Dicembre 2000

Allarme nel paese-guida dell’Ovest

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Boom con voragine
Lester C. Thurow Economista del MIT
 
 

 

 

 

Gli investigatori dovrebbero
correre verso
lo yen giapponese oppure verso l'euro:
nessuna delle due
opzioni è molto
attraente.

 

Nascosto nel mezzo di un’economia americana altrimenti perfetta, si cela un buco nero: un enorme deficit commerciale, superiore a 400 miliardi di dollari (circa 900 mila miliardi di lire, pari al 4 per cento del Prodotto interno lordo Usa). E come ha riferito il Dipartimento per il Commercio, cresce ancora. In astrofisica i buchi neri risucchiano tutto, luce compresa, e non rilasciano mai nulla.
Tutti, dal presidente della Federal Reserve fino agli analisti pubblici e privati nel resto del mondo, temono che il deficit commerciale si comporti esattamente come un buco nero, facendo semplicemente sparire l’attuale boom economico americano. In realtà, il Congresso è talmente preoccupato da avere istituito una Commissione per la revisione del deficit commerciale, affinché indaghi sui possibili pericoli e su come evitarli.
La Commissione – io sono uno dei dodici membri – riferirà le sue conclusioni nel breve periodo. Preoccupazioni a parte, però, gli Stati Uniti hanno convissuto con i deficit commerciali per vent’anni, senza essere risucchiati da un buco nero, e potrebbero farlo per altri vent’anni ancora.
Lo scenario secondo cui il deficit commerciale potrebbe distruggere l’attuale prosperità americana è noto. Si tratta semplicemente di un replay di quanto recentemente accadde al Messico e all’Asia sud-orientale, quando gli investitori persero fiducia nel peso e nel bath thailandese e lasciarono rapidamente quei Paesi. Allo stesso modo, gli investitori stranieri, temendo un futuro calo del dollaro, deciderebbero di ritirare i propri fondi dagli Stati Uniti. Questo riflusso di fondi, in uscita dal Paese, inizierebbe lentamente, ma presto diventerebbe una corsa terrorizzata verso l’uscita perché tutti, compresi gli investitori americani, vorrebbero liberarsi degli investimenti in dollari prima del collasso del valore della divisa statunitense. La fuga degli investitori provocherebbe proprio ciò che molti di essi temono: un’enorme caduta del valore del dollaro e, quindi, un’enorme caduta del valore dei loro investimenti.
Inoltre, anche il consumatore medio americano vedrebbe crescere di molto i prezzi dei prodotti importati. Le automobili, l’abbigliamento, le apparecchiature elettroniche straniere, tutto diventerebbe più costoso. Anche se oggi il petrolio viene venduto sui mercati internazionali in dollari, il crollo del valore di questa moneta provocherebbe o un grande aumento del prezzo in dollari del petrolio importato, oppure il passaggio dei prezzi del petrolio a qualche altra valuta.
In un caso o nell’altro, poiché noi importiamo più della metà del petrolio che usiamo, i prezzi dei carburanti alla pompa schizzerebbe verso l’alto. E quali che siano i mezzi di cui disponiamo, con i nostri soldi inizieremmo a poterci permettere sempre di meno. Al calo del potere di acquisto si aggiungerebbe la diminuzione reale delle retribuzioni in dollari. La disoccupazione balzerebbe verso l’alto, perché il Board della Federal Reserve dovrebbe aumentare i tassi d’interesse così tanto da provocare un’ampia recessione in Usa.
Se un qualsiasi altro Paese avesse il deficit commerciale che abbiamo noi, questo scenario si sarebbe probabilmente già realizzato. Ma può realizzarsi negli Stati Uniti, viste le dimensioni della nostra economia e il ruolo globale che il dollaro ha nel commercio internazionale? Se siete ottimisti, risponderete «no». Gli ottimisti notano che c’è una grande differenza nella natura dei capitali che affluiscono negli Stati Uniti, aiutandoci a finanziare il nostro deficit commerciale, e i capitali che finanziavano i deficit commerciali del Messico o dell’Asia sud-orientale. Quei Paesi chiedevano letteralmente in prestito denaro, soprattutto a breve termine. Nel caso dell’America, invece, la maggior parte dei capitali arrivano sotto forma di investimenti in Borsa per l’acquisto di azioni, di terre o di imprese. Questi investimenti vengono fatti perché gli stranieri ritengono che si tratti di buoni affari.
Finché l’economia americana andrà bene, non c’è motivo di temere che gli stranieri si ritirino dagli Stati Uniti. Essi investono da noi i loro soldi perché ricevono profitti maggiori che non sui loro mercati di provenienza. E’ anche vero che se si fugge dal dollaro bisogna pur fuggire verso un’altra valuta. Quando si scatena il panico riguardo al peso messicano o al bath thailandese, gli investitori comprano dollari. Ma che cosa devono comprare gli investitori quando fuggono dal dollaro? Le somme, in un caso del genere, sarebbero così ingenti che vi sono pochi mercati capaci di assorbirle. Gli investitori dovrebbero correre verso lo yen giapponese (un’economia che non cresce da dieci anni), oppure verso l’euro (una valuta che non si è dimostrata molto forte dal suo apparire). Nessuna delle due opzioni è molto attraente.
I pessimisti sottolineano che un deficit commerciale costante richiede flussi sempre maggiori di fondi dall’estero. I Paesi che hanno un deficit commerciale devono attrarre flussi di fondi sufficienti a coprire i loro deficit commerciali, a pagare gli interessi e anche i dividendi attesi sugli investimenti stranieri preesistenti. Fintanto che i deficit commerciali crescono, quegli investimenti stranieri diventano col tempo sempre più massicci, e allo stesso modo cresce il totale degli interessi e dei dividendi da pagare. Il risultato è che l’afflusso di fondi deve essere continuamente più ampio. Alla fine, le somme da pagare diventano semplicemente più grandi di quanto il resto del mondo non sia disposto a investire negli Stati Uniti, anche se l’economia americana va bene. In fin dei conti, nessuno investe in America per il bene di investire in America. Lo si fa per riportare a casa i soldi e accrescere lì i livelli di consumo.
Ma c’è anche un fattore tempo, in gioco. Gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale da vent’anni. Anche se ciò non potesse durare in eterno, ciò non vuol dire che gli Usa non possano avere un grosso deficit commerciale per altri vent’anni. E se il buco nero non apparirà per altri vent’anni, probabilmente non c’è motivo di preoccuparsene ora. Le azioni necessarie ad evitare un problema che si presenterà tra vent’anni non verranno sicuramente adottate dal nostro governo. Le democrazie, semplicemente, non funzionano in questo modo. Il limite è incerto. E nessuno sa se il buco nero esista per davvero.

   
   
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