Dicembre 2000

Popoli in fuga

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òi barbaròi
Giancarlo Mele - Livio Roversi
 
 

 

 

 

Mentre l'economia
e il mercato
cercano a tutti i costi gli immigrati,
la società
non li ama.

 

Gli stranieri finiranno per cambiare il volto del nostro Paese? C’è chi lo pensa. Di fatto, sono sempre di più gli immigrati in Italia: aumentano gli arrivi, grazie alle norme sui ricongiungimenti familiari, ma sono le nascite il fenomeno che registra la maggiore espansione. Gli immigrati sono cresciuti nel giro di un anno del 13,8 per cento, e del 23 per cento per quanto riguarda i soli minorenni. Le nascite, nello stesso periodo, sono state 21.175.
Secondo i dati dell’Istat, nell’ultimo decennio il numero degli immigrati è passato da 800 mila a oltre un milione 270 mila: oggi gli uomini, che sono 690.236, superano di poco le donne, che sono 580.317. Ci sono poi quasi 230 mila bambini e ragazzi fino ai diciotto anni, che rappresentano il 18,1 per cento della popolazione di immigrati residenti. Sono aumentati anche i decessi: 1.929, oltre il 10 per cento in più rispetto al periodo precedente. Ed è grazie agli immigrati se la popolazione italiana ha registrato un seppur modesto 1 per cento di incremento.
Nonostante l’aumento delle presenze, per numero complessivo di immigrati l’Italia resta in fondo alla classifica europea: il 2,2 per cento sul totale della popolazione (era l’1,7 per cento nel periodo precedente), che è molto lontano dal 9 per cento del Belgio e della Germania e in parte anche dal 3 per cento dell’Irlanda.
E’ il Nord-Ovest, col suo tessuto connettivo industriale, ad attirare il maggior numero di stranieri: opera fra la Lombardia, il Piemonte e la Liguria il 33,1 per cento degli immigrati, mentre un altro 22 per cento è assorbito dalle aree del Nord-Est. Numerose (28,6 per cento) le presenze anche nelle regioni centrali, mentre nelle regioni del Mezzogiorno vivono soltanto sedici stranieri su cento. Secondo i ricercatori Istat, fra gli immigrati si sta ripetendo il fenomeno che caratterizzò l’Italia degli Anni Cinquanta, quello della migrazione interna dal Sud verso le aree industriali del settentrione. Nel 1999, su mille stranieri già residenti nella Penisola, 21 si sono trasferiti nelle regioni nord-orientali, mentre altri 10,8 hanno scelto il Nord-Ovest. Gli immigrati preferiscono in genere i comuni piccoli, dove la vita è più tranquilla e magari meno costosa. Sempre secondo gli esperti, si tratta di una tendenza in aumento, anche se il 46,6 per cento degli stranieri continua ad abitare nei comuni capoluogo, dove vive soltanto un terzo dell’intera popolazione.
Ma se molti stranieri in Italia hanno trovato una relativa tranquillità, molti altri premono per trasferirsi definitivamente. Ed è a questo punto che emergono le zone d’ombra. Infatti, i dati dell’Istat si riferiscono agli immigrati in regola con i permessi di soggiorno, i quali hanno colmato nello spazio di un mattino le 63 mila caselle previste per l’intero 2000. Ma secondo l’Osservatorio di Milano almeno 180 mila altri immigrati vivono in clandestinità, dislocati in modo particolare nelle grandi aree urbane: 30 mila a Roma, 20 mila a Milano, altri 20 mila a Napoli e a Torino. E non si tratta solo di manovalanza generica. In non pochi casi si scoprono ingegneri meccanici, operai siderurgici, ma anche specialisti nella lavorazione artigianale del cuoio o del legno o dei metalli preziosi, come l’oro e l’argento, oltre che delle pietre dure e pregiate.

Percentuale di immigrati
sul totale della popolazione
  Germania 9,0%
  Belgio 9,0%
  Irlanda 3,0%
  Italia 1,7%
  Grecia 1,6%
  Spagna 1,6%
  Finlandia 1,5%

