Dicembre 2000

Dal 2000 al futuro

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“Mare nostrum”
per due sponde
Chris Patten Commissario europeo per le relazioni esterne - Ex governatore di Hong Kong
 
 

 

 

 

Le tensioni in MEdio Oriente non fanno che sottolineare la necessità di un dialogo più efficace tra i paesi rivieraschi del Mediterraneo.

 

Di fronte ai recenti avvenimenti mediorientali, l’Unione europea avrebbe potuto farsi tentare dall’idea di rinviare la IV Conferenza euro-mediterranea dei ministri degli Esteri, prevista per la metà dello scorso novembre. Questa scelta – la più facile – sarebbe stata percepita come una rinuncia. La presidenza francese dell’Ue ha invece avuto ragione decidendo di mantenere l’appuntamento di Marsiglia. Per quale motivo? Perché l’Europa non può prendere le distanze da questa regione strategica, rassegnandosi a non essere nulla più che un testimone passivo di uno spettacolo tragico. I Paesi mediterranei hanno più che mai bisogno dell’Europa, e l’Europa ha più che mai bisogno dei Paesi mediterranei. E’ in gioco un interesse comune.
Insieme, dobbiamo rispondere più efficacemente a un gran numero di questioni trasversali: gli scambi commerciali, la protezione dell’ambiente, la lotta contro il terrorismo e il traffico di droga, le migrazioni... Insieme, dobbiamo lavorare su questi temi concretissimi, sviluppando un dialogo strutturale nella durata, fattore di pace e di prosperità. In che modo? Dando un nuovo slancio a quello che era stato chiamato “il processo di Barcellona”, lanciato nel 1995 dall’Unione europea in parternariato con dodici Paesi del Mediterraneo meridionale. Dobbiamo utilizzare meglio questo formidabile strumento al servizio della stabilità. Chi potrebbe negare, oggi, che le tensioni del processo di pace in Medio Oriente non fanno che sottolineare la necessità di un dialogo più efficace tra i Paesi rivieraschi del Mediterraneo? Chi potrebbe negare che, lungi dal rimetterlo in discussione, le difficoltà in Medio Oriente invitano a rilanciare il processo di Barcellona, in una prospettiva di lungo periodo?
L’obiettivo di Barcellona è nello stesso tempo semplice e ambizioso: una regione in pace che goda di una prosperità generalizzata e favorisca la vitalità della società civile nel rispetto dei diritti dell’uomo e la comprensione reciproca delle civiltà. Questo triplice orientamento – politico, economico e culturale – deve guidare i nostri rapporti con i Paesi mediterranei. Noi li incoraggiamo a continuare ad avanzare sulla via tracciata dopo Barcellona, anche se certe scelte sono talvolta difficili da compiere.
L’Unione europea riconosce a questa politica un carattere prioritario. Al proposito, è necessario sottolineare che l’attenzione prestata, nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione, ai nostri vicini dell’Europa centrale e orientale non va a scapito dei rapporti con i vicini del Sud. I due movimenti procedono di pari passo e si rafforzano reciprocamente.
L’allargamento offrirà nuove opportunità di cooperazione con il Mediterraneo: il processo di Barcellona fa parte dell’acquisizione comune nel campo delle relazioni esterne, che i nuovi Stati membri dell’Unione finiranno con l’integrare. Ampliandosi ad Est, l’Unione europea non dimenticherà il Sud. Tutt’al contrario, noi oggi cerchiamo, con un realismo pari all’ambizione, di dare nuovo impulso al processo barcellonese. Il realismo è necessario per prendere atto dei risultati ottenuti, ma anche delle difficoltà incontrate dopo il 1995.
