Settembre 2000

CULTURE E CIVILTA’ DEL MEDITERRANEO / 2

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Il romanticismo italiano e
l’inizio della poesia maltese
Oliver Friggieri
Università di Malta
 
 

 

 

 

 

Quasi tutta la poesia maltese dell’Ottocento ha una diretta impronta popolare, e più tardi la poesia letteraria continuò a lungo
a nutrirsi delle stesse fonti.

 

Di particolare importanza è la canzone Nuper fugit amor che Salvatore Cumbo (1810-1877) scrisse in latino e poi tradusse in maltese nel 1838. Il Cumbo, autore prolifico di opere latine e italiane, spesso ispirate a qualche argomento estemporaneo, è uno dei primi e pochi scrittori che lasciarono per qualche momento l’attività italiana per sperimentare la poesia maltese.
La canzone è una lirica romantica che gli concede un posto decente nel quadro limitato che si sta cercando di delineare. I senari, chiusi in quartine con la rima baciata alla fine del secondo e del terzo verso, sono frenetici e si raffrenano alla chiusura di ciascuna strofa con un senario tronco. Si parla di una madre che lamenta la scomparsa del figlio che si innamora e se ne va via. Il ragazzo si identifica con una deità popolare, Namur, e rappresenta l’esigenza umana di innamorarsi, alla quale si contrappone un’altra figura, la Venere mitologica, che eccezionalmente è qui presentata in pianto sopra il destino. La ripetizione di parole importanti, la figurazione tolta da aspetti della natura e il senso insistente della ricerca danno un’impostazione elegiaca e tenue alla poesia che infine dichiara che il ragazzo si trova nascosto dentro il cuore di chi ama.
Luigi Rosato (1795-1872) è un versificatore popolare che interpreta i sentimenti quotidiani in versi i quali, pur non avendo spesso le qualità di alcune delle suddette canzoni, confermano che chi nel ricordato periodo compose qualche cosa in schema metrico ebbe come scopo principale il divertimento popolaresco. Ad esempio, Jekk tafni nfakkrek fija conserva un filo narrativo perché era proprio quello che le masse incolte domandavano di più dal poeta popolare o estemporaneo. Il racconto amoroso si scioglie in uno scherzo perché, come credeva anche la popolazione, il patetico e il ridevole si configurano sovente in due variazioni di un unico tema.
Questa prima fase della poesia maltese, ben scarsa nel valore creativo ma abbastanza fedele ai requisiti della disposizione sentimentale del popolo, e scarsa altresì dal punto di vista quantitativo, determina già diversi aspetti che la poesia letteraria dei decenni posteriori, soprattutto del primo Novecento, continuerà a svolgere ed a elaborare, avvicinandosi sempre di più all’altezza e all’equilibrio dell’arte. La metrica di questi primi tentativi è italiana, cioè accentuativa, fondata sull’accento e sul numero delle sillabe: i versi, ben lontani dalla tecnica della poesia orientale, hanno un accento fondamentale sulla penultima sillaba, oltre ad altri secondari. Quando il verso è parisillabo, gli accenti cadono sulla penultima di ciascun gruppo. Fino a questo periodo, i parisillabi preferiti, quasi ad esclusione di tutti gli altri versi, parisillabi e imparisillabi, sono il senario e l’ottonario, essendo quest’ultimo il più comune, così come è – nota il Cremona – nel caso delle canzoni napoletane e siciliane.

Tale predilezione per l’ottonario veniva riconosciuta cento anni dopo, in sede teorica e assai più in sede pratica, dal poeta nazionale Dun Karm, convinto che i primi versi popolari fossero costruiti su un sistema di tre accenti. Il verso popolare per eccellenza, l’ottonario, si trova nei canti popolari di vari Paesi: è il più spontaneo, e il poeta, che desidera proiettare con immediatezza i pensieri e le emozioni, lo sceglie istintivamente; così fece il Monti in Bella Italia, amate sponde, il Grossi in La rondinella, Tommaso da Celano in Dies irae; e pure il popolo maltese, che, prosegue Dun Karm, quando intende abbandonarsi all’emozione e dare prova di amore e di dolore, non si serve di alcun metro fuorché di quello che fu sempre il mezzo di chi sente più che pensare. Dun Karm chiede perché chi desidera comporre una canzone popolare adoperi il detto metro, e trova la risposta nel fatto che l’ottonario, composto di due versi di quattro sillabe ciascuno, è divisibile in due parti uguali; ogni parte ha le prime tre sillabe forti e altisonanti, mentre l’ultima è flebile, e il poeta se ne serve come pausa, prima che si riprenda la seconda metà del verso. Così sia il versificatore sia il poeta, che vollero aderire fedelmente alle esigenze del cuore, scelsero l’ottonario quasi senza saperne il perché.

