Settembre 2000

ITINERARI SALENTINI

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Otranto nella storia
e nel turismo
Silvana Maria Marrocco
 
 

 

 

 

 

Questa crisi
strutturale trasmette alla città una serie di sfide e dilemmi etici capaci
di suscitare
sentimenti estremi di solidarietà
e di ostilità.

 

Nel corso dei secoli, con il mutare dei tempi e dei dominatori, cambiarono anche le desinenze del suo nome: Hydrus, Hydron, Hydronton, Hidrenton, i latini lo tradussero poi in Hydruntum e inoltre Otrànto, Otràntu, Utràntu, Utrànto, e infine Otranto, rappresenta la sintesi della civiltà salentina antica e sempre nuova, è una voce di richiamo per la sua sacralità, per la sua grandezza storica, artistica e turistica. Le sue origini sono remotissime, tra i suoi fondatori si ricordano i nomi di Minosse, Dedalo, Ercole, Japigio, Lizio Idomeneo, i Candioti, e anche l’Enea virgiliano, profugo dalla patria distrutta, toccò questa terra bella e ridente. Otranto come molte città del Salento, della Calabria e della Sicilia fece parte della Magna Grecia e fu tra le più cospicue sedi in cui fiorì il commercio con il Levante.
Passata poi ai Romani, abili conquistatori, questa città salì a nuova importanza, divenendo luogo di imbarco per le gloriose legioni romane e dei latini diretti in Grecia, Apollonia, Durazzo e Costantinopoli, e venne arricchita di privilegi, statue, strade e fontane. Sotto la dominazione dell’Impero Romano, Otranto continuò a tenere la sua zecca, coniò in bronzo l’asse, il semisse, il triente, il quadrante, il sestante, l’oncia, e in argento i quinari. Aiutati dalla secolare tradizione, che si perpetua viva nel tempo, molti scrittori locali e stranieri ritengono come verità legittimamente dimostrata il fatto della venuta di San Pietro in Otranto. A tal riguardo, Arditi afferma: «Ma quel che avvenne di più memorando e portentoso sotto l’impero dei Romani si fu l’approdo di S. Pietro proveniente d’Antiochia nell’anno 43 dell’era cristiana. Come giunse, il Santo Apostolo predicò la legge del Vangelo e vi ebbe dedicata una chiesina e vuolsi stata la prima Cattedrale». Il Cantù soggiunge che San Pietro venendo d’Antiochia approdò a Brindisi, quindi ad Otranto e a Taranto lasciò vescovo Amasiano. Anche Scherillo, Albino, Ceccaroni, Ferrari, Morelli, il cardinale Cesare Baronio e i nostri arcivescovi Morra, Orsi, De Aste, nelle relazioni delle visite pastorali, parlano dello storico avvenimento.
Cadde l’Impero dei Cesari, e Otranto nel 544 fu assediata dai Goti, guidati dal re Totila, la città resistette e tenne fermo finché nel 546 vennero ad aiutarla i capitani greci Isacco e Giovanni. Sfrattati i Goti dall’Italia per opera di Belisario e Narsete, nel 552 Otranto rimase in mano ai Bizantini, divenendo la scala principale del commercio per l’Oriente e sede del governo bizantino. L’Imperatore Giustiniano la elevò a capoluogo della regione e divenne residenza dei governatori civili e militari. Il De Ferrariis sostiene che Otranto per opera dei greci augusti «fu anticamente la rocca; quantunque l’antica città non fosse compresa in troppo ampio circuito. Imperocché io credo che non eccedesse lo spazio di undici stadii da quel che può congetturarsi prima della guerra dei Turchi; ora è tutta uguagliata al suolo. La città antica era munitissima; il muro, com’è fama, era congiunto a cento torri, di alcune mi si mostravano le vestigia, quand’era fanciullo, e l’ultima fino ai nostri tempi serbò il nome di Centenaria». Nel 567 Otranto respinse Alboino e i Longobardi che l’assalirono violentemente. Nell’846 fu assediata barbaramente dai Saraceni guidati dal condottiero Saba, «che dopo averla spogliata di largo bottino la distrussero demolendo mura e castello». Nell’880 ancorò nel suo porto l’imponente flotta dell’imperatore Basilio il Macedone, venuta a scacciare quei barbari, a riconquistare e a restaurare i luoghi sottratti al dominio greco. Nel 1055, questa città fu battuta e presa dai Normanni per opera di Roberto il Guiscardo. I Bizantini però nel 1067 rioccuparono Otranto, Brindisi e Taranto scatenando l’ira del Guiscardo, che personalmente marciò alla volta della città, dopo aver occupato la piazzaforte di Obbiano (forse l’attuale Uggiano la Chiesa). Otranto cadde definitivamente nelle mani dei Normanni nel 1069, e così dopo cinque secoli si concluse la dominazione bizantina nell’Italia Meridionale.
