La musica
ha bisogno di un nuovo Prometeo,
che rubi il fuoco della creatività,
che ricrei il mistero e lo stupore
dellascolto.
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Il 900 ha consegnato alla musica nuovi linguaggi, nuovi alfabeti
e una nuova sintassi, consentendole persino di creare nuovi strumenti,
e facendola incontrare, in ultima analisi, con la tecnologia. Il
pubblico, insomma, è stato provocato, ha reagito con stupore
e in alcuni casi anche con violenza a musiche che negavano i principii
dellantica, buona educazione formale: abituato alla potenza
sonora delletà romantica, ha visto dissolversi quelle
espressioni, trasformate in sottilissime rarefazioni, in pulviscoli
di suono; sicuro di incontrare allinizio e alla fine di un
brano una serie di accordi che funzionavano come precisi segnali
narrativi, ha smarrito queste boe luminose in mezzo alloceano
dellascolto. Lorecchio è stato costretto a munirsi
di altre bussole. Laccresciuta velocità delle informazioni
ha consentito ai compositori di conoscere e di misurarsi con civiltà
musicali prima ignote: oggi constatiamo che anche in questo scenario
lEuropa ha perduto il proprio primato. Il colonialismo è
morto anche sul pentagramma.
Che cosa determina, allo stato delle cose, lattributo di colto
e di popolare conferito ad unopera darte?
Il consenso del pubblico e del mercato, la quantità di cliccate
su un sito web, lintuizione dei critici, degli editori, dei
direttori artistici? Il grado di complessità e, per converso,
la semplicità più ostentata e ripetitiva? Nel 900
molte vie si sono tentate, percorse, abbandonate. Alcuni momenti,
però, sono stati realmente grandi e rimangono tuttora emblematici.
Li ripercorriamo, in sintesi.
Parigi, 29 maggio 1913.
Il rito della primavera, di Igor Stravinskij.
Un sogno è allorigine di questi Quadri della
Russia pagana che indignano il pubblico parigino del tempo,
provocando un memorabile scandalo, e che oggi consideriamo il primo
grido del Novecento musicale. Il compositore russo vede
un rito pagano: dei vecchi saggi stanno seduti in cerchio attorno
ad una giovane donna che danza fino a sfinirsi e a morire. LEuropa
civilizzata e razionalista riscopre la potenza di un rito arcaico,
dei suoni ritmici dionisiaci; per trasformare questa idea in musica,
il compositore sembra voler sollevare la crosta terrestre, dissotterra
sonorità telluriche. Le pulsazioni si sovrappongono, le tonalità
si susseguono una nellaltra, gli impasti sonori sono di sconvolgente
novità.
Questa primavera della musica nasce come spettacolo
coreografico, creato dai Ballets russes di Vaslav Nijinskij
e diretto dal podio da Pierre Monteux. La sceneggiatura
viene scritta da Stravinskij assieme al pittore e archeologo Nicolas
Roerich, esperto di ritualità della civiltà slava.
Partitura inimitabile e mai imitata, madre di tutta la musica che
consideriamo moderna.
Berlino, 14 dicembre 1925.
Wozzeck, di Alban Berg.
Un dramma teatrale ottocentesco di Georg Bochner rivive nei tre
atti di unopera rivoluzionaria e classica; la violenza dellespressionismo
movimento letterario, figurativo e musicale che segna i primi
decenni del secolo viene compresa e organizzata in un contenitore
forte, costruito secondo i criteri formali consegnati dalla tradizione.
Tutto è riconoscibile, eppure tutto suona nuovo. La voce
non canta soltanto: parla e grida, sussurra e invoca. Si fa strumento
di verità senza verismo, e nei momenti lirici commuove di
autentica emozione. Una formidabile coerenza drammatica, una complessità
musicale tale da richiedere al direttore Erich Kleiber oltre cento
prove. Un disperato proletario che per arrotondare vende il proprio
corpo agli esperimenti della scienza, sua moglie e il denaro che
le offre il Tamburmaggiore, il loro bambino che saltella via quando
gli dicono che sua madre è morta. Una storia di vita diventata
un simbolo.
Parigi, 14 gennaio 1932. Concerto in sol per pianoforte e
orchestra, di Maurice Ravel.
Un soggiorno negli Usa consente a Ravel di conoscere la vitalità
della musica jazz, dei suoi ritmi e delle sue sonorità, figli
della vita acceleratissima delle metropoli americane, come poteva
allora scoprirle un compositore europeo. Tornato in Francia, crea
questo divertissement: una forma e unorchestra
classica (pensate come omaggio al prediletto Mozart) accolgono al
loro interno una scrittura brillante, estrosa, scandita, soprattutto
nel primo movimento, da un frequente uso della sincope, risorsa
tipica del jazz, e da una citazione del flamenco. Il finale è
una felice corsa al precipizio, come un motore al massimo dei giri.
La musica racconta la nuova velocità della vita, con sovrano
controllo delle risorse impiegate. Assimila quanto le è estraneo,
il jazz, e lo fa proprio.