Questa interpretazione non è, ovviamente, il giudizio di un pensatore o di un critico, ma piuttosto l’intuizione di un poeta. E’ comunque di colui che ha tradotto questo metro in uno strumento duttile ed efficace, adatto ad interpretare una vasta gamma di temi e di tonalità. Già nel 1851 Gan Anton Vassallo sottolineò la sua predilezione per l’ottonario, vedendovi il metro più idoneo alla forma poetica maltese:

  La lingua si presta mirabilmente alle poesie erotiche, e il verso ottonario è ad essa naturalissimo. Qualunque poesia in lingua maltese che non sia in quel metro è, almeno nella sua forma, spuria. Ed abbenché siasi a sufficienza comprovato che la poesia maltese si possa facilmente enunciare in tutte le forme italiane, essa ciononostante, uscendo dalla sua forma naturale (il verso ottonario) potrebbe piacere bensì, giammai però riuscire popolare.

Questa impostazione è fedele allo spirito della maggior parte della poesia popolare italiana. Nel campo specifico della poesia “ineducata”, basterebbe ricordare che il Berchet, come tanti altri, tradusse e adattò i vecchi motivi delle romanze spagnole adoperando il metro svelto dell’ottonario e la quartina, in cui rimano il secondo e il quarto verso; così avviene regolarmente nella maggior parte delle poesie tradizionali maltesi e della produzione strettamente letteraria che arriva fino agli anni sessanta del Novecento, quando poi ebbe inizio una violenta reazione antiromantica.
Il terreno metaforico è altresì romantico, e le figurazioni sono antropomorfiche, concretistiche, animistiche; sono rarissime, quasi trascurabili, le metafore deumanizzatrici, perché queste prenderebbero un corso molto diverso da quello voluto dalle esigenze di uno stato d’animo appassionato, in cerca di un contenuto animato e preferibilmente umano, anche quando si tratta di natura vegetativa e sensitiva.
L’aspetto tematico presenta un quadro troppo serrato di argomenti e di esperienze: l’amore nel senso personale, familiare, patriottico; il sentimento religioso che sottolinea la consapevolezza della limitatezza umana nel confronto del fenomeno della creazione; l’analisi semplice e senza pretensioni filosofiche della realtà come si manifesta negli eventi quotidiani. La poesia si coglie soltanto in qualche metafora, in qualche colorazione verbale e soprattutto in qualche momento di decisa affermazione del significato del sentimento.

La rivalutazione della poesia popolare in Italia

Il concetto di poesia popolare e di poesia tradizionale assunse il valore di simbolo fondamentale della poesia romantica. Ogni popolo andava trasmettendo spontaneamente e con vigore una sua letteratura leggendaria e primitiva, frutto di una salda partecipazione collettiva e anonima realizzata istintivamente fuori delle accademie e dei centri di cultura, a celebrazione di vicende e di avvenimenti nazionali e di portata sociale indiscutibile. La visione di un tale patrimonio poetico che non si scriveva e che, nonostante ciò continuava ininterrottamente a vivere e a rinvigorirsi con l’andare del tempo, corrispondeva intimamente al concetto che i protagonisti del romanticismo – poeti e popolo – si erano fatti del movimento extraletterario e democratico, a cui poteva associarsi tutta la parte più sensibile della comunità. E’ ovvio che su questo livello il romanticismo non era affatto in polemica contro il Settecento, anzi presenta una matura sintesi di concetti illuministici e di nuove aperture, maggiormente come frutto della rielaborazione che ne fece lo Herder. Le false “scoperte” del Macpherson (1736-1796), che egli voleva fare credere di origine medievale, introdussero un arioso rinnovamento nel campo poetico. Nel 1760 il Macpherson pubblicò i Frammenti di antica poesia scozzese, presumibilmente tradotti dalla lingua gaelica. La fortuna di questa traduzione fu grandissima; la visione della natura primitiva e barbarica che introdusse era alla base del nuovo gusto. Melchiorre Cesarotti tradusse il Fingai nel 1763 e continuò a dare la versione italiana di altri poemetti di Ossian. Con queste traduzioni del Cesarotti l’Italia cominciò ad accogliere il motivo lugubre e principalmente l’appello popolare, tradizionale di una poesia che sembra la memoria di origini antiche e misteriose. E’ significativa sotto questo aspetto una lettera del Cesarotti al Macpherson:

