Dicembre 2000

Corsi e ricorsi economici

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Di nuovo c’è che si allarga
la forbice tra Nord e Sud
Vanni Oxilia
 
 

 

 

 

Forse sarà il Wwf
a risolvere,
una volta per tutte
il secolare
problema del Sud?

 

Grande performance della produzione industriale italiana, che prosegue la marcia (poco) trionfale. Il ‘99 è andato meglio dell’anno precedente, il 2000 presenta un quadro sostanzialmente positivo, con una crescita intorno al 3 per cento. La fase di assestamento è coerente con le previsioni, si sostiene. Anche se resta il nodo del raffronto con gli altri Paesi dell’Unione europea: il ritmo della crescita è superiore rispetto agli anni precedenti – si precisa – ma è inferiore rispetto agli altri Paesi dell’area dell’euro e agli Stati Uniti; e questo è il vero problema strutturale dell’Italia. Si tratta delle difficoltà di competitività: il sistema industriale italiano lavora con margini poco ampi, quindi si ritiene perennemente a rischio, anche per il forte aumento delle materie prime.
Sarà. Comunque, un’altra delle grandi questioni è il lavoro sommerso che rimane in cono d’ombra non soltanto a causa della pressione fiscale e contributiva, ma anche per il peso della burocrazia, per leggi che non possono essere rispettate dalle aziende in quanto inadeguate al nostro sistema produttivo, composto per il 96 per cento da piccole imprese. C’è dunque l’esigenza di un chiaro confronto sulla qualità della modernizzazione dell’economia italiana. Il che è vero. Solo che per fare questo non si parla di investimenti in tecnologia, né in ricerca scientifica (che in Italia si traduce sostanzialmente in acquisto di brevetti dall’estero), ma di “concertazione”, che spesso si traduce in vischiosità operativa, in patto assistenziale tra Stato e operai e impiegati protetti, e quindi nell’eterno sistema-ombrello che ha fatto di quello italiano il modello per eccellenza simil-sovietico, inserito nello scacchiere del libero mercato occidentale.
Ottimismo di rigore: l’economia sta tirando, anche se è condizionata e alimentata dalla domanda estera legata alla debolezza dell’euro. Il boom, ancorché di dimensioni ridotte, c’è; la ripresa è in atto: ma al Sud proprio non si vede. Soprattutto sul fronte dell’occupazione, il Mezzogiorno conferma una distanza che in alcune città supera il 30 per cento, mentre la media dei senza lavoro è del 6,5 per cento nel Centro-Nord, contro il 22 per cento del Sud. Un divario, la cosiddetta “forbice”, che è cresciuto anche nel 2000. L’Italia, insomma, resta un Paese a due facce, con tassi di disoccupazione che vanno dal 2,5 per cento di Bolzano al 32 per cento di Reggio Calabria, mentre per i giovani la situazione è persino più drammatica. Se a Lecco o a Bergamo i senza lavoro oscillano tra il 5 e il 7 per cento, a Reggio Calabria sono il 71 per cento, a Palermo il 70 per cento, a Napoli il 67 per cento.
Siamo all’ennesimo allarme sulla “deriva” delle regioni meridionali, una frattura che potrebbe essere ben più grave senza le flessibilità che hanno consentito al Mezzogiorno piccoli, emblematici recuperi. L’analisi conferma l’aumento del lavoro a tempo determinato: un dato, questo, emerso anche da una recente indagine sull’economia regionale condotta dalla Banca d’Italia. Dalle cifre di via Nazionale emerge che negli ultimi quattro anni i posti di lavoro creati al Mezzogiorno sono stati per nove decimi di tipo temporaneo. Gli occupati a termine, a fine ‘99, avevano raggiunto quota un milione e mezzo, quasi 400 mila in più rispetto a tre anni prima. E in larga misura questi nuovi contratti si sono diffusi nel Sud, anche nei settori commerciali e alberghieri.
Al di là delle cifre, quel che viene in evidenza è in sostanza la presenza nel Paese di due mercati del lavoro molto diversi: più tempo determinato nelle regioni meridionali, più part-time in quelle centrali e settentrionali. A determinare una lievissima diminuzione del numero di disoccupati al Sud ha contribuito anche la mobilità: dal ‘99, infatti, è ripresa la migrazione interna. Siamo alla fotocopia in miniatura dei “favolosi anni Sessanta”!
Il dualismo dell’Italia è poi confermato anche da altri indicatori, come ad esempio il clima di fiducia dei consumatori che al Sud è più basso, il grado di utilizzo degli impianti che è su livelli contenuti, le vendite che nel Mezzogiorno hanno registrato cifre ovviamente inferiori rispetto a quelle delle aree del Centro-Nord.

