Settembre 2000

DECIMA MUSA

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Altri film di Zampa
sul Mezzogiorno
Giuseppe Gubitosi
Docente di Storia della comunicazione di massa – Univ. di Perugia
 
 

 

 

 

 

Luigi Zampa
insomma si schiera dalla parte
dei napoletani,
ed è invece contrario alla Milano moderna perché vi circolano “troppi soldi”.

 

Luigi Zampa fece altri due film con Vitaliano Brancati, uno di questi è “E’ più facile che un cammello...”, che è del 1950, con Jean Gabin e Mariella Lotti, che non è un film sul Mezzogiorno; l’altro è l’episodio “La patente”, con Totò, di “Questa è la vita”, del quale si parlerà nell’articolo dedicato a Totò.
Luigi Zampa fece molti film riguardanti il Mezzogiorno, del resto aveva cominciato la sua attività di regista con “Fra’ Diavolo”, che è un film sul Mezzogiorno. E’ seguì sempre il modo in cui il Mezzogiorno veniva considerato dalla classe dirigente: quella fascista, quella del dopoguerra, quella degli anni ‘50 e così via.
Così nel 1948 fu il regista di “Anni difficili” (secondo alcuni il film è del 1947), nel 1952 di “Processo alla città”, un film ambientato a Napoli, nel 1955 fece “Ragazze d’oggi”, che è ambientato a Milano, ma nel quale il regista dichiara le sue preferenze per i meridionali, nel 1962 fece “Anni ruggenti”, un film ambientato nel Mezzogiorno in generale e nelle Puglie in particolare, nel 1965 fece “Una questione d’onore”, ambientato in Sardegna, nel 1971 “Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata”, che è ambientato in Australia, ma il protagonista è evidentemente di origine meridionale, tanto che si chiama Amedeo Battipaglia, nel 1975 fece “Gente di rispetto”, ambientato in Sicilia, a Ragusa. Particolarmente interessante è “Ragazze d’oggi”, anche se è passato sotto silenzio e se Filippo Sacchi, che negli anni Trenta aveva fatto le recensioni dei film in circolazione per Il Corriere della Sera e nel tempo in cui uscì questo film di Luigi Zampa curava la rubrica cinematografica di Epoca, ne parlò piuttosto male. E’ interessante, perché, come si è già detto, il regista, Luigi Zampa, in esso dichiara la sua preferenza per i meridionali. Il film, realizzato subito dopo la morte di Vitaliano Brancati, che avvenne nel 1954, mentre il film porta la data del 1955, è ambientato a Milano ed è carico di simboli della modernizzazione: dalla moda agli aerei (ovvero al jet-set), dal grattacielo, che negli anni Cinquanta era il simbolo di Milano quale capitale dell’Italia moderna, alle automobili del tempo, tra le quali una fiammante MG, all’industria più moderna, che era collocata preferibilmente a Milano. In esso il personaggio interpretato da Paolo Stoppa, Peppino Sbardellotti, è un meridionale che si è trasferito a Milano e vive con la cognata, Matilde, sorella della moglie, che è invece morta, cognata alla quale si è affidato per la crescita delle sue quattro figlie femmine, essendo lui costretto dal lavoro a spostarsi nella provincia. Peppino, che si è trasferito a Milano dopo la morte della moglie, è però un uomo di sani principi, si trova male nella grande città del nord e lega solo con i meridionali, tra i quali un commissario di polizia, al quale dice di essere nato a Napoli e il quale risponde compiaciuto che egli è nato a Castel del Mare, un modo per dire e non dire che era nato a Castellammare di Stabia. La cognata Matilde vorrebbe che le nipoti mettessero a frutto la loro bellezza (le attrici sono Marisa Allasio, Lilli Cesaroli, Paola Quattrini e Nuccia Lodigiani) per trovare un buon marito. Ragiona, cioè, con criteri milanesi, che Peppino, napoletano d’origine, contrasta. Per questa ragione Matilde è contraria al matrimonio che hanno in progetto Anna (Marisa Allasio) e Sandro (Mike Bongiorno), che fa lo stuart sugli aerei e guadagna solo ottantamila lire al mese. Matilde esaspera Peppino Sbardel-lotti, che ha un rapporto positivo solo con Anna, tra le sue figlie, ed è capace di valutare positivamente Sandro anche se non ne condivide del tutto le idee, che sono fin troppo moderne per lui. Le altre figlie invece stanno per fare una sciocchezza, si salva, per il momento, solo la piccola Simonetta per la quale non è giunta ancora l’età da marito, ma già legge fumetti d’origine americana e ha il mito di Marlon Brando. Una delle tre figlie “grandi” di Peppino Sbardellotti, sta per diventare l’amante del figlio del ricco Mongardi, l’altra sta per diventare una prostituta. Ma riescono a salvarsi grazie ai princìpi del padre Peppino, che è “una brava persona”, ed ha educato le figlie secondo princìpi molto sani, che hanno avuto la meglio sul modo di ragionare di Matilde.
