Assumersi un rischio politico del genere, quando
i vantaggi evidenti sono pochi, richiede molta convinzione e una
grande lungimiranza.
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Negli ultimi ventanni abbiamo capito che è necessario
intervenire militarmente nei Paesi in cui i governi violano gravemente
i diritti umani e la sicurezza internazionale. Nei prossimi ventanni
dobbiamo imparare come prevenire i conflitti, oltre che come intervenire.
Anche la più dispendiosa politica di prevenzione è
molto più economica, in termini di vite e di risorse, del
meno costoso degli interventi.
In un recente studio, la Commissione Carnegie per la Prevenzione
dei Conflitti allUltimo Sangue ha stimato che il prezzo pagato
dalla comunità internazionale per le sette grandi guerre
degli Anni 90, esclusi Kosovo e Timor Est, è stato
pari a 199 miliardi di dollari. Aggiunti questi due conflitti, la
cifra sale a 230 miliardi (oltre 430 mila miliardi di lire). Una
prevenzione efficace avrebbe potuto farci risparmiare gran parte
di questa somma. E, ancora più rilevante, avrebbe potuto
salvare migliaia di vite umane. Spesso le divergenze rischiano di
trasformarsi in contrasti e i contrasti rischiano di diventare conflitti
mortali. Spesso i segni premonitori vengono ignorati e le richieste
di aiuto trascurate. Soltanto dopo la morte e la distruzione ci
decidiamo ad intervenire, con costi umani e materiali molto più
elevati.
A mio parere, tre sono le cause principali per il fallimento delle
misure preventive quando queste sarebbero possibili. Prima, la riluttanza
di una o più parti coinvolte nel conflitto ad accettare un
intervento esterno. Seconda, la mancanza di volontà politica
ai livelli più alti della comunità internazionale.
Terza, la mancanza di strategie integrate, nellOnu e nella
comunità internazionale, per la prevenzione di un conflitto.
Fra tutte queste cause, la mancanza di volontà è quella
più determinante. Senza questa, nessun tentativo di azione
coordinata o di minaccia preventiva potrà tradurre la consapevolezza
in azione.
I fondatori delle Nazioni Unite, che ne formularono lo Statuto,
conoscevano bene la natura umana. Erano stati testimoni della capacità
delluomo di condurre una guerra con una brutalità senza
pari e una crudeltà senza precedenti e i testimoni del fallimento
della prevenzione quando sarebbe stata possibile: come durante gli
anni Trenta, mentre si moltiplicavano i segnali di guerra. Dobbiamo
ammettere che in alcuni casi la completa insolubilità dei
conflitti e lostinazione delle parti in guerra rendono improbabile
un successo dellintervento. Ma anche guerre, che una volta
incominciate si rivelano inarrestabili, avrebbero potuto essere
evitate con unefficace azione preventiva.
Non ci culliamo nellillusione che le strategie di prevenzione
siano semplici da applicare. Innanzitutto, i costi della prevenzione
devono essere pagati nel presente perché possano dare dei
benefici nel lontano futuro. E questi benefici non sono tangibili:
quando lazione preventiva riesce, non succede nulla. Assumersi
un rischio politico del genere, quando i vantaggi evidenti sono
pochi, richiede molta convinzione e una grande lungimiranza.
Poi ci sono delle barriere istituzionali reali alla cooperazione.
Nei governi nazionali e nelle Agenzie internazionali, i responsabili
della sicurezza di solito non si interessano molto allo sviluppo
e al governo; e i responsabili di questi due aspetti raramente li
osservano dal punto di vista della sicurezza. Mettere a fuoco questi
limiti non è unimpresa disperata. Ed è una condizione
necessaria, se non sufficiente, per un primo passo avanti. LOnu
ha sostenuto a lungo che il buon governo, la democratizzazione,
il rispetto dei diritti umani e le politiche per uno sviluppo equo
e sostenibile sono la forma migliore di prevenzione a lungo termine
dei conflitti. La trasformazione degli schemi di conflitto e di
governo negli anni recenti suffraga con ampie prove le nostre convinzioni.
Nel corso degli anni Novanta cè stata una netta riduzione
della conflittualità mondiale, anche se poco notata. Sono
terminate più guerre di quante ne siano incominciate. Fra
l89 e il 92 si sono aperti in media otto conflitti etnici
ogni anno; oggi la media è di due allanno. Fra il 92
e il 98 la portata e lintensità dei conflitti
armati in tutto il mondo si sono ridotte di circa un terzo. Il numero
di governi eletti democraticamente è aumentato più
o meno nella stessa proporzione. Non possiamo saltare alla conclusione
che laumento del numero di democrazie abbia determinato la
riduzione della belligeranza. Altri fattori, come la fine della
Guerra fredda, hanno giocato un ruolo importante anche se
le due cose sono ovviamente legate. Ma questi dati contribuiscono
a confermare una teoria fino a questo momento poco pubblicizzata:
le democrazie hanno tassi di violenza interna molto più bassi
delle non-democrazie. Non cè molto da stupirsi: la
risoluzione non violenta dei contrasti è lessenza della
democrazia. In unera in cui il 90 per cento delle guerre ha
luogo allinterno degli Stati, e non tra di loro, limportanza
di questo dato per la prevenzione dei conflitti è evidente.
La prevenzione non è una panacea. I governi devono agire
in buona fede e mettere il benessere dei cittadini al di sopra degli
interessi di parte. Ma sappiamo che alcuni governi quelli
più inclini allo scontro vedono le politiche di prevenzione,
in particolare quelle che spingono verso la democrazia e il buon
governo, come una minaccia ai loro poteri e privilegi. Quindi, di
solito finiscono per rifiutarle. Il fatto che la prevenzione non
può funzionare ovunque è un buon argomento contro
lottimismo più ingenuo, ma non contro un attivo impegno
a favore della democrazia, del buon governo e delle altre politiche
di prevenzione. Questi non sono soltanto valori importanti in quanto
tali. Sono anche fra i più potenti ed efficaci antidoti al
flagello della guerra.
Le tappe
della giustizia internazionale
I conflitti - Solo nel 1999 si sono combattute 27 guerre.
170 milioni di persone sono state uccise nelle guerre dal 1945 ad
oggi. Nessun responsabile è stato condannato.
1945/46 - Il processo di Norimberga per i crimini di guerra
contro i massimi gerarchi nazional-socialisti.
10 dicembre 1948 - Dichiarazione universale dei diritti
umani.
25 maggio 1993 - LOnu crea il Tribunale per lex
Jugoslavia.
8 novembre 1994 - LOnu crea un Tribunale speciale
per i crimini commessi in Ruanda.
17 luglio 1998 - Con 120 Paesi favorevoli, 7 contrari e
21 astenuti, a Roma viene adottato lo Statuto della Corte penale
internazionale permanente, che giudicherà sui crimini di
guerra, sui crimini contro lumanità e sul genocidio.
Il Tribunale entrerà in funzione quando il suo Statuto sarà
ratificato da almeno 60 Paesi.
22 aprile 1999 - Il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic
è incriminato per crimini contro lumanità dal
Tribunale penale per lex Jugoslavia: è il primo presidente
di Stato in carica ad essere incriminato da una Corte internazionale.
2005-2010 - Entro questa data si prevede che sessanta Paesi
abbiano completato il processo di ratifica: la Corte entrerà
in funzione.
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