Dal Mezzogiorno sempre più povero rispetto al resto d’Italia per le occasioni di lavoro regolare gli immigrati si spostano verso le terre settentrionali ormai prossime alla piena occupazione. Ed è così che per molti stranieri le regioni meridionali rappresentano una specie di limbo, di luogo di attesa nel percorso che dalla clandestinità li può portare, magari di sanatoria in sanatoria, verso l’ambita regolarizzazione. Il passaporto è necessario per poter rispondere positivamente alle offerte di impiego sempre più pressanti che provengono da numerose imprese del Nord e in particolare del Nord-Est.
Analogamente, vediamo crescere in maniera esponenziale il numero dei bambini immigrati nelle scuole del Settentrione. Nel nostro Paese, pur essendo inferiori di numero rispetto ad altri Stati europei, gli immigrati sono sopraggiunti in un arco di tempo assai ristretto e si stanno insediando a gran velocità. Non c’è dubbio che proprio questa dinamica possa essere alla base, almeno in parte, dell’angosciosa contraddizione nella quale si dibatte una parte crescente della nostra pubblica opinione. L’evidenza dei fatti è difficile da cancellare: mentre l’economia e il mercato cercano a tutti i costi gli immigrati, la società non li ama. In molti casi li teme, e addirittura li rifiuta. Un paradosso reso ancora più inquietante dal fatto che se fino a ieri si riteneva che questo tipo di conflitti fosse dovuto alla competizione tra immigrati e nazionali per la spartizione di risorse scarse (la cosiddetta “guerra tra poveri”), oggi vediamo invece che questi esplodono più sordi e pericolosi proprio nelle aree di maggiore ricchezza e di indiscutibile opulenza. Ciò, soprattutto nelle aree più produttive del Centro-Nord, nelle quali alcuni vorrebbero che gli immigrati esistessero soltanto nei luoghi di lavoro e mai fuori dell’orario di produzione. Essi dovrebbero lavorare, ma al tempo stesso non esistere!
La verità – è stato notato – è che l’Italia in passato ha sofferto a lungo di una scarsa capacità di governo delle istituzioni e di molta ideologia degli attori politici, e solo da poco ha trovato il passo e l’autorità giusti per cominciare a mettere un po’ di ordine e ad usare la necessaria severità di fronte ad un fenomeno che ha rischiato più volte di finire fuori controllo.

GLI SCENARI POSSIBILI
Anno
Totale
immigrati
% sulla
popolazione
2000
1.270.000
2,2
2007
1,9 - 2,5 milioni
3,2 - 4,2
2017
2,6 - 3,5 milioni
4,5 - 6,2

• Il prossimo decennio. Continuerà l’afflusso di immigrati dagli attuali Paesi d’origine, soprattutto dall’area mediterranea.

• Dal 2010 al 2020. E’ attesa una crescita della pressione migratoria da parte dell’Africa subsahariana.

•I trend discendenti. Riguardano quelle zone nelle quali si assisterà a un calo della popolazione giovane: Europa dell’Est, Africa del Nord e Medio Oriente.

Fonte: Ministero Affari Sociali - Istat.

In sintesi: l’immigrazione, lentamente ma inesorabilmente, sta cambiando l’Italia assai più velocemente e in profondità di quanto fino a ieri soltanto si potesse persino immaginare. I dati rivelano che un segmento crescente della nostra popolazione è formato, e sempre più lo sarà, da coloro i quali hanno deciso di lasciare la propria terra per cercare da noi un futuro migliore per sé e per i propri figli.
Di fronte a un Paese che invecchia e che non vuole o non sa più fare figli, l’immigrazione funziona dunque come un possente meccanismo di riequilibrio esistenziale: una sorta di assicurazione sulla vita per l’Italia del terzo millennio.
Analizzando le statistiche, colpisce la conferma del paradigma, ben noto agli esperti, in base al quale l’immigrazione, da noi come altrove, funziona come una cartina di tornasole dei vizi e delle virtù di una nazione. Si limita ad esaltarne i pre-esistenti tratti economici, culturali, istituzionali. Così, osserviamo con curiosità che, in base ai dati riguardanti i saldi immigratori interni, anche per l’immigrazione straniera si sta mettendo in moto un fenomeno già sperimentato dall’immigrazione nazionale durante il “boom” del secondo dopoguerra: i viaggi unidirezionali dal Sud verso il Nord, dal “contenitore” iniziale del Mezzogiorno alla diaspora verso le zone ricche del Paese e verso l’Europa.
Ma quali sono le comunità più numerose, per unità regolarizzate? Queste, le cifre dei primi dieci Paesi di provenienza:

Marocco
146.491
Albania
115.755
Filippine
61.004
Jugoslavia
54.698
Romania
51.620
Stati Uniti
47.568
Cina
47.108
Tunisia
44.044
Senegal
37.143
Germania
35.372

