E' finita la cultura
medioevale,
che consentiva
la dimensione forte
dell'etica, perchè
era legata ad una
forte intenzionalità
della cultura e della vita.
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Ciò che maggiormente colpisce, in questi ultimi anni, non
è tanto la moltiplicazione delle chiacchiere sulletica,
compresa quella degli affari, quanto la moltiplicazione delle etiche.
Di solito, è per noi tutti naturale usare la parola etica
al singolare; nei fatti, ci troviamo di fronte ad una sorta di rottura
degli schemi di riferimento unitario della parola etica; questa,
infatti, appartiene ad una cultura che pensa la società e
la vita come un sistema complesso ma unitario, un sistema che corrisponde
ad una collettività che fa comunità, (di idee, di
comportamenti, di obiettivi). In questa logica di sistema letica
è un concetto da esprimere al singolare: è un riferimento
per tutti e non per i singoli gruppi sociali.
Questa concezione unitaria delletica al singolare è
finita, perché sono finiti i riferimenti unitari (di società
e di vita, viste nel loro complesso) che stavano sotto tale concezione:
è in crisi letica della vita buona,
così connaturata alla dimensione culturale della morale cattolica,
perché in una realtà sociale votata al benessere letica
è stata soppiantata dalla voglia di vivere bene;
è in crisi quel tipo di etica unitaria riferita alla
cultura mitica della rivoluzione, (si pensi a quanto sono stati
etici i comunisti per molto tempo), perché in fondo non esiste
più un modello rivoluzionario della società;
ed è in crisi anche (mi perdoneranno gli imprenditori)
letica legata alla cultura e alla prassi dello sviluppo, di
fronte alla tradizionale vita buona e alletica
del cambiamento rivoluzionario, un modo diverso di orientare atteggiamenti
e comportamenti individuali e collettivi, (pensiamo a quanta etica
dello sviluppo fosse implicita in una grande enciclica come la Populorum
Progressio). Oggi chi parla di sviluppo parla di crescita,
di Pil, di terziarizzazione, di globalizzazione, cose che innervano
pochi riferimenti etici.
Di fatto, dobbiamo quindi renderci conto che la parola etica
al singolare, come criterio di riferimento per il comportalento
di tutti, non è più fruibile perché sono finiti,
o sono in crisi, i sistemi culturali, ideologici, religiosi, che
danno valore a una dimensione unitaria, quasi unica delletica.
Non abbiamo più teologia, si potrebbe dire; non la teologia
come corpus, ma la teologia come interpretazione anche
differenziata della realtà; come scienza capace di ragionare
sulle cose del mondo e di darci cultura dal loro padroneggiamento
unitario.
(Posso ricordare, in proposito, la disputa che alle origini vere
e non weberiane del capitalismo separò francescani e domenicani,
quando i primi si decisero a fare i Monti di pietà e a dare
i soldi non a usura ma a interesse. I domenicani, con SantAntonio
da Firenze, dissero che era un peccato mortale, con laccusa
con venature di tecnica finanziaria modernissima che
«Tu non puoi vendere il denaro, perché di fatto non
vendi il denaro, vendi il tempo, e il tempo non è tuo, ma
è di Dio»; e la risposta dei cappuccini, con San Bernardino
da Feltre, fu altrettanto moderna: il denaro «potest esse
vel rei, vel, si movimentata est, capitale»; ed è la
prima volta che il termine capitale come logica di moneta
movimentata entra nella cultura occidentale).
Oggi nessuna scienza (né la teologia, né leconomia,
nè la macrosociologia) ha più questa robustezza di
innervare unetica unitaria, al massimo si coltivano specifici
spezzoni di realtà e di etica. Probabilmente è finita
la cultura medioevale, quella che consentiva la dimensione forte
delletica, perché era legata ad una forte intenzionalità
della cultura e della vita. Come sostiene Del Noce, siamo passati
da Cartesio a Nietzsche e da Cartesio a Rosmini, e quindi non abbiamo
più una cultura unitaria di riferimento.
Dobbiamo allora accontentarci di non poter più parlare di
etica al singolare e di ragionare conseguentemente sulla constatazione:
che siamo passati da una unitaria etica collettiva alla
proliferazione di etiche individuali, alla molecolarizzazione delletica:
ciascuno di noi, al limite, ha diritto ad avere unetica personale;
e che tale molecolarizzazione si condensa solo, quando si
condensa, su delle etiche settoriali, anche allinterno dei
processi economici: oggi non vi è unetica del mercato
o unetica dello Stato, ogni gruppo finisce per avere una propria
etica.
