nuovi punti di vista, mette in discussione una versione del passato
discutibile ma seria. «Dunque, io non sono un revisionista»:
parola di Sergio Romano, saggista, ex ambasciatore, con laggravante
di essere giornalista che, interessandosi di storia, non è
gradito allaccademico Rumi.
Bene. Revisionista, in fondo, è chi mette a nudo i conformisti.
Ma lui, Romano, fa di più: mette alla gogna i bugiardi: «In
Italia vi è una larga area dellintellighenzia che si
attende qualcosa da chi esercita il potere: un posto, un riconoscimento,
una carriera. Negli altri Paesi non è così. Negli
Stati Uniti, in Gran Bretagna, è molto più grande
il numero di persone, nel mondo accademico e giornalistico, che
non dipendono dal potere politico. La stessa Francia, che pure tanto
ci somiglia, ha mantenuto un criterio di selezione meritocratica:
chi ha frequentato le Grandi Scuole ha messo in casa
un capitale di autorità e prestigio da cui nessun capo di
Stato o di governo può prescindere». In Italia, invece,
gli esponenti dellintellighenzia hanno fatto riferimento soprattutto
al Partito comunista e alla sinistra, e nessuno di costoro può
sopportare di essere sconfessato nella propria storia passata: «La
loro sensibilità è particolarmente acuta non tanto
per quel che riguarda lo stalinismo, sul quale una revisione è
stata fatta, bensì quando è in gioco il modo in cui
è stata raccontata la storia dei dieci anni che vanno dal
1936 al 1945». Una storia in cui sinistra e Pci hanno dato
prova di straordinaria coerenza democratica e antifascista: raccontata
così, questa storia è una bugia. «Non è
vero, infatti, che in quei dieci anni la storia dei comunisti sia
stata coerentemente democratica e antifascista. Il loro punto di
riferimento era lUrss, e lUrss si comportava, legittimamente,
da grande potenza, con molta spregiudicatezza, cambiando campo quando
riteneva di doverlo fare. Se allinizio della guerra di Spagna
il fronte era fascismo contro antifascismo, dal 1937 in poi i comunisti
presero il controllo della situazione, eliminando i socialisti,
gli anarchici, i sindacalisti, oltre ai preti e alle suore: si mossero
in una prospettiva che non aveva più nulla di democratico.
A partire da quel momento la guerra non fu più tra fascismo
e democrazia, ma tra due versioni ugualmente totalitarie».
Già nellagosto del 39 lUrss si era messa
daccordo con la Germania per la spartizione dellEuropa
centro-orientale. E ovvio chiedersi che cosa sarebbe accaduto
se, oltre ad impossessarsi di quella parte del Vecchio Continente,
in quel momento lUrss avesse controllato anche la Spagna.
La Storia avrebbe sospeso il suo corso, se lintera Europa
fosse diventata ununica Repubblica Popolare, un
deserto bulgaro della politica, delleconomia, delle scienze
e persino dellarte? Eppure, nella mitologia ideologica italiana,
per decenni quel deserto ci è stato rifilato come il paradiso
sul quale vegliava la Grande Madre Urss, condizionando
levoluzione politico-sociale italiana col blocco Dc-Pci.
Non solo. Ancora oggi si stenta a leggere in chiaro, e con una visione
oggettiva, che cosa fu lo schema alleato della storia,
vale a dire la lettura del mondo che diede luogo allAlleanza
tra Stati Uniti e Urss nella seconda guerra mondiale. Mezza Europa,
come abbiamo appena detto, fu consegnata a Stalin in funzione di
quella grande alleanza, di un connubio che travolse lintero
continente. Lo si vide nel momento in cui Francia e Inghilterra
furono obbligate a liquidare il proprio impero coloniale, considerato
come imperdonabile colpa dellEuropa, nel momento stesso in
cui il megaimpero sovietico, coloniale anchesso, era presentato
come bandiera della lotta al colonialismo occidentale.
Allo stesso modo, ha prodotto storia non veritiera lalleanza
di una parte dellebraismo con una parte della sinistra. Io
non so se questo 2000 rappresenti la fine di un secolo-millennio
o linizio di un altro secolo-millennio. Lascio questi calcoli
ai sofistici, perché ritengo il tempo una convenzione tutta
umana. Ma credo che, se unimmagine cè come linea
di displuvio fra due epoche, come linea polare delluna e linea
aurorale dellaltra, è quella di Giovanni Paolo II che
consegna a quello che noi chiamiamo il Muro del Pianto e che gli
israeliani chiamano invece il Muro Occidentale il suo messaggio
del perdono. Perdono per chi?
Si è giocato parecchio sullequivoco. Si è sostenuto,
infatti, che la Cristianità «ha chiesto il perdono»,
e questo è vero, ma non è tutta la verità.
Perché per bocca di Woityla la Cristianità ha simultaneamente
«offerto il perdono». La parola profetica del Papa ha
minato alla base la tragica equazione memoria storica uguale progetto
di vendetta. Quella parte dellebraismo aveva deciso di raccontare
il genocidio nazista come un avvenimento sottratto alle leggi della
storia, affinché non perdesse il suo valore emblematico e
risultasse lespressione concreta di unostilità
di fondo della società cristiana. Questa intenzione ha coinciso
con la tendenza di una parte della sinistra di fare del nazifascismo
una categoria storica permanente. Ma ora è più che
mai inaccettabile che il mondo cristiano debba quotidianamente discolparsi
dallaccusa di antisemitismo, così come è assurdo
che le democrazie liberali debbano quotidianamente dimostrare di
avere espulso il virus totalitario che avrebbero nel proprio Dna.
Qualunque cosa scrivano le anime belle dellormai arcaico mondo
radical-chic, larcipelago lager è altrettanto emblematico
dellarcipelago gulag. Ne hanno preso coscienza in Germania
e, sebbene a decenni di distanza, in Russia. E non è un caso
se ora gli Stati Uniti non scelgono come punto di riferimento in
Europa gli antichi alleati dei conflitti mondiali del Novecento,
ma proprio la Germania e la Russia. Non diceva Marx che i fatti
hanno la testa dura?
Intanto, mentre una parte degli storici nostrani continua a battersi
sul confine tra storia e politica, unaltra parte, via via
più consistente, formata specialmente da giovani, sta abbandonando
questo terreno per spostarsi su quello delle scienze sociali, seguendo
lesempio dei medievisti e dei modernisti. Labbandono
della storia politica (partitica) per una più vasta storia
della società in tutti i suoi aspetti (economia, demografia,
stratificazioni e comportamenti sociali, mentalità) fa sperare
che tra non molto le passioni civili non costituiranno più
lunica, fondamentale motivazione della ricerca. Non so dire
se sia un bene o un male, ma è quantomeno una scelta del
tutto comprensibile, dato il mediocre livello dellattuale
vita politica e dellodierna cultura italiana.
|