Ma la Terra d’Otranto continuò ancora a lungo a sentire l’influsso orientale: nella lingua, nella vita quotidiana, nella cultura, nei costumi, nell’arte, nella liturgia. Roberto il Guiscardo dopo la conquista intuì subito l’importanza strategica e politica che Otranto poteva avere ai fini delle sue imprese e mire espansionistiche, perciò si preoccupò di fortificarla, munendola di altre bastite e riattandone il castello. Proprio in questa città, nel 1080-81, egli preparò la sua spedizione in Oriente contro l’Imperatore Alessio I Comneno e da questo porto salpò con la sua flotta. Successivamente il Guiscardo, a Roma, lottò in aiuto del Papa contro Enrico IV e nel 1085 ritornò ad Otranto, dove si imbarcò per la Grecia, ma la morte lo colse il 17 luglio di quello stesso anno a Cefalonia e il suo corpo fu trasportato ad Otranto via mare. Qui i fedeli del duca si resero conto che il cadavere era in stato avanzato di putrefazione e decisero di lasciare il cuore e i visceri del defunto in questa città e il resto del corpo imbalsamato fu traslato a Venosa. Il 1° agosto 1088, questa città vide consacrare la sua cattedrale da Roffredo, arcivescovo di Benevento, assistito dall’arcivescovo di Otranto Guglielmo e dagli arcivescovi Urso di Bari, Alberto di Taranto e Godino di Brindisi. La consacrazione fu resa più solenne dalla presenza di Ruggero I, duca di Sicilia, fratello del Guiscardo e di Ruggero Borsa, figlio dello stesso Guiscardo. Questo è testimoniato da un documento che si trova nell’Archivio Vaticano, i documenti che erano conservati nella città furono distrutti nel 1480 dai Turchi.
Alla costruzione della cattedrale, probabilmente avvenuta all’inizio degli anni 80, dopo il Mille, sotto il pontificato del Papa Gregorio VII, concorse certamente la generosità di Roberto, che ne vide gli inizi, e dei suoi figli Ruggero e Boemondo. Otranto, obiettivo conteso dai dominatori più accaniti, anello di congiunzione tra Oriente e Occidente, segna nell’arte della superba cattedrale la romanità perenne. La snellezza delle linee architettoniche, la singolare struttura degli archi poggiati su granitiche colonne, la disposizione delle sue simmetriche navate, la cripta ricca di svariate colonne e capitelli, sintesi e somma di diversi elementi stilistici: dal greco, al bizantino, al normanno, attuati in un’espressione di aspirazioni ideologiche e spirituali, orientati a far sentire la globalità dell’uomo.
Qualcuno ha detto che l’arte è lo specchio fedele di un’epoca e di una civiltà e se questo è vero si può affermare che la storia di Otranto è in gran parte nella sua cattedrale. E poi, quel mosaico pavimentale, eseguito dal monaco-artista Pantaleone è un libro di fede, di arte, di vita, un poema musivo, specchio del mondo. L’ingegno di Pantaleone affonda le sue radici nei tre alberi allegorici delle navate che rappresentano la storia del mondo e dell’umanità, e vede nell’albero della vita con il suo bene e con il suo male le convergenze e le divergenze dell’umano operare e pensare. Secondo alcuni storici, mentre Otranto ospitava nella roccaforte alcuni cavalieri cristiani, che si preparavano a salpare alla volta di Valona, per ricongiungersi poi agli altri fedeli della prima crociata, nell’aprile del 1097, i monaci basiliani sbarcavano dall’Oriente per fondare nei dintorni della città l’Abbazia di S. Nicola di Càsole; secondo questa ipotesi il monastero sarebbe sorto per opera dei Normanni, intorno al 1099. Il Rodotà, i Parlangèli, il Devreesse e altri storici dicono che probabilmente il monastero non fu fondato in epoca normanna, nel 1099, ma solo restaurato e riaperto con l’aiuto di Boemondo. Anche se le notizie storiche a tal riguardo sono discordanti, un fatto è certo: San Nicola di Càsole fu il vero ponte di unione e di transito tra la cultura orientale e quella latina, centro del monachesimo italo-greco, possedeva una grande biblioteca con manoscritti di inestimabile valore, crocevia e sintesi di culture, di fedi e colori diversi, un sapere universale. Gli avvenimenti del 1480 non distrussero completamente l’abbazia, il suo graduale tramonto è testimoniato dalle relazioni delle visite pastorali degli arcivescovi Pietro Antonio de Capua, nella cui relazione del 1537-40 si attesta l’esistenza dell’abate e di un certo numero di monaci, e dall’arcivescovo Lucio Morra, il quale nella sua relazione del 1607 afferma che i monaci avevano già abbandonato l’abbazia, la chiesa era intatta, ma alcune aule e la casa monastica erano diroccate, oggi restano solo mura dirupate.