 

  Bisogna riconoscere come l’opera di Ossian ponga la poesia della natura e del sentimento al di sopra della poesia di riflessione e di intelligenza. [...]. Egli non conosce affatto i misteri della mitologia classica; non ha letto la Poetica d’Aristotele, e tuttavia egli ha l’audacia di fare delle epopee.

Il nuovo gusto continuò a svilupparsi e a prendere dimensioni universali. Luigi Tadini scrisse salmi, cantici, inni per il popolo e li pubblicò nel 1818. Dal 1836 in poi Samuele Biava andò pubblicando Esperimento di melodie liriche, Melodie lombarde, Salmi popolari della Chiesa e altre simili raccolte. Nel 1842 Antonio Berti presentò Le voci del popolo canti popolari scritti su temi di musica popolare. Nel 1853 Ferdinando De Pellegrini tradusse dei canti slavi e pubblicò a Roma Un po’ per tutti, florilegio poetico popolare. Nel 1842 uscì Il cantastorie di Domenico Buffa e nel 1859 il piemontese Cesare Cavara raccolse le Poesie popolari. Nel 1834 uscirono le Ballate di Luigi Carrer e nel 1843 il Prati pubblicò i Canti per il popolo e le Ballate. Nel 1841 il Tommaseo pubblicò Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci. La schiera è vasta, specialmente negli ultimi anni dell’Ottocento.

Il deposito della poesia popolare nell’Ottocento presenta una sintesi di due atteggiamenti nei confronti della questione di questo genere: la devota raccolta della poesia che si era trasmessa da una generazione all’altra (quasi tutta anonima) e la nuova disposizione che risulta nella composizione di versi popolari in quanto il contenuto è antiaccademico e interessa tutta la società. E questo è accaduto a Malta: quasi tutta la poesia maltese dell’Ottocento ha una diretta impronta popolare, e più tardi la poesia letteraria continuò a lungo a nutrirsi delle stesse fonti. Tutta la produzione appare come un unico corpo: poeti letterari scrivevano anche versi popolari (per esempio, Gan Anton Vassallo e Guzé Muscat Azzopardi), e verseggiatori riuscirono a volte a produrre qualche componimento di valore artistico (per esempio, Dwardu Cachia e Salvatore Frendo De Mannarino).

Il riconoscimento dei primi testi poetici maltesi (1895-1964)

L’interesse letterario nella poesia popolare fu introdotto a Malta da uno studioso italiano, Luigi Bonelli, e lo continuò lo studioso austriaco Hans Stumme che nel 1909 pubblicò a Leipzig il volume Maltesische Volkslieder, una raccolta di quattrocento canti che aveva ricavato Fraulein Bertha Ilg. L’analisi metodica e la ricerca scientifica, accompagnate da un vivo apprezzamento, furono riprese da un altro studioso italiano, Vincenzo Laurenza. La direzione che diedero questi studiosi stranieri fu seguita con maggiore interesse e impegno da studiosi maltesi che non solo andarono ricavando manoscritti inediti e dimenticati che poi analizzarono e pubblicarono insieme a saggi critici, ma ripubblicarono le prime poesie e altri frammenti che erano sparsi, per lungo tempo, in giornali e in riviste maltesi. Gli studiosi e gli autori più importanti in questo campo, trasformandosi poi in una specie di movimento di apprezzamento e di ricupero, sono Ninu Cremona (1880-1972), Guzé Aquilina (1911-1997) e Guzé Cassar Pullicino (n. 1921).

(2 - continua)

   
   
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