Diverso il discorso su curdi, afghani, iraniani, iracheni, che fuggono da zone di guerra (o di guerriglia) e da regimi dispotici, e pertanto rientrano tra gli esuli che chiedono asilo politico. Per quanto riguarda gli afflussi di cinesi, il problema si complica: per molti versi, infatti, si tratta di esponenti delle “triadi”, le mafie cinesi, di Canton e di Hong Kong, che sfruttano il lavoro nero. Migliaia di elementi si sono ammassati nelle aree dell’ex Jugoslavia, e in gruppi consistenti raggiungono il nostro Paese, (soprattutto le città di Roma e Milano e i loro hinterland), dove nessun cinese muore mai: nel senso che i documenti (generalmente falsificati) di un defunto passano ad un altro clandestino, con nome e cognome praticamente perpetuato.
Ma se i rapporti con l’ex Jugoslavia rimangono difficili per l’Italia e per l’Europa, altra piega dovrebbero prendere i dialoghi con la Grecia, con la Turchia e con l’Albania. Atene e Ankara non hanno intenzione di collaborare con Roma, malgrado i buoni propositi pubblicamente espressi, sicché dai porti greco-turchi continuano a salpare i bastimenti, le carrette e le mezze bare galleggianti che poi raggiungono le coste pugliesi e calabresi. Le mafie di Valona e di Durazzo, inoltre, malgrado la vigilanza italiana, continuano a trasferire in Italia clandestini, armi e droga. Si è recentemente scoperto che i clan albanesi sono in grado di raffinare l’eroina a seconda del mercato europeo cui è destinata. Non per niente la cupola schipetara fornisce gratuitamente alcuni clan italiani, per agevolare le connivenze, mentre tratta direttamente con le mafie turca e colombiana per l’acquisto delle materie prime, eroina e cocaina, che, una volta lavorate, giungono nel nostro Paese, sono distribuite in Europa e affidate a manovalanze tedesca, svizzera, francese, terzomondista.
Al di là, comunque, di questi fenomeni patologici, che mettono in allarme la società, la radiografia dell’immigrazione regolare vede scaglioni di crescita molto diversi: se le comunità marocchina e filippina sono ormai tendenzialmente stabili e quella tunisina sta addirittura decrescendo, la comunità rumena supera tutte le altre quanto a tasso d’incremento (‘99 rispetto al ‘98): 65,5 per cento. Seguono gli immigrati provenienti dall’ex Jugoslavia (col 59,3 per cento), dall’Albania (50,5 per cento) e proprio dalla Cina (47,4 per cento).

Ma che cosa fanno gli altri Paesi per fermare i clandestini e per tenere sotto controllo l’immigrazione? A quali mezzi o sistemi fanno ricorso?
Prendiamo l’esempio della Spagna. In gergo militare si chiama “Sive”, Servizio integrale di vigilanza esterna. E’ un gigantesco “grande fratello anti-immigrati” impenetrabile, il più tecnologicamente sofisticato del mondo, che blinda coste per centinaia di chilometri, quasi tutte quelle della meridionale Andalusia e l’intero arcipelago africano delle Canarie. La “impermeabilizzazione” sarà completata entro il 2002, con un costo di 300 miliardi. E’ affidata alla Guardia Civil, corrispondente ai nostri carabinieri. Il “muro elettronico”, che funziona in tempo reale, non è stato scelto a caso: nei primi sei mesi di quest’anno, in quel braccio di 12 chilometri che separa l’Africa dall’Europa, sono stati catturati 600 “ilegales” tra marocchini e sub-sahariani. 50 mila i rimpatriati dalla Spagna nel ‘99.
Il muro elettronico si basa su tre punti: la “presenza anticipata”, cioè il superamento del concetto tradizionale di vigilanza dalla linea della costa; l’ “avvistamento precoce”, con una zona cuscinetto sottomessa a vigilanza permanente per l’intervento immediato delle unità di intercettazione sulle coste; il Centro Operativo di Comando (Cos), che coordina tutto il “Sive”. La novità del Big Brother consiste nel combinare in un unico sistema di avvistamento sia sensori termici radar che individuano il calore di due corpi umani in uno scafo di sei metri per due ad una distanza di 10 chilometri dalla costa (meno della lunghezza delle “Colonne d’Ercole”) sia videocamere a raggi infrarossi infallibili fino a 5 chilometri. Ambedue sono installate su gigantesche torri d’acciaio, ma anche su elicotteri e camion.
I dati di avvistamento giungono al Cos, che fa intervenire subito le teste di cuoio della Guardia Civil con unità elicotteristiche, aeree, terrestri. Per i clandestini, il sogno dell’Eldorado finisce così prima ancora di cominciare. A regioni come la Catalogna, che intendevano gestire in proprio il fenomeno clandestini, è stato risposto picche: il problema è di competenza del governo centrale.

