Il rischio è di originare una rottura
tra modello economico e modello sociale, con possibili ripercussioni
sulla praticabilità della costruzione politica.
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Due circostanze caratterizzano la fase presente nella società
italiana: il rifiuto della politica e il risveglio di interesse
verso i fenomeni economici, corsa verso la Borsa compresa. Daltro
canto, nel mondo assistiamo alla cosiddetta globalizzazione, veicolata
dalla diffusione delleconomia elettronica. Si tratta di un
fenomeno destinato a tradursi nel breve termine in modifiche sostanziali
delle posizioni di forza relativa tra Paesi diversi e tra aree geografiche.
Mentre la struttura economica mondiale e dei singoli Paesi va rapidamente
cambiando, offrendo nuove speranze e opportunità cui non
si era più abituati da anni e contemporaneamente risvegliando
sopiti timori e nuove paure dellignoto, la politica si mostra
incapace di soddisfare recenti e antichi bisogni delle popolazioni:
non è in grado di offrire speranze né certezze. Il
caso delle pensioni è emblematico circa lincapacità
delle classi politiche europee di affrontare senza infingimenti
gli effetti già oggi quantificabili dalla rivoluzione demografica
in atto nel Vecchio Continente.
A questi fattori di incertezza si aggiunge, specificamente in Italia,
la circostanza che, dopo circa un decennio, non è ancora
compiuta la transizione del sistema politico: la cosiddetta rivoluzione
italiana non si è completata né ha dato luogo a una
vera restaurazione, si è limitata a lasciare sospese alcune
conseguenze e a non risolvere i problemi di fondo. Ne è derivata
una crescita di sfiducia nellelettorato, più accentuata
rispetto agli altri Paesi europei, e la conseguente fuga dalle urne.
Questa situazione è resa più evidente, da noi, dalla
constatazione delle condizioni attuali della vita politico-amministrativa.
Se si esamina la realtà di quanto produce oggi il Parlamento
che, stando alla norma costituzionale scritta, resta pur
sempre la sede della rappresentanza ci si può legittimamente
domandare se per caso il Parlamento negli anni più recenti
non si sia consapevolmente suicidato (secondo lespressione
di T.J. Lowi, in La scienza delle politiche), o, quanto meno, abbia
accettato una fase di eutanasia politica pur di sopravvivere nella
forma e nellimmagine esterna. Il semplice esame della quantità
e del rilievo delle norme emanate direttamente dal governo, facendo
un ricorso ossessivo allo strumento di deleghe legislative generalizzate
e spesso in bianco che tra laltro hanno
rivoluzionato intere materie, come il fisco, la pubblica amministrazione,
il welfare e la sicurezza ha, di fatto, svuotato lagenda
e il ruolo del Parlamento, che ne è risultato ridotto sostanzialmente
a luogo di ratifica delle decisioni assunte in Consiglio dei Ministri
o, più spesso, nel chiuso delle segreterie delle varie branche
dellesecutivo.
A ciò si aggiunge levidente squilibrio di poteri a
favore del governo derivante dalla legislazione di riforma della
pubblica amministrazione, che consente al governo stesso di intervenire
con propri atti normativi in una materia dalla Costituzione riservata
alla legge, quale la struttura dellorganizzazione amministrativa
e dei ministeri.
In questa fase si è assistito inoltre allespansione
di poteri vasti e insindacabili delle agenzie regolatorie (dalla
Consob allAntitrust) che, con la finalità di regolamentare
i mercati e a volte di fissare prezzi e tariffe, incidono direttamente
sullattività economica generale e sulle scelte di consumo
e di investimento dei comuni cittadini. Esse non rispondono ad alcun
potere costituito e in fondo a volte neppure al governo stesso,
che pure ne nomina i presidenti e i componenti. Realizzano in realtà
un rilevante mutamento dellequilibrio tra i poteri, a vantaggio
delle tecnocrazie, che non sempre corrispondono allesecutivo,
e a danno di coloro che trovano motivo di legittimazione nellinvestitura
democratica.
