Dicembre 2000

Tre millenni di mistero

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Omerico Odisseo
Tonino Caputo - Franco Aliberti - Marco Carrara
 
 

 

 

 

A mano a mano
che si ampliavano
gli orizzonti,
si allungava
simultaneamente
il viaggio di Ulisse.

 

Mistero del viaggio di Ulisse, simbolo della sete umana di conoscenza. Possibile, se non svelarlo, almeno interpretarlo correttamente? Già due secoli prima della nascita di Cristo il letterato e scienziato greco Eratostene scoraggiava chiunque volesse seguire le rotte dell’Odissea: queste si potranno conoscere veramente – sosteneva – soltanto quando si sarà trovato il sellaio che ha cucito l’oltre dei venti di Eolo!
Duemila e duecento anni dopo è un archeologo (e scrittore finissimo) italiano, Valerio Massimo Manfredi, gran conoscitore e divulgatore dell’antichità classica, a temperare gli entusiasmi di chi volesse intraprendere un suggestivo viaggio per mare, usando come portolano i testi omerici. Senza ombra di dubbio, navigherà nei luoghi più incantevoli del Mediterraneo. Ma altrettanto indubbiamente non potrà mettersi sulla scia originaria di Ulisse. Non per niente parliamo di mistero dei luoghi. Mentre la geografia dell’Iliade, infatti, a parte il grande nodo di Troia, è sufficientemente riconoscibile, tant’è che la maggior parte dei luoghi citati in questo poema è stata individuata con sicurezza dai grandi archeologi vissuti tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, l’ambientazione originaria dell’Odissea è stata cancellata. Nel senso che è andata perduta quando i poemi omerici, fino ad allora tramandati oralmente, sono stati messi per iscritto, tra il IX e l’VIII secolo prima di Cristo, in coincidenza con il grande movimento migratorio della colonizzazione verso Occidente. In altri termini, gli emigranti portarono con sé la tradizione, la cultura, i miti e le leggende della madrepatria, cancellando e “riprogrammando” l’itinerario e le avventure di Ulisse e dei suoi uomini in base alla loro esperienza e al loro nuovo teatro.
Un’ipotesi verosimile è questa: c’è stata un’Odissea primitiva, che si può supporre ambientata tra l’Egeo settentrionale e il Mar Nero, passando per gli Stretti che separano i continenti europeo ed asiatico, e giungendo fino alle fasce costiere poi occupate dai quartieri di Trebisonda. Ma è bene chiarire una circostanza: chi volesse seguire questo percorso, deve necessariamente sapere che sta ripercorrendo l’itinerario dei marinai e dei coloni eubei, i quali hanno incubato, assorbito e infine diffuso il mito dell’Odisseo. Non è un caso, secondo Manfredi, che nessuna ambientazione sia sulla costa ionica, dove notoriamente dominavano gli achei.
Il mito, insomma, si è trasferito dall’Oriente all’Occidente, giungendo fino alla fascia marina tirrenica: ha navigato insieme con le vele degli uomini che seguivano questa rotta colonizzatrice. A mano a mano che si ampliavano gli orizzonti, si allungava simultaneamente il viaggio di Ulisse. Quando i Calcidiesi arrivarono a Gibilterra, si spostarono fin lì i confini del mondo toccati dall’eroe omerico. Estremo, affascinante approdo della tortuosa rotta per Itaca, legato all’espansione romana, sarà addirittura (nelle pagine di Procopio) l’Oceano della Bretagna.
E ancora: per gli amanti del mare, le possibilità di sognare in compagnia di Ulisse e di immaginare le sue straordinarie avventure sembrano destinate ad ampliarsi. Tra la “prima Odissea” e quella sulla quale tutti abbiamo fantasticato, non soltanto in gioventù, eccone spuntare una “adriatica”, che si snoderebbe tra le coste meridionali dell’Italia e quelle centro-settentrionali della Balcania! Studi in proposito sono in corso, varie ipotesi di lavoro attendono conferma dall’archeologia. Fra i reticoli del mistero c’è sempre posto per tutto e per tutti. In particolare, c’è l’argomento centrale del ruolo dell’isola di Eubea, svolto nell’ottavo secolo prima di Cristo, con la funzione di ponte ideale tra la Grecia occidentale e la Ionia. Tutti i problemi restano aperti.
Sappiamo che Iliade e Odissea sono un grande corpus letterario attribuito ad Omero. Ma di questo autore, che la tradizione vuole cieco, poeta-cantore in giro per l’Ellade a raccontare di guerre e di viaggi, non si sa praticamente nulla: né dove sia nato (molte città, non soltanto greche, ma anche dell’Asia Minore, si contendono la nascita), né quando sia vissuto. Nessuna lapide marmorea sigilla il suo sepolcro. Nessun cenno biografico ci è stato tramandato. Anche se i più ormai concordano sul fatto che i due poemi abbiano una loro specificità, una struttura letteraria originale e autonoma, sia pure nel solco della grande tradizione achea, gli specialisti di omeristica discutono ancora se Omero li abbia scritti entrambi, oppure se gli autori siano due. Di certo, (ma sarebbe meglio usare l’aggettivo “probabile”), l’Iliade sembra precedere l’Odissea di mezzo secolo almeno, e la loro creazione sarebbe da datare tra l’VIII e il VII secolo prima di Cristo. Si trattò molto probabilmente di testi cantati e recitati a memoria, e la loro oralità continuò a lungo, anche dopo la codificazione scritta, risalente, secondo gli studiosi, intorno al VI secolo a.C. Ma non manca chi giuri che la scrittura sia precedente, e che i due poemi nascano “scritti”.
Non è questa la sede per riaprire, o continuare, la “questione omerica”. Ma da quando un geniale autodidatta col senso dell’archeologia e insieme degli affari, Heinrich Schliemann, scoprì tra il 1872 e il 1873 le rovine dell’antica Troia (Ilio) e cominciò a riportare alla luce del sole la città e i tesori (dall’ “oro di Priamo” ai gioielli della bella Elena), mito letterario e realtà storica si sono uniti indissolubilmente, alimentandosi reciprocamente e contribuendo ad allargare gli ambiti della cultura mediterranea.
La cultura omerica, infatti, rappresenta – e gli studi di comparatistica lo hanno già dimostrato – il crogiolo di un’area vastissima che comprende la Grecia, le aree costiere del Mar Mediterraneo e le diverse civiltà fiorite nel Vicino Oriente. In particolare, i rapporti fra civiltà dell’Ellade e culture orientali (e i risultati degli ultimi scavi archeologici segnatamente nell’area di Troia) fanno acquistare al poeta cieco una lungimiranza che ne perpetua l’eterna giovinezza e ne garantisce una fresca attualità.