Tenendo presente i rapporti documentabili intercorsi tra Papa Gregorio Magno e le diocesi salentine, possiamo notare che già alla fine del VI secolo questa città era sede vescovile, con un suo vescovo, un suo clero e un suo popolo. Purtroppo, la data precisa non è documentabile per l’incursione dei barbari e specialmente per l’incendio dell’archivio arcivescovile avvenuto per opera dei Turchi nel 1480. Tuttavia spigolando tra le carte e i documenti che alcuni studiosi hanno cercato di raccogliere, possiamo dire che Otranto sin dal 431 ebbe come primo vescovo un tal Benedetto, amico di San Paolino da Nola. In quanto all’epoca della sua erezione ad arcivescovado, molti dei nostri cronisti affermano che ciò sia avvenuto nel 770 sotto il vescovo Marco, imperando Leone VI Isaurico. Otranto fu elevata a sede metropolitica nel 968, sotto l’imperatore Niceforo Foca, per opera del patriarca di Costantinopoli Poliuto, con facoltà di nominare e consacrare oltre i vescovi viciniori anche quelli di Acerenza, Tricarico, Gravina, Matera e Tursi.
Alla fine del XII secolo, Otranto seguiva la sorte di tutte le città del regno di Sicilia, sopportando poco gli ultimi re normanni, e avvertiva già il fermento che preannunziava una nuova epoca. Proprio in quel periodo il suo porto svolse un importante traffico con i mercanti pugliesi, veneziani, ebrei, greci, armeni, slavi, i quali attraverso Otranto comunicavano con le repubbliche marinare e Costantinopoli. Installata in queste province nel 1194 la dinastia sveva da Enrico VI, Otranto ospitò a lungo Federico II con la consorte Iolanda di Brienne, giunti in questa città nell’agosto del 1227. Riccardo di San Germano afferma: «Nel mese di agosto l’Imperatore, con l’Imperatrice sua consorte, venne in Otranto, dove, lasciatala, passò in Brindisi dove era radunato l’esercito dei Crocessegnati».
Un’epidemia costrinse l’imperatore a desistere e il 15 agosto 1227 fece imbarcare le truppe, mentre egli raggiungeva la sposa in Otranto per un breve saluto, accompagnato da Langravio d’Assia, marito di S. Elisabetta, regina d’Ungheria. Giunta la flotta in questa città, Langravio morì l’11 settembre dello stesso anno, Federico si ammalò rimandando il viaggio in Palestina al prossimo anno. Riavutosi appena dalla malattia, l’imperatore fece ritorno a Brindisi, dove partì alla testa di una buona flotta; dopo tre giorni di navigazione, accorgendosi di non poter proseguire, tornò ad Otranto, dove lo raggiunse la scomunica del Papa Gregorio IX il 29 settembre. Il pontefice, desideroso di vedere attuato il suo disegno di liberazione della Terra Santa e irritato dai continui rinvii di Federico II, aggiunse alla pena spirituale anche la minaccia di privazione dell’impero e dello scioglimento dei sudditi dal giuramento di fedeltà, se egli non fosse partito sollecitamente con i Crocessegnati che erano sulla flotta ancorata a Brindisi e ad Otranto. Nel giugno del 1228 Federico II sciolse le vele per Soria, dove per tre anni riportò vittorie e trionfi, e Otranto ricorda con orgoglio la quinta crociata, che riunita nel suo porto partì benedetta dall’arcivescovo Tancredi degli Anibaldi, affezionato a Federico e dal quale aveva ottenuto grazie e amplissimi privilegi per la sua chiesa: questo è confermato dal Diploma di Federico II a favore della chiesa otrantina del 9 giugno 1219. Il Maggiulli dice che «Otranto doveva essere tale città che i dominatori del mondo non poterono non tenerla d’occhio e fortificarla, tanto più che era ritenuta da essi come il più sicuro e vicino tragitto per l’Oriente».
Tuttavia il vero autore delle grandi e solide fortificazioni di Otranto fu Federico II, il quale comprendendo l’importanza topografica e strategica nel 1228 fece riattare la cinta a torri e cortine con fosso e barbacani e costruire un sontuoso castello. Questa opinione è fondata sulla celebre Bolla di Alessandro IV, datata da Anagni il 5 settembre l256. L’imperatore nel 1230 si preoccupò anche di restaurare la Torre del Serpe, diroccata a causa di un terremoto avvenuto nel 1116.