Si tratta daltronde di una tendenza in atto che sembra inarrestabile,
e che spinge verso lattribuzione di poteri a organismi di
carattere monocratico e alla corrispondente riduzione di quelli
tradizionalmente detenuti dagli organi assembleari. Come non si
può più ragionevolmente parlare di governo del
Parlamento, analogamente i nuovi sistemi elettorali adottati
per comuni, province e regioni hanno accentuato i poteri dei sindaci
e dei presidenti, rispetto a Consigli che diventano sempre più
incolori, persino incapaci di dare voce a pur consistenti opposizioni.
Il medesimo fenomeno si verifica nel settore della giustizia: è
il caso della riforma che ha previsto listiotuzine di un giudice
unico, in sostituzione dei collegi giudicanti, per i processi di
minor valore, però anche in materia penale e con effetti
sulla libertà personale, che possono giungere a condanne
sino a dieci anni di reclusione. A dimostrazione del fatto che il
mito dellefficienza decisionale ha travalicato, fino ad una
sostanziale coincidenza con il personalismo. E non è detto
che il principio democratico sia sempre identificabile con la sola
facoltà di scegliere i soggetti titolari dellesercizio
di poteri, senza la possibilità di svolgere un controllo
successivo: in mancanza di un sistema di pesi e contrappesi efficaci,
la funzione pubblica si trasforma in potere insindacabile.
LEuropa dei governi
Se si esamina poi quanto è avvenuto in Europa, si possono
trarre considerazioni non dissimili. Infatti, la costruzione della
moneta unica ha visto la prevalenza dellazione del Consiglio
(composto da rappresentanti dei singoli governi nazionali) e della
Commissione europea sul Parlamento europeo e sugli stessi Parlamenti
nazionali. La realizzazione delleuro si è retta su
un processo deciso e guidato dai governi, rispetto al quale i Parlamenti
hanno finito per adeguarsi. In qualche caso si sono svolti referendum
popolari, ma gli interlocutori delle popolazioni e i destinatari
delle decisioni assunte con tali strumenti di democrazia diretta
sono stati i rispettivi governi, che hanno così realizzato
una forma nuova di colloquio diretto con i cittadini, non mediato
da meccanismi di rappresentanza parlamentare, sebbene si trattasse
di scelte che implicavano una rilevante complessità tecnica
e una pluralità di decisioni attuative.
Daltra parte, gli stessi meccanismi di funzionamento delle
istituzioni dellUe dimostrano come esse siano fortemente sperequate
a vantaggio dei governi e a danno della rappresentanza popolare.
Basterebbe considerare il processo di formazione del bilancio comunitario,
nel quale il Parlamento europeo, pure eletto a suffragio universale
diretto dai cittadini europei, non dispone nemmeno di un reale potere
di emendamento relativamente alla parte del bilancio non espressamente
riservata allesecutivo, per constatare come tutto il sistema
tenda, nelle migliori circostanze, a funzionare non diversamente
da un meccanismo di rappresentanza di secondo grado.
Ulteriore dimostrazione è il fatto che dopo lentrata
in funzione delleuro si sono verificati non trascurabili inconvenienti:
la moneta europea ha perso circa il 15% del suo valore solo nel
primo anno, il ruolo dellEuropa nel mondo non si è
affatto accresciuto, anzi non sembra orientato ad altro che alla
rappresentazione sulla scena planetaria di una contemporanea forma
di ancien régime e alla strenua difesa di un
modello di vita sostanzialmente elitario, e quindi difficilmente
esportabile. La limitata capacità dei governanti europei
di risolvere i principali problemi del Continente, dallo sviluppo
alla disoccupazione, alla pressione demografica, alla sicurezza
dei confini orientali e meridionali e alla connessa questione delle
immigrazioni più o meno clandestine, è la dimostrazione
che lEuropa tende oggi a rappresentare unoasi del mondo
in cui anche la composizione anagrafica della popolazione costituisce
indice di un declino annunciato. Ne deriva un diffuso senso di sfiducia
da parte dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni dellUe,
vista come soggetto lontano, sostanzialmente estraneo e scarsamente
rappresentativo. Se poteva essere in parte giustificata lopzione
di realizzare lunificazione monetaria ad opera dei governi,
meno giustificata è quella di proseguire il cammino verso
lunificazione politica delegandone limpulso a organismi
non direttamente rappresentativi e relegando i Parlamenti al ruolo
di semplici spettatori. Quello della costruzione di unEuropa
politica è un processo che mira a coronare un grande disegno,
nato da unutopia trasformatasi ora in esigenza reale, per
la realizzazione della quale è tuttavia indispensabile lesplicito
consenso dei cittadini europei. Si correrebbe altrimenti il rischio
di veder prevalere gli egoismi nazionali e le ragioni delle differenziazioni
rispetto al bene comune e alle nuove opportunità. Il timore
di costruire lunità del Continente su basi troppo fragili
potrebbe portare allabbandono del progetto.
