Il mito di Garibaldi nacque
e si consolidò
allestero,
prima ancora che nel nostro Paese.
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I Mille imbarcati a Quarto furono 1.089: tanti i nomi pubblicati
sulla Gazzetta Ufficiale del Regno dItalia il
12 novembre 1878. Ma nel Prospetto II, dopo lelenco
in ordine alfabetico, si precisa che si trattava di 1.044 italiani,
33 stranieri e 12 «dincerta origine». Solo a 627
fu assegnata una pensione (che andava da 140 a l.000 lire dellepoca),
dal momento che 355 erano già morti, che ad altri non competeva
e che tre neanche la chiesero.
Ma quanti diventarono i Mille strada facendo? Nel primo volume sulla
Storia postale italiana, dagli Stati preunitari al Regno dItalia
(1859-1862), si legge che quando Garibaldi giunse a Palermo, il
26 maggio, era già al comando di «tremila volontari».
I1 18 giugno, a Castellammare del Golfo, sbarcò una1tra
spedizione di «oltre tremila volontari in aiuto a Garibaldi»,
e il 5 luglio, a Palermo, fu la volta della spedizione Cosenz con
ulteriori duemila volontari. Il 10 agosto, lesercito garibaldino
era dunque composto da oltre 23 mila uomini: circa 6.000 scesi dal
Nord, e gli altri, quasi tutti siciliani, unitisi al Nizzardo dopo
le sue prime vittorie. E quando, i1 19 agosto, Garibaldi sbarcò
sulle coste calabresi, a Melito Porto Salvo, guidava 3.700 camicie
rosse, che diventarono 21 mila il primo ottobre, quando inizia la
battaglia decisiva contro i borbonici, sul Volturno.
Le polemiche sui temi della liberazione o della conquista
cominciarono subito. Il 27 maggio 1860 (venti giorni dopo lo sbarco
a Marsala, e ben prima dellincontro di Teano), la nuova autorità
postale insediata a Palermo da Garibaldi mise fuori corso i francobolli
con leffigie di Ferdinando II e incaricò Giovanni Ficarotta
di incidere i nuovi valori con lo stemma dei Savoia e leffigie
di Vittorio Emanuele II, indispettendo gli isolani. E continuano,
quelle polemiche, ai nostri giorni: la testata Nazione napoletana-Due
Sicilie (presente anche su Internet) nel numero 15 del settembre
98 (138° anno dalloccupazione, è
precisato) ha pubblicato un saggio sulle equazioni della storia,
dal titolo: Maggio 1860- Luglio 1943: due invasioni, uguale tecnica.
Lo sbarco americano in Sicilia sarebbe avvenuto con gli stessi trucchi
di Garibaldi, avventuriero dei Due Mondi, (intanto Garibaldi
poté sbarcare nellisola, in quanto mafia e massoneria
reclutarono alcune migliaia di picciotti che aprirono
le ostilità militari contro il grosso dellesercito
borbonico presente in Sicilia, andando incontro a un massacro: episodio
ignorato dalla storia ufficiale, in nome della maggior gloria di
Garibaldi).
Il titolo del libro di Aldous Huxley è emblematico: LEminenza
grigia. Eminenze grigie sono da sempre figure da collocare allinterno
di una galleria degli invisibili e tuttavia ben presenti
sulla ribalta del potere. Si tratta di personaggi in cerca di mimetizzazione,
sebbene segnino la storia di un Paese. Valga per tutti, nel nostro
caso, la vicenda dellarmatore genovese Raffaello Rubattino.