Il ritmo della transizione economica, che esige il completamento delle riforme necessarie per promuovere lo sviluppo del settore privato e incoraggiare gli investimenti, in qualche caso è stato deludente. Il volume degli scambi tra i partners mediterranei, in origine modestissimo, non è aumentato in una misura soddisfacente, mentre i progressi del commercio Sud-Sud saranno un elemento chiave nello sviluppo di una regione che attualmente non viene ancora percepita come una zona emergente integrata nell’economia mondializzata. Inoltre, lo spirito del parternariato avrebbe potuto condurre a risultati più rapidi su terreni di enorme importanza: i diritti dell’uomo, la prevenzione del terrorismo, le migrazioni o il coinvolgimento della società civile in un processo che deve offrire a quest’ultima grandi opportunità.
Non abbiamo saputo mettere pienamente a frutto lo sforzo di assistenza compiuto durante i primi anni di applicazione del programma di aiuto ai Paesi mediterranei (noto come programma “Meda”). Per troppo tempo, la sua attuazione è stata intralciata da procedure onerose, dipendenti sia dall’organizzazione amministrativa comunitaria sia da quella dei Paesi beneficiari. A questo punto, la nostra ambizione deve applicarsi tanto alla dimensione economica quanto agli aspetti politici e culturali del parternariato euro-mediterraneo.
E’ chiaro che lo sviluppo economico passa attraverso l’attuazione di riforme che consentano di progredire verso la libertà degli scambi. La sua prima condizione è l’integrazione del commercio Sud-Sud.
Un’armonizzazione del tipo “mercato unico” in seno alla regione mediterranea è una necessità primaria, e favorirà in parallelo l’adesione all’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) e la convergenza con l’Unione europea. L’orizzonte è quello di una zona euro-mediterranea di libero scambio nel 2010. La scelta dell’apertura sul terreno economico deve articolarsi con quella della stabilità democratica. Il rispetto dei diritti dell’uomo, la saldezza dello Stato di diritto e la corretta gestione degli affari pubblici costituiscono un circolo virtuoso. In questa prospettiva, è possibile migliorare ulteriormente la cooperazione euro-mediterranea. Naturalmente, essa deve altresì prendere in considerazione i problemi della sicurezza: malgrado gli avvenimenti mediorientali rischino di ritardarne l’adozione, la Carta euro-mediterranea per la pace e la stabilità sarà uno strumento utile.
Ma già ora dobbiamo utilizzare meglio gli strumenti del processo di Barcellona. Occorre sottolineare due punti.
Da un lato, è importante imprimere un’accelerazione alla negoziazione, alla ratifica e all’applicazione degli accordi di associazione: com’è possibile garantire un parternariato efficace senza disporre di questo “contratto”, che formalizza gli impegni delle due parti?
Dall’altro, è necessario condurre in porto la riforma del programma “Meda”, la cui nuova base giuridica è stata appena varata. Nel quadro della riforma gestionale dell’insieme dei programmi di aiuti esterni della Comunità europea, il programma “Meda” deve avere un valore esemplare. I Paesi beneficiari hanno ragione di guardare ad esso con grande attenzione. Dobbiamo lavorare insieme per migliorare ulteriormente la qualità della programmazione dei progetti e per accelerarne l’effettiva attuazione.
In particolare, per meglio garantire l’efficacia dell’assistenza finanziaria occorrerà senza dubbio perfezionare il rapporto tra l’applicazione degli accordi di associazione e i finanziamenti nel quadro “Meda”. Inoltre, va ribadita la natura multilaterale dei programmi di cooperazione regionale: certi progetti dovrebbero essere accessibili a un numero variabile di Stati membri e di partners mediterranei direttamente interessati, secondo configurazioni che potranno variare da un progetto all’altro.
Lo sappiamo: il Mediterraneo intrattiene con l’Europa relazioni speciali, spesso appassionate. E’ “mare nostrum”, mare circondato da terre, matrice di grandi civiltà, luogo di scambio e linea di frontiera con il Sud. La nostra ambizione è di rilanciare il parternariato euro-mediterraneo, superando i fattori di frammentazione e sviluppandone l’integrazione.

   
   
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