L’aspetto più interessante del film è l’aperta presa di posizione di Luigi Zampa a favore di Peppino, proprio perché quest’ultimo è napoletano, tanto che Peppino riesce, senza averlo mai visto, a modificare persino il modo di pensare del vecchio Mongardi, che accetta il matrimonio del figlio con la maggiore delle figlie di Peppino, e rinuncia al possesso del figlio, che considera come uno dei tanti oggetti da lui posseduti, compresa la ditta per la quale lavora Peppino Sbardellotti. Luigi Zampa, insomma, si schiera dalla parte dei napoletani, del napoletano Peppino, ed è invece contrario alla Milano moderna, perché, fa dire Luigi Zampa ad uno dei suoi personaggi, vi circolano «troppi soldi». La povertà, per Zampa, comporta sani princìpi, un attaccamento alla tradizione che ricorda molto da vicino il modo di ragionare degli intellettuali fascisti, per i quali la ricchezza era fonte di corruzione piuttosto che di benessere, come ha dimostrato Michela Nacci nel parlare degli intellettuali fascisti e antiamericani degli anni Trenta.
Ma nel 1962 Zampa fece un film che riguardava l’Italia degli anni Trenta, la stessa epoca nella quale era ambientato “Anni difficili”. Il film è intitolato “Anni ruggenti” e non rappresenta, come si potrebbe pensare dal titolo, un capovolgimento della tesi sostenuta nel 1948 (o 1947), ma un ripensamento della tesi sostenuta in “Anni difficili” e una visione più netta dell’Italia degli anni del fascismo. C’è in questo film (la cui sceneggiatura si deve a Sergio Amidei, Vincenzo Talarico e allo stesso Luigi Zampa) una visione netta e rigida del fascismo, come di una sorta di Moby Dick (per usare l’espressione usata da Delio Cantimori), che divora tutti gli uomini.
Ma, ed è la cosa più importante, il popolo italiano non ha aderito al fascismo, come si evince dalla speranza in cui Omero Battifiori, il protagonista del film, per riempire una serata, si reca al circolo cittadino, il Circolo dell’Unione, nel quale tutti sono antifascisti, e simpatizzano con un professore (un uomo di cultura), mandato a trascorrere un periodo di confino in quella cittadina. Gli italiani, insomma, e in particolare i meridionali, non hanno aderito al fascismo, sono tutti “nicodemisti”, ovvero fingono di aderire al fascismo, ma non sono fascisti, come ha criticamente scritto Pier Giorgio Zunino. Persino Omero Battifiori, scambiato per un ispettore inviato dal PNF, è antifascista e “saluta romanamente” con un secco «ce vedemo».
Il film è stato girato tra la Puglia e la Basilicata, tra la provincia di Lecce, di Brindisi, di Taranto e quella di Matera, per non privilegiare nessuna località del Mezzogiorno, ma per dire che tutte sono uguali, che tutte sono state antifasciste. Il film sviluppa la tesi sostenuta apertamente dal regista in “Ragazzi d’oggi”, che cioè i meridionali, proprio perché più poveri, sono migliori degli altri italiani, ovvero degli italiani del Centro e del Nord. Naturalmente il regista, romano d’origine, salva anche i romani, e quindi il personaggio di Omero Battifiori, il quale non solo è un antifascista scambiato per un ispettore del PNF, ma riesce a farsi amare, nonostante sia antifascista, dalla figlia del podestà, Elvira, la quale ha scelto Mussolini quale simbolo delle sue idealità.
Zampa insomma ha fatto un film secondo la concezione che all’inizio degli anni Sessanta stava diventando prevalente sia per quanto concerne il Mezzogiorno (i meridionali sono migliori degli altri italiani, in virtù della loro povertà), sia per quanto concerne il fascismo (è stato un’accozzaglia di corrotti). Peraltro, sono i corrotti a diventare fascisti, coloro che, come dice Omero Battifiori dei cinque gerarchi fascisti locali, a Roma verrebbero arrestati (i cinque gerarchi locali sono il podestà Salvatore Acquamano, che è diventato proprietario di 200 ettari di terra senza aver conseguito neppure la licenza elementare, il Segretario politico del PNF, Carmine Passante, che è riuscito ad accumulare molti gioielli e a conquistare le donne più belle del paese, il direttore della scuola elementare, Aurelio Bitetto, che ha messo le mani su sussidi scolastici per pagarsi le donne di malaffare, che di solito frequenta, il direttore dell’ospedale locale, Giulio Cariddi, che gode della pensione di guerra pur essendo stato riformato, Nicola De Bellis, che è consultore alle strade e ai giardini, il quale è non solo noto al paese per essere il marito di donna Rosa, amante di Carmine Passante, ma tenta anche di attrarre dalla sua parte Omero Battifiori, attirando su di sé l’ira degli altri quattro). Anzi, Omero Battifiori (figura interpretata da Nino Manfredi) è convinto, e in stato di ubriachezza lo dice, che i «forchettoni» – come li definiscono i frequentatori del Circolo dell’Unione – i cinque che hanno approfittato dell’andata al potere dei fascisti – avrebbero molto da fare con coloro che abitano ancora le “caverne” (i Sassi di Matera, fatti passare per una località vicina a Gioia Vallata, nella quale si svolge la vicenda, che è un paese inesistente in Puglia, ma posto vicino ad Alberobello). Ma a loro, dice Omero, non importa nulla di ciò, interessa solo trar profitto dalla posizione in cui si trovano.