Londra, 22 maggio 1950. Ultimi quattro lieder, di Richard
Strauss.
Lautore di Così parlò Zarathustra, di Salomé,
di Elettra, del Cavaliere della rosa, il massimo autore di teatro
musicale del Novecento, è scomparso da pochi mesi quando
Wilhelm Furtwaengler e il soprano Kirsten Flagstad eseguono questo
suo canto di commiato. Tre poesie di Hermann Hesse, Primavera,
Settembre, Andando a dormire, e una di Joseph
von Eichendorff, Al tramonto: «O pace vasta e
silenziosa, / profonda pace del tramonto. / Siamo così stanchi
del cammino / è così forse che si muore?»,
dicono gli ultimi versi. La voce e lorchestra diventano essi
stessi quel tramonto, quella stanchezza, accompagnano quel cammino,
che procede lento e sempre più lontano. Con Strauss, con
questi lieder così sereni nella loro malinconia, capaci una
volta ancora, romanticamente, di immaginare luomo fratello
della natura, svanisce luniverso tonale: il compositore tedesco
lo ha spinto fino ai confini estremi della sua galassia, svelandone
una volta di più le meraviglie possibili. Dopo questo sigillo,
diventerà impossibile, per ogni vero creatore, percorrere
ancora quel sentiero.
Amburgo, 12 marzo 1954.
Mosè e Aronne, di Arnold Schoenberg.
Opera incompiuta, iniziata, abbandonata, ripresa, lasciata senza
musica allinizio del terzo atto, quando Mosè, al quale
la balbuzie impedisce di cantare, cioè di comunicare, rimprovera
il fratello Aronne di aver usato per proprio tornaconto la parola
divina. Una parola misteriosa, da interpretare. Il musicista che
ha offerto alla composizione contemporanea nuove regole linguistiche,
mettendo a punto il metodo di scrittura dodecafonico basato
sul postulato dellassoluta eguaglianza tra i dodici suoni
della scala (le sette note e le cinque alterazioni: diesis e bemolle)
ribadisce con questo estremo capolavoro la propria attitudine
metafisica. Accusato di aridità creativa, Schoenberg si rivela
come uno dei grandi mistici del secolo, artista che non ha mai smesso
di insegnare lassoluto, anche nei momenti più tragici
della propria esistenza, negli anni della fuga dallEuropa
e di un soggiorno americano vissuto come un esilio. Nel settembre
1914 aveva iniziato a scrivere un Diario delle nuvole di guerra:
«Molte persone avranno cercato, come me oggi, di leggere nel
cielo gli eventi della guerra, poiché finalmente ritorna
la fede nelle potenze superiori e anche in Dio».
Parigi, 2 dicembre 1954.
Deserti, di Edgar Varèse.
«Alla sedia elettrica!», urla il pubblico contro il
compositore, che a unorchestra sinfonica ha aggiunto dei suoni
registrati nelle fabbriche, nelle navi, creati in studio grazie
ai primi strumenti capaci di produrre sonorità artificiali.
«I deserti per me non significano soltanto i deserti fisici
della sabbia, del mare, delle montagne, della neve, dello spazio
esterno, delle strade deserte delle città, che evocano la
sterilità, lesistenza fuori del tempo, ma anche questo
lontano spazio interiore che nessun telescopio può raggiungere,
dove luomo è solo in un mondo di mistero e di solitudine
essenziale».
Opera spettacolare: quarantasei strumenti a percussione, provenienti
da tutte le civiltà musicali del mondo, servono a Varèse
per ricreare una dimensione sonora infranta, pura come lorizzonte
di un deserto, come il suo silenzio al di là del tempo: Battere
il tempo del silenzio è lindicazione apposta
in partitura allultima battuta. La musica pretende di farsi
spazio e volume, di avere rilievi, spessori, luci come le possiedono
le creazioni della natura. Varèse: uno scienziato, un visionario,
padre di tutte le avanguardie del secondo dopoguerra.
Venezia, 25 settembre 1994. Prometeo, tragedia dellascolto,
di Luigi Nono.
Una chiesa sconsacrata, a due passi da San Marco; una struttura
lignea disegnata da Renzo Piano, musicisti e cantanti disposti e
dispersi, come argonauti, allinterno di questa nave del suono
che qualcuno chiama arca. Lo studio di Friburgo incaricato
di moltiplicare, sottrarre, smarrire le voci e gli strumenti grazie
alle possibilità del live-electronics. Un racconto che procede
per isole, che nega la consueta mappa della narratività.
Voci che si inerpicano verso altezze purissime e stazionano lì
in alto, immobili. Pause, silenzi impercettibili, presenze sonore,
repentini cataclismi. La musica ha bisogno di un nuovo Prometeo,
che rubi il fuoco della creatività, che ricrei il mistero
e lo stupore dellascolto, sottraendolo allovvietà
onnivora e mai sazia del consumo. Accolto con sgomento, questo itinerario
mistico e tecnologico del compositore veneziano si è, nelle
successive esecuzioni internazionali, imposto con lautorità
di un capolavoro.
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