Passiamo alla Germania. Subito dopo la caduta del Muro, quando attraverso il confine con la Polonia e con la Cecoslovacchia entravano in territorio tedesco centinaia di migliaia di clandestini l’anno, il governo pensò di costruire un “muro elettronico” lungo la linea di frontiera Oder-Neisse, facendo ricorso ai più sofisticati strumenti dell’esercito, dai sensori elettronici ai radar, agli apparecchi a raggi infrarossi per la visione notturna. Obiettivo: migliorare la localizzazione dei clandestini, che bande di spregiudicati contrabbandieri facevano entrare in Germania a prezzi astronomici.
Il governo annunciò anche l’introduzione di un “passaporto biometrico”, da estendere a tutti i cittadini dell’Unione europea, che alcune forze politiche definirono «l’avanguardia di un nuovo sistema di apartheid che dalla Germania contagerà tutta l’Europa di Schengen», ma che secondo le autorità germaniche doveva essere, al contrario, una garanzia in più contro un flusso di clandestini capace di porre gravissimi problemi sociali alla giovane Germania riunificata e cerniera della nuova Europa: una sorta di “chiave elettronica” grande quanto una carta di credito, nella quale memorizzare i dati personali. Un sensore ottico avrebbe dovuto leggere (sul dito o sul palmo della mano) i dati biometrici della persona in possesso della scheda. Solo la perfetta concordanza con i dati memorizzati avrebbe consentito l’ingresso.
Di questi progetti è rimasto poco: lungo la frontiera Oder-Neisse sono stati rafforzati i controlli, ma solo grazie all’aumento delle guardie di confine e all’introduzione dei raggi infrarossi per la visione notturna. Molti di questi apparecchi sono montati su elicotteri che, 24 ore su 24, pattugliano i confini orientali della Repubblica. I risultati sembrano essere soddisfacenti: negli ultimi tre anni il numero dei clandestini si è ridotto della metà, anche se operano ancora bande – soprattutto russe e polacche – specializzate nel trasporto di persone.
I timori tedeschi sono cresciuti con l’avvio del Trattato di Schengen, e soprattutto dopo la crisi curda esplosa nel ‘97 con lo sbarco in Italia di migliaia di profughi, la maggior parte dei quali si dirige poi verso la Germania.

Gli Stati Uniti, infine. Una volta si pattugliavano con le jeep le colline al confine tra San Diego e Tijuana, all’altezza della Imperial Beach, perché ogni giorno, all’imbrunire, migliaia di messicani, salvadoregni e guatemaltechi vi si raccoglievano dietro un reticolato pieno di buchi. C’erano uomini e vecchi, donne e bambini, rivenditori di tacos e di mariaquis, che suonavano. Poi calava il buio, e a migliaia iniziavano la pazza corsa verso “el Norte”, tentavano di entrare illegalmente negli Stati Uniti. Ogni notte erano migliaia di arresti, ma un numero più elevato di illegali riusciva a farla franca. E gli arresti in realtà non arrestavano nessuno: gli “ileegal aliens” venivano ricondotti oltre il confine e la sera seguente ci riprovavano.
Ma dal ‘95 le cose sono cambiate. La Border Patrol, polizia di frontiera, ha avviato la “Operation Gatekeeper” e cinque anni dopo il numero dei suoi agenti è raddoppiato, da 4 mila a 8 mila. Il reticolato tutto bucherellato è diventato un muro doppio di metallo alto tre metri. Circa duecento metri di terra di nessuno sono stati illuminati come uno stadio e ovunque si sono disseminati telecamere e sensori elettronici che rilevano rumori e calore. I mille arresti per notte sono diventati una quarantina. Almeno su questo versante il successo non è mancato.
Ma se il tratto di frontiera col Messico attorno a San Diego è sotto controllo, le misure adottate da queste parti hanno finito con lo spostare il problema nelle montagne più ad Est e poi lungo il confine con l’Arizona, il New Mexico e il Texas: circa quattromila chilometri di frontiera lungo i quali l’immigrazione continua come prima, più di prima. Nei cinque anni precedenti la “Operation Gatekeeper” c’erano stati 5,7 milioni di arresti; nei cinque anni successivi il numero è salito a 7,2.
E ci sono morti tragiche. Per entrare illegalmente negli Usa, da queste parti, non basta più una corsa di un centinaio di metri nel mezzo della notte. Occorre affrontare fiumi, deserti, banditi. Nei primi sei mesi del 2000, mentre il mondo strizzava lacrime per la soap opera di Elian Gonzales, il bambino cubano immigrato illegalmente in America, e poi restituito, sono morte drammaticamente lungo il confine con il Messico 200 persone. Sulla stampa e in tv, silenzio di piombo.

   
   
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