LEuropa dei valori
Come in tutte le epoche di transizione, ci si interroga, in Europa,
ma non solo, sui valori posti alla base del vivere civile. Ci si
domanda se esistano ancora valori morali, come questi si pongano
rispetto a quelli economici, e se sia possibile conciliarli, ovvero
se si assista a una contrapposizione che porterà alla prevalenza
degli uni sugli altri.
LUe è alla ricerca di valori comuni. Si è riproposta
di scrivere una nuova Carta dei diritti, una sorta di
moderna dichiarazione dei diritti delluomo. Tuttavia, due
ostacoli si frappongono al successo delliniziativa: la difficile
esportabilità nel resto del mondo di un modello che, per
quanto progredito e attento ai diritti politici e sociali, potrà
forse essere immediatamente applicato solo in unisola che
in buona parte risulta esclusa dai grandi movimenti mondiali (si
pensi allinsoddisfacente livello dei commerci tra lUe
e il resto del mondo) e che conduce stili di vita assai differenti
da quelli della parte prevalente della popolazione mondiale; leventuale
ricerca, nella definizione della Carta, di una restaurazione
di modelli del passato, difficilmente riproducibili in un sistema
di mercato mondiale di massa. Il rischio è di originare una
rottura tra modello economico e modello sociale, con possibili ripercussioni
sulla praticabilità della costruzione politica. Il modello
europeo non può essere esportato, senza una radicale trasformazione.
Per sopravvivere, esso dovrà adattarsi e modernizzarsi, recependo
e anticipando le novità che derivano dalla rivoluzione economica.
La sfida è tra mantenere un modello culturale che ha consentito
la crescita di sistemi economici tali da permettere la diffusione
del benessere nelle popolazioni e nello stesso tempo la tutela dei
valori umani, della dignità delle persone, della libertà
individuale e della consapevolezza storica, ma in unarea geograficamente
ristretta e relativamente poco abitata, e provocare la frantumazione
del modello stesso nel momento in cui esso si misura con i problemi
originati dalla sua diffusione su larga scala, a causa dei costi
eccessivi di un sistema sociale ritagliato su di una società
chiusa.
Un segnale positivo deriva dal fatto che la società civile
si va riappropriando ampi spazi di libertà, sottratti alla
politica dopo decenni di ubriacatura panpolitica. In realtà,
i politici e la politica avrebbero tutto da guadagnare se tornassero
entro i confini originari, a loro volta riappropriandosi il territorio
delle decisioni generali e abbandonando quello della regolamentazione
dei rapporti tra individui, materia della quale si sono troppo occupati,
con risultati del tutto insoddisfacenti, negli ultimi anni.
I meccanismi stessi delleconomia globale, per loro natura,
sfuggono alla regolamentazione da parte degli Stati. Le ricchezze
non coincidono più con i possedimenti territoriali, i capitali
sono volatili, le forze di lavoro sono mobili, le imprese grandi
e piccole tendono a dislocarsi in una pluralità di Stati,
anche mettendoli in competizione tra di loro. Leconomia, e
la quantità di interessi che essa mobilita, prevale sulla
politica. Ciò tanto più, se la politica ha la pretesa
di mettersi in competizione con leconomia. Pretesa errata
sotto due profili. Il primo è che nessuno Stato è
in grado di mobilitare a fini di politica economica capitali di
entità pari a quelli che si muovono quotidianamente sui mercati
mondiali. Anche la Bce non dispone di riserve sufficienti per far
fronte ad attacchi speculativi di entità rilevante sul cambio.