  La sua campagna pare in primavera
Un giardino dell’Eden,
Dal mare la sua riva è un tesoro che scorre.
Il suo nome è Otranto.
Biasimare non si potrebbe chi l’abita.
Se vuoi trascorrere vita serena,
Vai ad abitare là.

Così l’ha descritta un nemico, nel XVI secolo, Ibn Kemal, autore delle Storie della Casa di Osman, cronaca ottomana, dove nel libro VII è narrata (chiaramente in chiave turca) la conquista di Otranto del 1480, avvenuta per opera dei Turchi e la riconquista del 1481 avvenuta per opera delle truppe di Alfonso d’Aragona, duca di Calabria. Epoca in cui gli Otrantini scrissero con il proprio sangue una pagina di storia, sventando così il disegno di Maometto II di conquistare l’Italia meridionale.
Anche oggi arrivano sulle nostre coste, senza rulli di tamburi. Seguono altre rotte, affamati, disperati, vittime della povertà e della violenza. Sbarcano da gommoni o da veloci motoscafi, un’umanità dolente, un’umanità carica della speranza di nuove libertà, di disagi e problemi, portatrice di disagi e problemi. Giovanni Paolo II, sul Colle dei Martiri il 5 ottobre del 1980, ha detto: «Ma una cosa è certa, il canale d’Otranto piuttosto che separare, unisce». Otranto, cerniera, porta tra Oriente e Occidente, città simbolo di questa crisi planetaria che vede gruppi consistenti di persone costrette a lasciare il proprio Paese.
Questa crisi strutturale trasmette alla città una serie di sfide e dilemmi etici capaci di suscitare sentimenti estremi di solidarietà e di ostilità. In questo scorcio di fine millennio, l’immigrazione ancora una volta appare per Otranto l’occasione per provare la sua vocazione universale. Il comportamento degli otrantini, e non solo, ma di tutto il Salento, nei confronti dei profughi che sbarcano sulle nostre coste ha dimostrato e continua a dimostrare una popolare solidarietà, molto più profonda e sincera di qualsiasi altro gesto obbligato di ospitalità. Sembra quasi che gli avvenimenti, i fatti e gli eventi tragici del passato, ma anche gloriosi, abbiano fatto scaturire nel cuore e nella natura di questa gente un’istintiva solidarietà, una bontà, una genuinità, una spontaneità intrinseca, connaturale. Nei secoli e nella storia Otranto ha svolto e continua a svolgere una funzione di primo piano: è incontro e sintesi delle diverse civiltà dei popoli. Ogni epoca, ogni popolo, ogni pensiero, ogni tradizione e ogni cultura ha lasciato in questo luogo un segno, una traccia evidente del passaggio. In questo meridione carico di problemi, ma anche di progetti, di speranze e di buona volontà, Otranto è stata e continua ad essere il punto di incontro che qualifica la nostra epoca, svolgendo così la sua missione verso l’unità, sia pur nella diversità.