Esiste unetica egualitaria che il sindacato per tanti anni
ha portato avanti con determinazione e sincerità; esiste
unetica solidaristica, portata avanti da molti gruppi, in
particolare nellambiente forte del mondo cattolico; esiste
poi unetica ambientalistica, che vede la natura come elemento
da difendere rispetto al dominio delluomo; esiste unetica
imprenditoriale, di coloro i quali sostengono di dover rischiare,
padroneggiando la natura, e fare profitto (anche con delle ristrutturazioni
socialmente dure); esiste unetica dellesigenza di riequilibrio
tra Nord e Sud; e via moltiplicando. Leconomia, oggi, non
ha più etica e sarebbe certo sbagliato pensare di andare
alla ricerca di una nuova etica economica, poiché leconomia
ha tante etiche quanti sono gli operatori, i gruppi di operatori,
le professioni interne alle vicende economiche.
Di fronte a tutto ciò, mi sembra quasi ironico e sbagliato
parlare di etica e affari: o si parla di etiche, molto
frammentate; oppure si deve dire come si può concepire un
sistema sociale abbastanza complesso e unitario da dar luogo ad
una moralità, se non unica, almeno dominante. A meno che
non si pensi che (come mi sembra pensino oggi gli imprenditori)
basta attendere che alla fine vinca la componente etica più
forte: ogni ciclo ha il suo vincitore e oggi potrebbe essere la
volta del capitalismo imprenditoriale e delle sue regole.
Ho comunque dei dubbi a questo proposito, e non per malevolenza
verso i vincitori di oggi, visto che da vecchio studente di legge
ho sempre saputo che le regole sono stabilite dai vincitori, e che
non ne esistono di astratte, che valgano per tutti. Le mie resistenze
vengono piuttosto dalla banale constatazione che gli apparenti vincitori
di oggi non riescono a codificare le loro regole; forse non hanno
tanta forza, forse (e più verosimilmente) debbono tener conto
di una società più complessa e variegata di quanto
essi la pensino.
Allora, il problema da affrontare, in realtà, è se
sia possibile ricondurre la questione etica a un discorso generale
sulla società, un discorso non frammentato in etiche settoriali
o addirittura molecolarizzate. Ho infatti limpressione che
il discorso delle regole (che appare oggi come quello unitario)
non si risolve rinviando tutto a unulteriore segmentazione
sociale e morale, per cui ognuno coltiva il proprio interesse nel
modo il più pluralistico possibile. Credo invece che occorra
ricominciare a ragionare in termini di corpo sociale.
Non abbiamo diritto di parlare di etica se non riusciamo a parlare
in terminio di soggetto collettivo di etica. Se il corpo sociale
complessivamente, senza rivoluzioni o teologia, ha una coscienza
di sé e una consapevolezza del suo essere strutturale, ha
anche la capacità di darsi una cultura e unetica dal
profondo. Letica al singolare esiste soltanto in quanto esiste
un soggetto delletica, e quel soggetto è il corpo sociale,
è la società nel suo complesso, la società
come ente storico. Altrimenti andremo inevitabilmente
verso unulteriore frammentazione e segmentazione di etiche
sempre più fragili e di poco senso e spessore.
Mi rendo conto che, in una cultura tutto sommato liberaldemocratica
come quella della maggior parte degli italiani, attiri di più
la tendenza a portare le tante etiche economiche verso lulteriore
frammentazione e che, in fondo, si possa considerare unidea
di vetero-sinistra il riprendere un discorso di corpo
sociale, di cultura collettiva, di autocoscienza della società,
di autodeterminazione sociale, di etica comune al sistema. Però,
nella storia degli ultimi secoli, la dimensione collettiva è
stata forte e deve continuare ad esserlo. La frammentazione fino
allesasperazione non rende forte la società; la rende
vitale e proliferante, ma è una cosa diversa. In realtà,
non vi è etica collettiva senza un soggetto collettivo e
la sua tensione morale.
Dunque, la mia testimonianza è nel richiamo a stare attenti
alla frammentazione e alla diversità delle etiche: se si
accetta tale trend, allora non si parli di etica, ma di tante etiche
al confronto, di tante etiche che si autoregolano attraverso un
feed-back continuato. Se invece il trend non convince, allora solo
un ritorno ad una cultura di corpo sociale, di società storicamente
determinata, può ridare senso ad una riflessione morale e
ad una nuova elaborazione etica.
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