Ma sono i poveri lavoratori dei campi ad avere la meglio. Nella parte finale del film, infatti, Omero Battifiori, dopo aver visitato Alberobello ed aver appreso da una vecchia donna del luogo che la donna da lui amata, la figlia del podestà, Elvira, discende per linea materna dai marchesi di Grottalunga, che hanno vietato l’uso della calce agli abitanti del luogo per divenire i padroni di Alberobello, visita anche le “caverne”. Non si capisce perché Elvira non sia più con lui, ma nel visitare le “caverne” incontra degli antifascisti spontanei; un abitante delle “caverne”, che muore senza indossare la camicia nera, nonostante le donne della sua famiglia lo preghino di indossarla per ricevere un sussidio, gli altri abitanti del luogo, che si rivolgono a lui chiamandolo «Eccellenza» e credono che sia un alto gerarca in buoni rapporti con Mussolini, che gli chiedono una casa, dimostrando così con questa petizione e con la deferenza a lui prodigata di associare il fascismo ai proprietari terrieri del Sud che li costringono a vivere in quelle “caverne”: solo il Duce può evitare loro tanta miseria.
Essi sono degli antifascisti perché sono meridionali e sono poveri, il fascismo, invece, ha fatto sua la causa dei corrotti. Tanto è vero che il gerarca fascista che arriva a Gioia Vallata dopo Omero Battifiori, l’autentico ispettore inviato dal PNF, del quale sappiamo solo il nome del battesimo, Peppino, ha fatto sapere prima al podestà locale (Salvatore Acquamano, figura interpretata da Gino Cervi) e agli altri gerarchi locali del suo arrivo, perché, spiega, non gli piacciono le ispezioni segrete, ma anche perché non vuol creare problemi ai gerarchi locali, che sono «le forze vive della nazione».
Il film si conclude con Omero Battifiori, il quale, sul treno che lo porta a Roma, legge una lettera di uno degli abitanti delle “caver-ne”, Lorenzo Gallicchio, che chiede al Duce una casa normale dotata di una finestra.
Ma non bisogna pensare che i fascisti siano tali per convinzione, al contrario, essi sono tali solo per salvaguardare il proprio interesse: lo sono i cinque gerarchi locali, ma lo sono anche le loro mogli, le quali assistendo allo spettacolo di “rivista” (così è stato detto per molto tempo lo spettacolo di varietà, scomparso solo quando è nato il varietà televisivo) si comportano da prime donne, siedono nei palchi del teatro e applaudono. In quello stesso teatro siedono gli antifascisti del Circolo dell’Unione, i quali, a differenza dei fascisti, si annoiano quando sentono fare della propaganda per il regime e contro l’Inghilterra e la Società delle Nazioni, che hanno cercato di ostacolare il fascismo nella conquista dell’Etiopia.
L’unico antifascista del quale si capisce la posizione assunta è il medico condotto, De Vincenzi. Di lui sappiamo che ha antichi rapporti con gli abitanti delle “caverne”, che egli frequenta in virtù della professione che esercita. Ma per quei poveri meridionali il dottor De Vincenzi è anche una guida, tanto che essi ridono per il solo fatto di aver visto De Vincenzi ridere, ma non sanno perché rida. Anche Omero Battifiori ride, anche se lui invece sa perché, come a dire che per diventare antifascisti, e quindi amici di De Vincenzi, occorre una consonanza emotiva.
D’altra parte, quando alla fine del film Omero Battifiori parte, ormai trasformato dall’esperienza che ha fatto nel Sud d’Italia, l’unico che va a salutarlo e rimane sotto il suo finestrino finché il treno non parte è il dottor De Vincenzi.

   
   
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