Nei libri di testo delle nostre scuole, Rubattino nato nel
l809 e scomparso nel 1881 merita un giusto cenno di ricordo
in quanto proprietario delle due navi (il Piemonte e
il Lombardo, le più moderne e veloci della sua
flotta) con cui Garibaldi e i suoi l.089 lasciarono Quarto per dirigersi
verso il Regno delle Due Sicilie. I lettori più sveg1i
nel leggere di questarmatore che dà le navi ma finge
di non darle, pronto a descriversi come derubato da Garibaldi se
le cose si mettessero male, ma che, nello stesso tempo, dei garibaldini
e soprattutto del Cavour è spalla e suggeritore, più
che complice capiscono di trovarsi di fronte ad un uomo dalle
molte sfaccettature. E non sbagliano. Perché Rubattino è
personaggio che, pur stando dietro gli eventi, sa (con pazienza
infinita e con intelligenza preveggente) preparare il loro accadere
e accompagnare il loro svolgersi in misura pari, e a volte superiore,
agli stessi uomini dazione che vi prendono parte.
La sua natura più costante è, forse, proprio quella
di essere, dietro un velo di riservatezza, uomo che sa collegare.
Non soltanto con le sue navi e con le sue vetture postali, porti
e città, ma soprattutto ambienti diversissimi saldati in
una rete di relazioni di cui larmatore è lunico
vero regista.
Appena trentenne, è già impegnato nel gravoso progetto
di allestire una flotta di vapori per il collegamento dei porti
del Mediterraneo e ha la cura di organizzare «limpresa
della vettura corriera tra Milano e Genova in corrispondenza con
i battelli a vapore». E questo uno dei principali tasselli
del comp1esso réseau che nel giro di qualche anno Rubattino
stende sulla penisola, utilizzandolo sia per patriottici fini che
per i suoi concreti progetti di avveduto uomo daffari.
E un traffico che, sotto lapparenza delle normali attività,
si svolge in due direzioni: dallestero arrivano a Milano,
a Torino e in altre località gli stampati della propaganda
e le istruzioni degli agitatori anti-austriaci, mentre i transfughi
sottratti alle polizie della Santa Alleanza raggiungono, via mare,
lidi più sicuri. Di questi patrioti fuggitivi, ai quali offre
ospitalità ed espatrio nei porti del Mediterraneo, Rubattino
farà, anno dopo anno, i suoi fidatissimi agenti sulle coste
francesi, tunisine, e soprattutto in Egitto. Di uno di questi, Antonio
Figari, farà addirittura un determinante agente di influenza
che si conquista la fiducia di Mohammed Ali, avendo quindi in mano
fino allavvento di Ismail Pascià e allapertura
del Canale di Suez buona parte della vita pubblica egiziana.
Erano anni in cui quella italiana era la lingua diplomatica dellEgitto,
lamministrazione delle poste cairote era creata per iniziativa
italiana, era formata da funzionari italiani, come agli italiani
erano affidati i servizi sanitari e lamministrazione della
sicurezza pubblica. E italiano era lunico vice-ammiraglio
europeo della marina egiziana... E buona parte di questo reticolo
faceva capo a Genova, a Raffaele Rubattino: un italiano che, eminenza
grigia di ministri e condottieri, nel nome dellobbedienza
alla massoneria inglese che era determinata ad aiutare il massone
Garibaldi, amava stare dietro le quinte.
Senza Rubattino, dunque, e senza la protezione della massoneria
inglese, ma soprattutto senza linterposizione della flotta
britannica, che consentì la traversata del Tirreno senza
che le due navi rubattiniane fossero intercettate dalla squadra
navale napoletana, Garibaldi non sarebbe mai giunto in vista della
Sicilia, e mai sarebbe sbarcato senza sparare una fucilata a Marsala.
Larmatore genovese fu, senza dubbio, il primo tessitore dellimpresa,
se di tessitura poi si può parlare, a proposito dellaltro
Padre della Patria, Cavour, oggetto di studi quantaltri
mai, forse, da parte degli storici, nellultimo mezzo secolo.
Il vero Garibaldi era lui, Cavour, sostiene una tesi che finisce
per capovolgere il cliché che dello statista piemontese abbiamo
avuto a lungo. E non è per caso che si e giunti a questa
conclusione. Di fronte ai due filoni critici nei confronti di Cavour,
quello della sinistra democratico-gramsciana e quello di ispirazione
cattolica, il liberale Rosario Romeo, nelle sue tremila pagine,
frutto di ventanni di lavoro, rivalutava lo statista come
grande modernizzatore, fautore di un progresso tecnico e civile
fondato su una grande apertura allEuropa, sullasse Ginevra-Parigi-Bruxelles-Londra.
