Dicembre 2000

Oltre la “linea teutonica”

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Più creatività a Francoforte
Manuel Rios Galante  
 
 

 

 

 

 

La differenza che ha improntato l'intera genesi della moneta unica ha prodotto una Bce fatta sullo stampo della Bundesbank.

 

La Bce (Banca centrale europea) è l’unica istituzione compiuta alla quale sia pervenuta l’integrazione tra i Paesi del Vecchio Continente più avanti in questa processo. C’è una Commissione che presiede alle politiche che ciascuno Stato, nella sua autonomia, ha scelto di mettere in comune,ma non c’è un potere legislativo, il Parlamento avendo soltanto poche funzioni ed ancor meno poteri, e non c’è un potere esecutivo, se non disseminato tra i quindici governi dei Paesi membri che solo raramente, e sempre con grande fatica, riescono ad esprimere un indirizzo comune. Né c’è un’unica politica estera, che rappresenti l’Europa nel suo insieme.
C’è, invece, una Banca centrale che ha il compito di gestire l’unica politica realmente e integralmente comune almeno tra undici dei quindici membri dell’Unione, la politica monetaria appunto, intesa fin dal suo concepimento come grimaldello per forzare le resistenze che incontra ogni disegno di integrazione politica. Si disse, e tuttora si dice, che una politica monetaria comune, una moneta comune, finirà per imporre quell’unione politica la cui genesi, altrimenti, sarebbe assai più incerta e comunque più lunga. Ne discende che dalla riuscita dell’esperienza di una politica monetaria e di una moneta comune dipende il futuro dell’integrazione, insieme con il comportamento di quel disegno che, al termine del cammino intrapreso mezzo secolo fa col Trattato di Roma ha sempre posto (e presupposto) una unione politica.
Se questo è il ruolo storico della Banca centrale europea, è facile concludere che non tira una buona aria. Questo, perché la Bce non è uscita ad accreditare un suo ruolo, istituzionale ancor prima che tecnico, finendo per venire identificata – sia pure a torto – con il cambio della moneta. Anche se la debolezza dell’euro non è neanche un po’ riconducibile oggettivamente alla responsabilità della Banca, essa sembra autorizzare polemiche, contestazioni, persino dileggio in una forma e con una violenza delle quali non c’è alcun precedente nella storia di una qualche Banca centrale di qualsivoglia Paese.
La lira è stata una moneta che nella sua pur breve storia ne ha passate di tutti i colori ma il prestigio e l’autorevolezza (oltre che l’autorità) della Banca d’Italia non ne sono mai stati toccati; nessun giornalista si è mai permesso toni provocatori e quasi sprezzanti come quelli usati durante la conferenza stampa di Duisemberg qualche tempo fa; nessun organo istituzional ha mai contestato tanto apertamente l’operato della Banca come hanno fatto poco dopo, il ministro italiano del Lavoro o il relatore della Commissione Bilancio dell’Assemblea nazionale francese; nessun autorevole quotidiano ha mai titolato un editoriale sul Presidente di una Banca centrale nei termini di un “Olandese rotolante”. Sotto l’aspetto tecnico, non ci sono critiche che con un certo fondamento possano esser mosse alla Bce. Ma proprio qui sta il punto: anzi, l’equivoco. La Bce non può essere governata come una Banca centrale normale, perché non è una Banca centrale normale. Avere come complementi istituzionali undici governi non significa che può rivolgersi al loro insieme, come una Banca solitamente con il “suo” governo, perché ciascuno di quegli undici ritiene di incidere così poco che non modifica il suo comportamento quando sia dettato da interessi politici inerenti al proprio Paese.
Insomma, quale degli undici governi affronta l’impopolarità delle riforme sollecitate da Duisemberg quando, anche facendolo, inciderebbe soltanto marginalmente sul quadro di riferimento della politica monetaria e del cambio dell’euro? Ogni governo si ritiene destinatario di un undicesimo delle critiche, delle richieste, delle azioni della Banca centrale; non sarà certamente questa piccola quota a modificare scelte e comportamenti.
La reciproca diffidenza che ha improntato l’intera genesi della moneta unica e della Bce, e in particolare quella della Germania per i Paesi “mediterraneo”, ha prodotto una Bce fatta sullo stampo della Bundesbank, e un presidente che con la sua ortodossia, ben collaudata in quindici anni di governo della moneta più strettamente ancorata al marco tedesco, (il fiorino olandese), potesse garantire un governo dell’euro di stampo teutonico. Serviva – e non è certamente “senno di poi” – una persona con le caratteristiche opposte: grande autorevolezza internazionale, carisma, senso della collocazione istituzionale, esperienza politica e di governo e – perché no? – inclinazione alla creatività e alle eterodossia; in definitiva, una persona in grado di imprimere un carattere personale ad una istituzione alla quale le circostanze impedivano di averne.
L’unione monetaria è oggi una realtà soltanto perché è stata realizzata come la voleva la Germania. l’alternativa sarebbe stata uno stallo nel processo d’integrazione dell’Europa deleterio sotto ogni profilo. Ma ora sarebbe necessario affrontare i limiti e i condizionamenti con i quali l’unione monetaria è nata, e con essa la Banca centrale europea. Cosa ardua, del tutto improbabile, o addirittura al di là dell’orizzonte del possibile. Ma questo non riduce di una virgola il rischio che il futuro dell’Europa può correre se l’unica istituzione realmente comune verrà lasciata nel discredito nel quale è palesemente caduta.

   
   
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