Otranto oggi è caratterizzata dalla sua dimensione turistica, che chiaramente trova la sua base di sviluppo nel dato fisico ambientale, ma anche storico e artistico, che dà alla città un’immagine tutta sua. Il territorio è oggetto di una scelta turistica orientata verso la realizzazione di strutture programmate scientificamente, che rispettano e conservano le caratteristiche peculiari dell’ambiente e del paesaggio, premessa fondamentale della vocazione turistica otrantina. Come sappiamo, un ulteriore azzardato intervento dell’uomo diventerebbe violenza deformante e snaturalizzante. Il turismo da parte della domanda è un fenomeno, da parte dell’offerta è un’attività continuamente mutevole, variabile, fatta sempre di nuove possibilità, di nuove tecnologie e metodi da utilizzare. Esso è un’attività, un’impresa, una componente economica occupazionale, un servizio offerto al meglio, per questo Otranto lo affronta non solo affidandosi all’intuizione e all’esperienza, perché queste se pur necessarie non sono sufficienti, ma anche con grande responsabilità e professionalità.
Otranto alle soglie del terzo millennio si proietta con impegno e consapevolezza nel domani, nel concreto, nell’operatività, nel futuro occupazionale dei giovani, perché in questo territorio non c’è settore economico più del turismo in grado di offrire una vasta e articolata gamma di molteplici attività, dove ognuno può trovare il proprio interesse e la propria parte: edilizia, impianti turistici e da divertimento, manutenzione, servizi professionali, pubblicità, trasporto, animazione, pronto soccorso, attività artigianali e commerciali, agricoltura ortofrutticola, agriturismo, pesca, ecc. Molto importante è stato anche l’intervento fatto alcuni anni fa nella zona degli Alimini, dove si è dato vita a valide ed efficienti strutture turistiche. Spesso si dice «l’erba del vicino è sempre più verde». Sono molti gli italiani che compiono lunghi viaggi per conoscere il mondo e poi non conoscono il proprio Paese. Quasi dietro l’angolo di casa, senza fare lunghi viaggi, nel tacco dello Stivale c’è Otranto, con un mare limpido, azzurro e pulito, (secondo l’indagine della Goletta Verde), dove si possono osservare gabbiani in volo, esplorare grotte marine e costiere, con suggestivi effetti di luce e colori, sondare i fondali pescosi e variegati. Sulla terraferma si possono scoprire le tracce della civiltà mediterranea, il fascino dell’architettura contadina, che si alterna alla fastosità, alla storia, alla sacralità, all’arte dei suoi monumenti, le vie del centro storico vivificate dai negozi e dai centri di ristoro, le caratteristiche case bianche, gli alberghi sempre più confortevoli e attrezzati con moderne strutture, la cordialità della gente; qui si può vivere in diretta usi e costumi di antiche e ancora vive tradizioni, gustare i sapori di una tipica e genuina gastronomia. Il sole intenso è spesso temperato dal maestrale, la terra ricca di ulivi secolari emana un buon odore. A Otranto si comprende cosa è e com’è il Mediterraneo, il suo clima, la sua vegetazione, i suoi sapori, i suoi profumi, il suo cuore, la sua storia, i suoi colori.

   
   
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