Le tensioni in MEdio Oriente non fanno che sottolineare
la necessità di un dialogo più efficace tra i paesi
rivieraschi del Mediterraneo.
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Di fronte ai recenti avvenimenti mediorientali, l’Unione europea
avrebbe potuto farsi tentare dall’idea di rinviare la IV Conferenza
euro-mediterranea dei ministri degli Esteri, prevista per la metà
dello scorso novembre. Questa scelta – la più facile
– sarebbe stata percepita come una rinuncia. La presidenza
francese dell’Ue ha invece avuto ragione decidendo di mantenere
l’appuntamento di Marsiglia. Per quale motivo? Perché
l’Europa non può prendere le distanze da questa regione
strategica, rassegnandosi a non essere nulla più che un testimone
passivo di uno spettacolo tragico. I Paesi mediterranei hanno più
che mai bisogno dell’Europa, e l’Europa ha più
che mai bisogno dei Paesi mediterranei. E’ in gioco un interesse
comune.
Insieme, dobbiamo rispondere più efficacemente a un gran
numero di questioni trasversali: gli scambi commerciali, la protezione
dell’ambiente, la lotta contro il terrorismo e il traffico
di droga, le migrazioni... Insieme, dobbiamo lavorare su questi
temi concretissimi, sviluppando un dialogo strutturale nella durata,
fattore di pace e di prosperità. In che modo? Dando un nuovo
slancio a quello che era stato chiamato “il processo di Barcellona”,
lanciato nel 1995 dall’Unione europea in parternariato con
dodici Paesi del Mediterraneo meridionale. Dobbiamo utilizzare meglio
questo formidabile strumento al servizio della stabilità.
Chi potrebbe negare, oggi, che le tensioni del processo di pace
in Medio Oriente non fanno che sottolineare la necessità
di un dialogo più efficace tra i Paesi rivieraschi del Mediterraneo?
Chi potrebbe negare che, lungi dal rimetterlo in discussione, le
difficoltà in Medio Oriente invitano a rilanciare il processo
di Barcellona, in una prospettiva di lungo periodo?
L’obiettivo di Barcellona è nello stesso tempo semplice
e ambizioso: una regione in pace che goda di una prosperità
generalizzata e favorisca la vitalità della società
civile nel rispetto dei diritti dell’uomo e la comprensione
reciproca delle civiltà. Questo triplice orientamento –
politico, economico e culturale – deve guidare i nostri rapporti
con i Paesi mediterranei. Noi li incoraggiamo a continuare ad avanzare
sulla via tracciata dopo Barcellona, anche se certe scelte sono
talvolta difficili da compiere.
L’Unione europea riconosce a questa politica un carattere prioritario.
Al proposito, è necessario sottolineare che l’attenzione
prestata, nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione,
ai nostri vicini dell’Europa centrale e orientale non va a
scapito dei rapporti con i vicini del Sud. I due movimenti procedono
di pari passo e si rafforzano reciprocamente.
L’allargamento offrirà nuove opportunità di cooperazione
con il Mediterraneo: il processo di Barcellona fa parte dell’acquisizione
comune nel campo delle relazioni esterne, che i nuovi Stati membri
dell’Unione finiranno con l’integrare. Ampliandosi ad
Est, l’Unione europea non dimenticherà il Sud. Tutt’al
contrario, noi oggi cerchiamo, con un realismo pari all’ambizione,
di dare nuovo impulso al processo barcellonese. Il realismo è
necessario per prendere atto dei risultati ottenuti, ma anche delle
difficoltà incontrate dopo il 1995.
Il ritmo della transizione economica, che esige il completamento
delle riforme necessarie per promuovere lo sviluppo del settore
privato e incoraggiare gli investimenti, in qualche caso è
stato deludente. Il volume degli scambi tra i partners mediterranei,
in origine modestissimo, non è aumentato in una misura soddisfacente,
mentre i progressi del commercio Sud-Sud saranno un elemento chiave
nello sviluppo di una regione che attualmente non viene ancora percepita
come una zona emergente integrata nell’economia mondializzata.