Allievo di Romeo, ma con altre ambizioni, Luciano Cafagna inquadra
il suo Cavour nellidentica cornice interpretativa, ma ne accentua
alcuni caratteri che modificano limmagine scolastica, appunto,
del tessitore tutto ragione e calcolo, prudenza e realismo,
cinico sfruttatore di circostanze imprevedibili.
Cavour il giocatore, si potrebbe compendiare la sua ricostruzione,
con larbitrarietà di una sintesi che sicuramente nuoce
alla ricchezza del lavoro, ma che forse mette in luce laspetto
più insolito di una figura che tutti credevano di conoscere
bene. Ora si esalta la passione dello statista, e se
ne contesta linterpretazione quasi unanime della storiografia
che assimila il principio del juste milieu cavouriano. Ne emerge
una sorta di borghese ottimista, in contrapposizione allaltro
grande liberale ottocentesco, Alexis de Tocqueville, ragionevolmente
considerato un «pessimista aristocratico». Cavour dimostra
listinto del giocatore dazzardo già quando, sul
giornale Il Risorgimento, di fronte alle cinque giornate milanesi,
si lascia trascinare, fino a scrivere che per la monarchia sabauda
era suonata «lora suprema», espressione che ritroveremo
addirittura il 10 giugno 1940 in Mussolini, quando da Palazzo Venezia
farà la dichiarazione di guerra.
La cronaca della grande partita va fino alla sua epica
conclusione: «Dai colloqui a Plombières con Napoleone
III (1856) allincontro di Teano fra Vittorio Emanuele e Garibaldi
(1860), per Cavour fu come unininterrotta seduta al tavolo
da gioco, non priva di vicende alterne e colpi di scena, ordini
e contrordini, giocatori che entrano e giocatori che escono, banchi
svuotati e rimpinguati. Alla fine della quale, però, il nostro
giocatore aveva praticamente portato via pressoché tutto
quel che cera, non diremo nelle tasche dei giocatori, ma insomma,
sul tavolo». Forse per questo nacque, come ebbe a dire Massimo
DAzeglio, unItalia senza italiani. Lalchimia politica,
intesa come mediazione creativa (ce lo ha insegnato proprio Cavour),
riesce sempre a garantire «una somma maggiore dellinsieme
degli addendi».
Il mito di Garibaldi nacque e si consolidò allestero,
prima ancora che nel nostro Paese, quando il Nizzardo era ancora
giovane, e già ricco di va1ori, quali lumanitarismo,
la solidarietà con i popoli in lotta per lindipendenza,
laffermazione dei processi di libertà in tutti i campi,
compreso quello religioso.
Arruolatosi alla fine del 1833, cominciò subito a complottare
contro i Savoia, e pochi mesi dopo, esule in Francia, era condannato
alla pena di morte ignominiosa. Il 1835 lo vede in Sudamerica,
tra gli armati della provincia del Rio Grande do Sul che voleva
lindipendenza dal Brasile. Poi si sposta in Uruguay, e da
qui prende le armi contro lArgentina. Ritorna a Nizza nel
48 per prendere parte alle prime guerre di indipendenza. Ma
la sua fama lo ha preceduto: Alexandre Dumas prende lo spunto dalle
sue imprese per celebrare un redivivo moschettiere;
lo esaltano Victor Hugo e George Sand; e in generale lintero
Romanticismo vede in lui lincarnazione dei suoi sogni: marinaio
ribelle, condannato a morte dal suo re, esule da un continente allaltro
per aiutare i popoli oppressi a conquistare la libertà, è
il prototipo di un ideale trasformato in stile di vita.
