Forse sarà il Wwf
a risolvere,
una volta per tutte
il secolare
problema del Sud?
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Grande performance della produzione industriale italiana, che prosegue
la marcia (poco) trionfale. Il 99 è andato meglio dellanno
precedente, il 2000 presenta un quadro sostanzialmente positivo,
con una crescita intorno al 3 per cento. La fase di assestamento
è coerente con le previsioni, si sostiene. Anche se resta
il nodo del raffronto con gli altri Paesi dellUnione europea:
il ritmo della crescita è superiore rispetto agli anni precedenti
si precisa ma è inferiore rispetto agli altri
Paesi dellarea delleuro e agli Stati Uniti; e questo
è il vero problema strutturale dellItalia. Si tratta
delle difficoltà di competitività: il sistema industriale
italiano lavora con margini poco ampi, quindi si ritiene perennemente
a rischio, anche per il forte aumento delle materie prime.
Sarà. Comunque, unaltra delle grandi questioni è
il lavoro sommerso che rimane in cono dombra non soltanto
a causa della pressione fiscale e contributiva, ma anche per il
peso della burocrazia, per leggi che non possono essere rispettate
dalle aziende in quanto inadeguate al nostro sistema produttivo,
composto per il 96 per cento da piccole imprese. Cè
dunque lesigenza di un chiaro confronto sulla qualità
della modernizzazione delleconomia italiana. Il che è
vero. Solo che per fare questo non si parla di investimenti in tecnologia,
né in ricerca scientifica (che in Italia si traduce sostanzialmente
in acquisto di brevetti dallestero), ma di concertazione,
che spesso si traduce in vischiosità operativa, in patto
assistenziale tra Stato e operai e impiegati protetti, e quindi
nelleterno sistema-ombrello che ha fatto di quello italiano
il modello per eccellenza simil-sovietico, inserito nello scacchiere
del libero mercato occidentale.
Ottimismo di rigore: leconomia sta tirando, anche se è
condizionata e alimentata dalla domanda estera legata alla debolezza
delleuro. Il boom, ancorché di dimensioni ridotte,
cè; la ripresa è in atto: ma al Sud proprio
non si vede. Soprattutto sul fronte delloccupazione, il Mezzogiorno
conferma una distanza che in alcune città supera il 30 per
cento, mentre la media dei senza lavoro è del 6,5 per cento
nel Centro-Nord, contro il 22 per cento del Sud. Un divario, la
cosiddetta forbice, che è cresciuto anche nel
2000. LItalia, insomma, resta un Paese a due facce, con tassi
di disoccupazione che vanno dal 2,5 per cento di Bolzano al 32 per
cento di Reggio Calabria, mentre per i giovani la situazione è
persino più drammatica. Se a Lecco o a Bergamo i senza lavoro
oscillano tra il 5 e il 7 per cento, a Reggio Calabria sono il 71
per cento, a Palermo il 70 per cento, a Napoli il 67 per cento.
Siamo allennesimo allarme sulla deriva delle regioni
meridionali, una frattura che potrebbe essere ben più grave
senza le flessibilità che hanno consentito al Mezzogiorno
piccoli, emblematici recuperi. Lanalisi conferma laumento
del lavoro a tempo determinato: un dato, questo, emerso anche da
una recente indagine sulleconomia regionale condotta dalla
Banca dItalia. Dalle cifre di via Nazionale emerge che negli
ultimi quattro anni i posti di lavoro creati al Mezzogiorno sono
stati per nove decimi di tipo temporaneo. Gli occupati a termine,
a fine 99, avevano raggiunto quota un milione e mezzo, quasi
400 mila in più rispetto a tre anni prima. E in larga misura
questi nuovi contratti si sono diffusi nel Sud, anche nei settori
commerciali e alberghieri.
Al di là delle cifre, quel che viene in evidenza è
in sostanza la presenza nel Paese di due mercati del lavoro molto
diversi: più tempo determinato nelle regioni meridionali,
più part-time in quelle centrali e settentrionali. A determinare
una lievissima diminuzione del numero di disoccupati al Sud ha contribuito
anche la mobilità: dal 99, infatti, è ripresa
la migrazione interna. Siamo alla fotocopia in miniatura dei favolosi
anni Sessanta!