Il secondo è che leconomia elettronica costituisce
il più potente strumento, dallepoca delle arti e mestieri
medioevali, per esaltare lo spirito individuale di autonomia e imprenditorialità
(gli animal spirits) degli operatori economici, vecchi
e nuovi, che non necessitano di ingenti capitali per entrare nel
mercato e ottenere un successo basato esclusivamente sul potenziale
delle idee.
Questo approccio porterà nel brevissimo tempo a diffondere
una valutazione nel senso positivo dellautonomia e della libertà
individuale, dapprima come indispensabile strumento economico, e
poi come ineludibile presupposto delle scelte politiche. Ne deriverà
la necessità di modificare il vecchio modo di far politica
e di innovare metodi, strumenti e oggetto della competizione politica.
A cominciare dal rendere più veloci le decisioni e realizzare
un sistema di scelte decentrate, che possano tuttavia influire direttamente
su quelle centrali.
Occorrerebbe, a questo punto, chiedersi se abbia ancora senso la
tripartizione dei poteri descritta dal Montesquieu. Rispetto a due
secoli fa, oggi è più difficile descrivere il contenuto
di ciascuno dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario e, di
conseguenza, anche i loro titolari sono meno facilmente identificabili.
Probabilmente, una revisione di questa antica catalogazione potrebbe
essere utile, tenendo conto anche del fatto che i modelli costituzionali,
da una parte, si sono andati aggiornando e, dallaltra, devono
necessariamente adeguarsi per affrontare con possibilità
di successo le sfide della globalizzazione delleconomia.
Mentre non esiste più un vero e proprio potere esecutivo,
che si limiti ad attuare le scelte legislative del Parlamento (lo
aveva sottolineato leconomista von Hayek), si potrebbe parlare
di un autentico potere governativo, che assorbe la capacità
di emanare norme generali e astratte e di disciplinare situazioni
particolari, di gestire lamministrazione e di perseguire obiettivi
autodeterminati, senza incontrare il limite relativo alle scelte
generali imposte da un soggetto esterno. Si tratta di un potere
che si pone gli obiettivi, sceglie gli strumenti e gli uomini per
realizzarli, si dota del budget necessario e dispone della forza
per attuare le proprie decisioni.
A questo potere, di inusuale vastità, non si contrappone
più un potere legislativo, inteso come quello che definisce
le regole generali e astratte del vivere civile, bensì un
organismo rappresentativo della volontà popolare che assomiglia
sempre più a unassemblea degli azionisti di una società
per azioni: un organo di controllo, che può sanzionare comportamenti
scorretti, togliere la fiducia a chi gestisce, sollecitare la soluzione
di singole questioni, ma che non è dotato della possibilità
di indirizzare e scegliere gli obiettivi strategici. Questo secondo
potere, in realtà, oggi è diviso tra il Parlamento
e il sistema giudiziario: luno destinatario di una potestà
di intervento di carattere preventivo e astratto, laltro dotato
di poteri sanzionatori che intervengono in via successiva e concreta,
con riferimento a singole fattispecie o persone.
Accanto a questi due poteri, governativo e di controllo, è
presente una sorta di terzo potere innominato, la cui titolarità
è detenuta da un elenco aperto formato da soggetti dotati
di differenti caratteristiche e natura. Esiste, in sostanza, una
specie di terzo potere indipendente, composto da quelli che possono
influire sulla formazione delle scelte pubbliche, sia come autorità
indipendenti, sia come esponenti di interessi delleconomia
e dei mezzi di comunicazione di massa che, a diverso titolo, interagiscono
con la pubblica opinione, indirizzandola verso opinioni e scelte
e valutandone orientamenti e scelte.
Di fronte a un contesto così nuovo, occorre operare un regolamento
di confini di quanto potrebbe costituire una visione aggiornata
di democrazia. In essa dovrebbero essere affidate al popolo le grandi
scelte politiche e resi i meccanismi istituzionali più forti
ed efficienti. In misura analoga, si deve circoscrivere la sfera
dazione e di potere delle tecnocrazie, che in qualche modo
occorre ricondurre al principio della responsabilità politica.
Solo così si allarga lo spazio di libertà dei singoli
e si limita la presenza pervasiva dello Stato e delloperatore
pubblico, strumenti ormai di freno anziché
di stimolo.
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