Le guerre ulteriori fortificheranno in Italia questo mito, che assumerà
tuttavia caratteristiche ambivalenti, e in qualche caso anche ambigue,
o che comunque hanno ingenerato ambiguità anche a discapito
delle intenzioni di Garibaldi. Due versi degli Stornelli popolari
di Francesco DallOngaro esprimono magistralmente lambivalenza
delleroe dei Due Mondi: «E nato dun demonio
e duna Santa / in un momento che han sentito amore».
E oggi? Oggi, più che di ambivalenza fra aspirazioni libertarie
e repubblicane e presa datto duna realtà monarchica
e moderata (lincontro di Teano e il celeberrimo Obbedisco
sono il materiale emergente per unoleografia che non trascura
tuttavia lisolamento/esilio nellisola di Caprera) si
potrebbe parlare di Realpolitik: senza il Piemonte savoiardo e le
sue ambizioni espansionistiche territoriali, e senza Cavour tessitore
o giocatore dazzardo, non sarebbe stato possibile costruire
lunità dItalia, e i conti con Vittorio Emanuele
II non potevano essere regolati diversamente.
Ma a Garibaldi continuano a collegarsi i repubblicani, i libertari,
coloro che credono agli ideali sovranazionali e internazionalisti,
e nello stesso tempo i nazionalisti e gli interventisti, e persino
i mistici della dittatura. Neppure londata della contestazione
del 1968, che travolse nellinteresse dei giovani uomini e
ideali del Risorgimento, riuscì a coinvolgere la sua figura.
Il mito del Nizzardo sopravvisse anche nella generazione dei contestatori
in virtù di una dimensione populista e retorica, per quel
tanto di Che Guevara che era (o si intravedeva) in lui, espressione
di una protesta insieme libertaria e rivoluzionaria, ai limiti dellanarchismo
e della disobbedienza civile. Se si vuole, è lo stesso mito
che scamperà ai tentativi, tutti falliti, di appropriazione
indebita, operati con la Resistenza e col Fronte Popolare.
In ultima analisi: è una leggenda che trova valide radici
in certi tratti straordinari della natura del personaggio, come
il genuino eroismo talora spinto allassurdo; o la determinazione
con la quale si batte per lintera vita; la vocazione universale
per la difesa dei popoli oppressi, in qualsiasi continente; laltruismo,
il disinteresse personale, lonestà, la generosità;
infine, il disarmante candore, la spontaneità di un carattere
estraneo ai compromessi, remoto dalle regole della ragion di Stato.
E, per contrappasso, le sue confuse idee politiche, spesso sconfinanti
nella facile demagogia; la falsa (e comoda) affermazione che fu
il braccio, mentre Mazzini fu la mente, nel processo risorgimentale:
in realtà, egli volle pensare con la sua testa, facendo spesso
dannare Mazzini, che mente e programmi politici li aveva davvero.
Si pensi poi alla profonda sfiducia che nutriva nei confronti dellazione
parlamentare e governativa, e le simpatie che aveva per una dittatura
democratica che consentisse a lui dittatore di «fare
il bene e presto». E che dire del feroce anticlericalismo,
radicale e retorico, provocato dallidea fissa che i preti
fossero i principali corruttori del popolo italiano e che il Papato
fosse la vera rovina delle genti?
Uno spirito travagliato da impulsi e passioni, il suo, e così
povero di riflessione e di maturazione: tanto da smarrire, talvolta,
il senso della realtà dei fatti e della portata dei suoi
atteggiamenti. Aderì alla massoneria e ne fu Gran Maestro,
credendola strumento di coesione delle correnti democratiche, per
poi ritirarsi deluso dalle laceranti divisioni interne. Si entusiasmò
per lesperienza della Comune di Parigi, comprendendo soltanto
più tardi quanto fosse lontano dalla democrazia lo spettro
del comunismo...
Mito, 1eggenda e affetti hanno tuttavia armonizzato nel sentimento
popolare le tante contraddizioni di Garibaldi: oscillante, come
qualcuno ha scritto, fra George Washington e Buffalo Bill.
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