Il dualismo dellItalia è poi confermato anche da altri
indicatori, come ad esempio il clima di fiducia dei consumatori
che al Sud è più basso, il grado di utilizzo degli
impianti che è su livelli contenuti, le vendite che nel Mezzogiorno
hanno registrato cifre ovviamente inferiori rispetto a quelle delle
aree del Centro-Nord.
Le previsioni. Per quel che riguarda il Prodotto interno lordo,
si parla di un 3,3 per cento nel 2001 e di un 3,4 per cento nel
2002 per il Nord nel suo complesso; mentre per il Sud si azzarda
un 1,6 per cento nel 2001 e di un 1,8 per cento nel 2002. Anche
i consumi restano indietro: 2,6 e 2,8 per cento al Nord per i due
anni considerati, contro l1,4 e l1,8 del Mezzogiorno.
Le prospettive, pertanto, non sembrano in grado di ridurre i divari
territoriali, tanto più che la ripresa italiana continua
ad essere trainata in larga misura dallexport. Soltanto con
lavvio di una vera politica per gli investimenti e il rinnovamento
tecnologico si potrebbe dare ossigeno alleconomia meridionale,
puntando sulle imprese innovative e sui servizi, sfruttando al meglio
le potenzialità della new economy, utilizzando fino allultima
lira i finanziamenti europei, e, specularmente, riordinando in senso
moderno il Welfare, limitando linvadenza onnivora degli arcipelaghi
sindacali, procedendo a reali privatizzazioni, puntando sulle reali
potenzialità produttive delle diverse aree.
Le contraddizioni. Se si dovesse render lidea più concreta
di che cosa può accadere nel comparto delle potenzialità
meridionali, la vicenda del petrolio lucano e del suo sfruttamento
(in tempi di costi altissimi del greggio e di inesistenti, o quasi,
alternative allapprovvigionamento energetico) sarebbe più
che esemplare. Ecco quel che è accaduto: il ministero dellAmbiente,
dintesa con i Beni culturali (in nome e in virtù delle
celeberrime competenze incrociate, che in Italia spesso si traducono
in condizionamenti bi-e-plurilaterali), ha espresso parere favorevole
sulla compatibilità ambientale per la realizzazione, nellambito
della concessione di coltivazione di idrocarburi Grumento
Nova, di quattro pozzi per lestrazione di petrolio e
delle condotte per il loro collegamento al Centro Olii di Viggiano,
in provincia di Potenza. La valutazione riguarda i pozzi Monte
Alpi 6, 7, 8 e 9, la realizzazione delle condotte dai pozzi
al Centro Olii, oltre alla realizzazione delle condotte dai pozzi
già esistenti Monte Alpi WI e Monte Alpi
5. La procedura di valutazione di impatto ambientale era stata
avviata dallEni nel luglio 1996.
Il giacimento della Val dAgri è il più grande
dellEuropa continentale: ha riserve stimate in 480 milioni
di barili di greggio; la produzione giornaliera prevista a regime
è di 105 mila barili, mentre attualmente ne vengono estratti
9.500. Il Sud ha in casa una ricchezza cospicua. Ma che cosa accade?
Accade che ci si trova di fronte alla reazione degli ambientalisti.
Secondo il Wwf è inaudito autorizzare lattività
di ricerca e di estrazione petrolifera in una zona ad alta valenza
naturalistica. Il disco verde ai pozzi petroliferi sarebbe «unaperta
violazione dei vincoli ambientali in una zona destinata a diventare
area protetta». Si badi bene: «destinata a diventare»
E si badi bene: di fronte alla fame di energia, e di fronte alla
diffusa povertà lucana (che non sarà più quella
dei Sassi, né quella che fece fermare Cristo
a Eboli, ma che sempre povertà rimane, sia pur nuova)
non si cerca di coniugare esigenze di sviluppo ed esigenze di territorio:
si esprime un inappellabile e cinico giudizio di incompatibilità
ambientale, quale è mancato del tutto in ben altre situazioni
tuttaltro che creatrici di opportunità di lavoro e
di benessere generale. Forse sarà il Wwf a risolvere, una
volta per tutte, il secolare problema del Sud? Attendiamo proposte
in merito.
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