Dicembre 2000

Nel Villaggio Globale

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Non solo mercati
Dennis F. Thompson Docente Univ. di Harvard
 
 

 

 

 

 

Che genere
di liberalismo
e che genere
di democrazia
sono più adatti
nell'epoca della
globalizzazione?

 

Agli albori dell’Unione europea, la famiglia Casagrande lasciò la propria casa nell’Italia del Nord per andare a lavorare in Germania. Sebbene i loro nuovi impieghi come lavoratori immigrati non li rendessero certo ricchi, le prospettive per il futuro sembravano migliori, soprattutto per il giovane Donato, che poteva giovarsi dei servizi sociali e dell’istruzione.
I Casagrande iscrissero Donato alla Realschule di Monaco e, dopo la morte del padre, la madre presentò domanda per gli assegni mensili che la legge bavarese riconosce agli studenti con famiglia a basso reddito. Ma il municipio di Monaco respinse la domanda, dichiarando che la stessa legge che offre sostegno agli studenti poveri considera i non tedeschi non ammissibili (a meno che non siano apolidi o stranieri residenti in base al diritto d’asilo). Il fatto che Donato avesse vissuto tutta la vita in Germania non importava.
I Casagrande si appellarono avverso questa decisione; non, come ci si potrebbe aspettare, alle autorità tedesche, ma alla Corte europea di giustizia. Si appellarono all’articolo 12 del regolamento del Consiglio europeo, che prevede che i figli di cittadini di altri Stati dell’Unione europea debbano essere ammessi all’istruzione alle stesse condizioni dei cittadini di ciascuno Stato nazionale. La Procura bavarese scese in campo, mettendo in dubbio l’autorità del Consiglio europeo a stabilire tale regolamento, ma la Corte europea si schierò con il Consiglio, e Donato Casagrande ebbe il suo assegno.
Il caso è diventato una pietra miliare nello sviluppo del diritto costituzionale dell’Unione europea, sollevando molte interessanti questioni di politica e di giurisprudenza in materia di integrazione regionale e di legge internazionale. Ma, per quel che ci riguarda, la sua importanza consiste nel fatto che esso illustra alcune delle sfide più significative alla teoria della democrazia liberale nella società globale. Compresi in questo caso, sono gli elementi-chiave dei problemi che la globalizzazione pone per il liberalismo e per la democrazia.

A prima vista, il caso Casagrande si direbbe un esempio del tradizionale conflitto tra regola della maggioranza e diritti dell’individuo, o, più in generale, tra democrazia e liberalismo. E in effetti qualche cosa di questo conflitto è presente: la maggioranza democratica di Baviera ha emanato una legge che si è ritenuto violasse un diritto dell’individuo. Ma c’è qualcosa di problematico che riguarda entrambi i versanti di questo conflitto; e neppure questo si adatta perfettamente alla cornice abituale della democrazia liberale.
Se la democrazia liberale può e deve essere tenuta viva nello Stato nazionale, che genere di liberalismo e che genere di democrazia sono più adatti nell’epoca della globalizzazione? Ogni teoria soddisfacente della democrazia liberale deve essere in grado di confrontarsi con i due problemi generali ai quali né il cosmo politismo né la teoria della società civile rispondono adeguatamente. Sul versante della democrazia, deve fare i conti col problema delle maggioranze molteplici; sul versante del liberalismo, col problema del disaccordo sui diritti. Credo che la democrazia deliberativa – una teoria della democrazia che sta ricevendo crescente attenzione negli ultimi anni – indichi la strada più promettente per affrontare questo tipo di problemi. Qui, intendo soltanto dimostrare brevemente come la democrazia deliberativa può far fronte ai due problemi generali menzionati.

La premessa fondamentale della democrazia deliberativa è che le leggi e le politiche imposte agli individui devono essere giustificate ai loro occhi in termini che essi possano ragionevolmente accettare. La teoria è “deliberativa”, perché i termini che raccomanda sono concepiti come ragioni che i cittadini, o i loro rappresentanti di fiducia, si danno l’un l’altro, in un processo continuo di mutua giustificazione. Le ragioni reciproche non sono meramente procedurali (“perché la maggioranza lo vuole”), o esclusivamente sostanziali (“perché è un diritto umano”). Esse si appellano a principii morali (come le libertà fondamentali o l’uguaglianza di opportunità) che gli individui, motivati a trovare termini equi di cooperazione, possano realmente accettare. Certamente, alcune delle ragioni che possono essere accettate in questo senso spesso non lo sono di fatto, in quanto le condizioni sociali e politiche non sono favorevoli alla pratica della deliberazione. Ma la democrazia deliberativa mantiene questo standard di reciprocità come un ideale contro il quale le pratiche reali devono essere misurate.
Al vertice del 1996, il Gruppo dei Sette stilò una comunicazione (intitolata “Rendere il successo della globalizzazione un beneficio per tutti”) nella quale si sosteneva: «In un mondo sempre più interdipendente dobbiamo tutti quanti riconoscere che abbiamo interesse a diffondere i benefìci della crescita economica quanto più ampiamente possibile».
Il sentimento è benvenuto, ma lo scopo è incompleto. In un mondo sempre più interdipendente abbiamo tutti un interesse a diffondere i benefìci della libertà e della democrazia quanto più ampiamente possibile. Questo scopo politico non è meno importante di quello economico, e sebbene possano entrare in conflitto, alla fine essi stanno oppure cadono insieme. Nella nostra premura di gestire in modo efficiente l’economia globale, non dobbiamo dimenticare che abbiamo bisogno di governare democraticamente la società globale che la sostiene.

   
   
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