Tradusse Giacomo Leopardi:

L’uom dal saggio avvisar cantami, o Diva,
che con diverso error, poi che la sacra
Ilio distrusse, le città di molti
popoli vide ed i costumi apprese.
In suo core egli pur di molti affanni
nel pelago soffrì, mentre cercava
a sé la vita, ed ai compagni suoi
comperare il ritorno...

Una delle numerose, possibili ricostruzioni del meraviglioso viaggio narrato nell’Odissea:
– fine della guerra di Troia, distrutta grazie al grimaldello del cavallo escogitato da Ulisse, e ritorno in patria degli eroi achei, con varie e anche drammatiche vicissitudini;
– Ulisse e i suoi compagni si spingono su una rotta settentrionale, approdando in Tracia, nel Paese dei Ciconi;
– l’Odisseo riprende il mare, con una lunghissima rotta che, passando a suda della Grecia, lo porta nel cuore del Mediterraneo, facendolo approdare in Libia, nel Paese dei Lotofagi;
– nuova tappa, nella terra dei Ciclopi, identificata nell’area dei Macigni di Aci Trezza, in Sicilia;
– dalla Sicilia orientale a quella occidentale, nelle Isole Egadi, regno di Eolo, re dei venti;
– ideale “passaggio a nord-ovest”, nella Terra dei Lestrigoni, tra Corsica e Sardegna, nelle Bocche di Bonifacio;
– ritorno ad Oriente, nel regno della Maga Circe, situato a Capo Circeo, con lunga permanenza;
– rotta verso sud, e sosta ai Campi Flegrei, con discesa nell’Ade, mondo dei morti;
– ripresa del mare, rotta ancora verso sud, in direzione dell’Isola delle Sirene, identificata in Capri;
– sempre a sud, questa volta tra l’Italia continentale e la Sicilia, tra i terribili vortici di Scilla e Cariddi;
– prora a occidente, per la grande avventura verso i mari sconosciuti, e approdo nel Regno di Calipso, nell’Isola di Perejil, nello Stretto di Gibilterra, terra-limite delle favolose Colonne d’Ercole;
– il viaggio marino più lungo, che riattraversa l’intero Mediterraneo, passa a sud della Sicilia, risale lo Jonio e tocca finalmente una terra amica, l’Isola dei Feaci, popolo stanziato a Kerkyra, odierna Corfù;
– l’ultimo balzo, questa volta decisamente verso sud, per l’approdo finale in Itaca, dove consuma la vendetta nei confronti dei Proci e si fa riconoscere dapprima da Telemaco e in seguito da Penelope.

E’ la conclusione della più splendida esperienza umana del mondo classico.
Si conclude il “ciclo” omerico. Cala il sipario su un ventennio che ha visto scorrere il sangue sotto le mura della nobile Ilio, fuggire Enea con i suoi, padre compreso, rendere schiavi uomini e donne, aprire la via ai ritorni (i “nostòi) degli eroi greci, partire Ulisse alla scoperta del mondo (e di se stesso) su emblematiche rotte mediterranee, lungo le direttrici che saranno percorse dai colonizzatori di Magna Grecia (Megàle Ellàs) e di Sicilia, fermarsi dopo l’ultima lotta fra le sicure mura domestiche, fra gli affetti familiari, per una serena, saggia vecchiaia.
Omero uno o due? Uno oppure due poeti, o addirittura raccolta, “cucitura” di testi orali, diffusi tra le genti e soprattutto creati da anonimi e numerosi e differenti poeti epici popolari? E ha importanza tutto questo? Dalle profondità dell’Ellade ci giungono gli echi della più grande poesia mediterranea dell’antichità, della sua superba bellezza, della sua inimitabile forza creatrice, della sua formidabile freschezza evocativa. Racchiudono, questi versi, le radici della nostra cultura e della nostra civiltà. La “questione omerica” tenterà ancora (sempre) di sciogliere nodi storici o d’altra natura e matrice culturale: a noi basta Omero, cieco per non vedere confini, quando canta i versi delle sue epopee.

   
   
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