Dicembre 2000

Il costo del greggio

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Oro nero in pensione
Carlo Rubbia Premio Nobel per la Fisica
 
 

 

 

 

Entro cinque anni possiamo allestire flotte di autobus
a idrogeno:
a Torino
la sperimentazione è già partita.

 

Non c’è dubbio che questa crisi petrolifera non sarà passeggera. E’ in atto un fenomeno strutturale che sta innescando un nuovo equilibrio dei prezzi. E’ quindi indispensabile muoversi per cercare nuove fonti di energia alternativa al petrolio. Certamente, non sarà un processo breve, ma proprio perché è un processo che ha bisogno di tempo occorre incominciare subito.
Ci sono due linee sulle quali sarà necessario lavorare in parallelo. Da un lato c’è la ricerca della massima efficienza energetica, che presenta vantaggi sia economici sia ambientali, e che è praticabile anche immediatamente: con le pile a combustibile o con le nuove turbine è possibile aumentare l’efficienza delle centrali elettriche dal 30 al 50 per cento. E poi c’è la linea dei nuovi combustibili, come l’idrogeno.
Questa, più che una grande speranza, è una grande certezza. Quella dell’idrogeno, infatti, è una tecnologia di enorme futuro e noi abbiamo molte competenze in questo campo. Lo schema è semplice. Prendiamo il metano, che contiene idrogeno, e facciamo una reazione che si chiama “reforming”, nella quale il carbonio si lega con l’acqua e produce Co2, e l’idrogeno si libera. Lo filtriamo, lo isoliamo, lo possiamo trasportare nei metanodotti e quindi utilizzare nelle centrali elettriche, nelle auto, negli autobus. Quando lo si brucia, produce soltanto acqua e nessun inquinante. In questo modo si hanno emissioni zero, partendo da un combustibile fossile.
L’anidride carbonica che si libera nel processo di “reforming”, infatti, e che tanto nuoce al clima, a settanta atmosfere è liquida. La si può convogliare nei pozzi esauriti di metano, con il beneficio secondario di provocare un’interruzione dell’abbassamento del suolo, o persino un innalzamento. Il che, ad esempio, in molte zone della Pianura Padana e dell’Adriatico, vittime della subsidenza, sarebbe un indubbio vantaggio. Oppure si può convogliare la Co2 negli acquiferi salini, oppure ancora la si può trasformare in dolomite e usare come materiale da costruzione. Sono tutte tecnologie già esistenti.
Non esiste nessun problema per l’immissione di Co2 nel sottosuolo. Infatti non faremo altro che sostituire un gas con un altro gas. Con il vantaggio che se per errore dovesse sfuggire dell’anidride carbonica e finire in una falda acquifera il solo rischio sarebbe quello di avere dell’acqua gasata.
Punto di domanda: quanto ci costerebbe? Io rispondo: quanto ci costa oggi l’inquinamento? E quanto ci costa la dipendenza dai Paesi produttori di petrolio?
Ebbene: noi riteniamo che in meno di cinque anni, a partire da oggi, sia possibile costruire una centrale elettrica a idrogeno di una taglia di alcune centinaia di megawatt. Ed entro cinque anni possiamo allestire flotte di autobus a idrogeno: a Torino la sperimentazione è già partita. Le auto, sulle quali lavorano da anni produttori automobilistici di primo piano, seguiranno. L’idrogeno può essere una risposta vincente nel medio periodo, e per fortuna in campo europeo l’Italia ha preso una posizione di evidente leadership.
Il futuro del “sistema Paese” passa anche dalla ricerca. E’ per questo che – stretti dal continuo taglio delle risorse che in questi ultimi cinque anni sono scese del 30 per cento – i presidenti degli enti di ricerca pubblica (dal Cnr all’Enea, all’Infn) sono nuovamente scesi in campo e hanno lanciato un appello perché sia dato corso al progetto che prevede stanziamenti aggiuntivi per 4.000 miliardi di lire. Che al profano possono sembrare molti, mentre il realtà sono poco più che una boccata d’ossigeno, se si pensa che faranno aumentare dall’1,1 all’1,3 per cento del Prodotto interno lordo la spesa per la ricerca. Il pericolo è che per la ricerca si crei un’Europa a due velocità. Mentre Francia e Gran Bretagna premono sull’acceleratore e già spendono il 2 per cento, noi pensiamo di farcela con poco più della metà. Ma ben difficilmente chi spende sarà disponibile a mettere in comune con noi i suoi risultati.
Se si aumenteranno i finanziamenti per la ricerca, sapremo bene come spenderli con efficienza, dando anche un segnale importante al mondo dell’industria. Se invece arriverà poco o nulla, potremo chiudere bottega.

   
   
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