Le previsioni. Per quel che riguarda il Prodotto interno lordo, si parla di un 3,3 per cento nel 2001 e di un 3,4 per cento nel 2002 per il Nord nel suo complesso; mentre per il Sud si azzarda un 1,6 per cento nel 2001 e di un 1,8 per cento nel 2002. Anche i consumi restano indietro: 2,6 e 2,8 per cento al Nord per i due anni considerati, contro l’1,4 e l’1,8 del Mezzogiorno.
Le prospettive, pertanto, non sembrano in grado di ridurre i divari territoriali, tanto più che la ripresa italiana continua ad essere trainata in larga misura dall’export. Soltanto con l’avvio di una vera politica per gli investimenti e il rinnovamento tecnologico si potrebbe dare ossigeno all’economia meridionale, puntando sulle imprese innovative e sui servizi, sfruttando al meglio le potenzialità della new economy, utilizzando fino all’ultima lira i finanziamenti europei, e, specularmente, riordinando in senso moderno il Welfare, limitando l’invadenza onnivora degli arcipelaghi sindacali, procedendo a reali privatizzazioni, puntando sulle reali potenzialità produttive delle diverse aree.
Le contraddizioni. Se si dovesse render l’idea più concreta di che cosa può accadere nel comparto delle potenzialità meridionali, la vicenda del petrolio lucano e del suo sfruttamento (in tempi di costi altissimi del greggio e di inesistenti, o quasi, alternative all’approvvigionamento energetico) sarebbe più che esemplare. Ecco quel che è accaduto: il ministero dell’Ambiente, d’intesa con i Beni culturali (in nome e in virtù delle celeberrime competenze incrociate, che in Italia spesso si traducono in condizionamenti bi-e-plurilaterali), ha espresso parere favorevole sulla compatibilità ambientale per la realizzazione, nell’ambito della concessione di coltivazione di idrocarburi “Grumento Nova”, di quattro pozzi per l’estrazione di petrolio e delle condotte per il loro collegamento al Centro Olii di Viggiano, in provincia di Potenza. La valutazione riguarda i pozzi “Monte Alpi 6, 7, 8 e 9”, la realizzazione delle condotte dai pozzi al Centro Olii, oltre alla realizzazione delle condotte dai pozzi già esistenti “Monte Alpi WI” e “Monte Alpi 5”. La procedura di valutazione di impatto ambientale era stata avviata dall’Eni nel luglio 1996.
Il giacimento della Val d’Agri è il più grande dell’Europa continentale: ha riserve stimate in 480 milioni di barili di greggio; la produzione giornaliera prevista a regime è di 105 mila barili, mentre attualmente ne vengono estratti 9.500. Il Sud ha in casa una ricchezza cospicua. Ma che cosa accade? Accade che ci si trova di fronte alla reazione degli ambientalisti. Secondo il Wwf è inaudito autorizzare l’attività di ricerca e di estrazione petrolifera in una zona ad alta valenza naturalistica. Il disco verde ai pozzi petroliferi sarebbe «un’aperta violazione dei vincoli ambientali in una zona destinata a diventare area protetta». Si badi bene: «destinata a diventare» E si badi bene: di fronte alla fame di energia, e di fronte alla diffusa povertà lucana (che non sarà più quella dei “Sassi”, né quella che fece fermare Cristo a Eboli, ma che sempre povertà rimane, sia pur “nuova”) non si cerca di coniugare esigenze di sviluppo ed esigenze di territorio: si esprime un inappellabile – e cinico – giudizio di incompatibilità ambientale, quale è mancato del tutto in ben altre situazioni tutt’altro che creatrici di opportunità di lavoro e di benessere generale. Forse sarà il Wwf a risolvere, una volta per tutte, il secolare problema del Sud? Attendiamo proposte in merito.

   
   
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