Inoltre, lo spirito del parternariato avrebbe potuto condurre a
risultati più rapidi su terreni di enorme importanza: i diritti
dell’uomo, la prevenzione del terrorismo, le migrazioni o il
coinvolgimento della società civile in un processo che deve
offrire a quest’ultima grandi opportunità.
Non abbiamo saputo mettere pienamente a frutto lo sforzo di assistenza
compiuto durante i primi anni di applicazione del programma di aiuto
ai Paesi mediterranei (noto come programma “Meda”). Per
troppo tempo, la sua attuazione è stata intralciata da procedure
onerose, dipendenti sia dall’organizzazione amministrativa
comunitaria sia da quella dei Paesi beneficiari. A questo punto,
la nostra ambizione deve applicarsi tanto alla dimensione economica
quanto agli aspetti politici e culturali del parternariato euro-mediterraneo.
E’ chiaro che lo sviluppo economico passa attraverso l’attuazione
di riforme che consentano di progredire verso la libertà
degli scambi. La sua prima condizione è l’integrazione
del commercio Sud-Sud.
Un’armonizzazione del tipo “mercato unico” in seno
alla regione mediterranea è una necessità primaria,
e favorirà in parallelo l’adesione all’Organizzazione
mondiale per il commercio (Wto) e la convergenza con l’Unione
europea. L’orizzonte è quello di una zona euro-mediterranea
di libero scambio nel 2010. La scelta dell’apertura sul terreno
economico deve articolarsi con quella della stabilità democratica.
Il rispetto dei diritti dell’uomo, la saldezza dello Stato
di diritto e la corretta gestione degli affari pubblici costituiscono
un circolo virtuoso. In questa prospettiva, è possibile migliorare
ulteriormente la cooperazione euro-mediterranea. Naturalmente, essa
deve altresì prendere in considerazione i problemi della
sicurezza: malgrado gli avvenimenti mediorientali rischino di ritardarne
l’adozione, la Carta euro-mediterranea per la pace e la stabilità
sarà uno strumento utile.
Ma già ora dobbiamo utilizzare meglio gli strumenti del processo
di Barcellona. Occorre sottolineare due punti.
Da un lato, è importante imprimere un’accelerazione
alla negoziazione, alla ratifica e all’applicazione degli accordi
di associazione: com’è possibile garantire un parternariato
efficace senza disporre di questo “contratto”, che formalizza
gli impegni delle due parti?
Dall’altro, è necessario condurre in porto la riforma
del programma “Meda”, la cui nuova base giuridica è
stata appena varata. Nel quadro della riforma gestionale dell’insieme
dei programmi di aiuti esterni della Comunità europea, il
programma “Meda” deve avere un valore esemplare. I Paesi
beneficiari hanno ragione di guardare ad esso con grande attenzione.
Dobbiamo lavorare insieme per migliorare ulteriormente la qualità
della programmazione dei progetti e per accelerarne l’effettiva
attuazione.
In particolare, per meglio garantire l’efficacia dell’assistenza
finanziaria occorrerà senza dubbio perfezionare il rapporto
tra l’applicazione degli accordi di associazione e i finanziamenti
nel quadro “Meda”. Inoltre, va ribadita la natura multilaterale
dei programmi di cooperazione regionale: certi progetti dovrebbero
essere accessibili a un numero variabile di Stati membri e di partners
mediterranei direttamente interessati, secondo configurazioni che
potranno variare da un progetto all’altro.
Lo sappiamo: il Mediterraneo intrattiene con l’Europa relazioni
speciali, spesso appassionate. E’ “mare nostrum”,
mare circondato da terre, matrice di grandi civiltà, luogo
di scambio e linea di frontiera con il Sud. La nostra ambizione
è di rilanciare il parternariato euro-mediterraneo, superando
i fattori di frammentazione e sviluppandone l’integrazione.
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