Dicembre 2000

Puglia imperiale

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Nelle terre di Federico
Giuseppe Cassieri
 
 

 

 

 

Nessuna
meraviglia
pertanto il ricorso al numero otto,
numero perfetto archetipico,
di lunga tradizione
in Oriente.

 

Nella vivace collana del Mulino, “L’identità italiana”, diretta da Ernesto Galli della Loggia, è comparso, in tutte le sue implicazioni storiche e simboliche, Castel del monte, di Franco Cardini. Guida, ceto, privilegiata a una struttura monumentale che da secoli si lascia interrogare e “immaginare” senza fornire risposte decisive; ma anche, e in specie, contributo ulteriore alla decifrazione di un mito vagante fino ai nostri giorni. Il mito di Federico II “tedesco-normanno per nascita, mediterraneo (e dunque siculo-arabo-greco) per educazione, “italiano” per gusti e scelte politiche. Qualora non bastasse la già eccezionale sfaccettatura, si aggiungano: Puer Apuliae, Stupor mundi et immutator saeculi, epicureo, sultano battezzato, sire ghibellino, spirito policentrico e multietnico; a parte, si capisce, la corona di poeta e cultore di arti e scienze ovunque attinte. Mettiamoci poi la propensione a erigere grandiosi edifici di assoluto rigore geometrico, ora sotto la voce di castrum, ora di domus, ora di solacium, e disponiamoci a contemplare i gioielli architettonici sparsi nel Centro-Sud della Penisola, in mezzo ai quali spicca appunto Castel del Monte.
Costruito su una modesta altura della Murgia pugliese, il gigantesco ottagono chiuso in sé, restio a svelare le sue ragionatissime armonie, non sempre suscita l’entusiasmo del visitatore. Lo stesso Cardini, in una delle pagine confidenziali che intercalano il percorso critico, ne riceve all’inizio un’impressione sinistra: sorta di “immenso dado d’ingranaggio abbandonato su un cocuzzolo”.
Una falsa partenza che, come spesso succede, indurrà l’osservatore a intensificare il rapporto analitico con l’oggetto perseguito, a frequentarlo nelle diverse stagioni, goderlo nelle vedute aeree, nell’azzurra luca levantina, a scrutarlo negli spaccati, a isolarlo e reimmergerlo nelle febbrile attività edilizia di Federico (da Prato a Siracusa, da Catania a Capua, a Lucera, a Foggia”, la “vera” reggia del Puer...), a studiarne le derivazioni, almeno formali, muovendo dalla moschea del califfo Umar ammirata dal sovrano nel viaggio a Gerusalemme nel 1229; e quindi tirar su la rete e ricavarne un senso compiuto.
Sennonché è proprio il senso compiuto che Castel del Monte seguita a negare ai ricercatori di connesse discipline; per cui si torna a dibattere sul significato di una dimora “troppo angusta per poter fungere da corte e troppo importante per poter essere solo un casino di caccia”, annotando di passata che Federico, né in veste di imperatore né di cacciatore ebbe a soggiornarvi.
Quale però che fosse il disegno originario del committente, l’ottagono doveva obbedire, e di fatto obbedisce,ai valori comici, magico-astrologici intrinseci a ogni edificio di rispetto nell’Europa medievale. Nessuna meraviglia, pertanto, il ricorso al numero otto, numero perfetto, archetipico, di lunga tradizione in Oriente e nel mondo ellenistico-romano; nessuna meraviglia che potesse essere eretto – secondo una delle ipotesi correnti – in funzione di osservatorio celeste. E nessuna meraviglia per taluni esegeti di matrice “neo-guelfa” che il misterioso prisma di pietra osse privo di una cappella: a conferma dello scetticismo, dell’agnosticismo e addirittura dell’ateismo che avrebbero dannato il sire ghibellino.
Cardini va comunque ben oltre le schermaglie ideologiche. In un testo relativamente breve, filtra u enorme materiale bibliografico, butta via un bel po’ di croste romantiche circa il vagheggiato (e mancato) artefice dell’unità italiana; libera il personaggio da friabili coloriture agiografiche e ricostruisce la figura dello Stupor mundi per quel che i documenti consentono di ricostruire a distanza ottimale: quando, ad esempio, si acuiscono i conflitti con la Chiesa, quando manifesta interesse e simpatia per la cultura dell’Islam; quando incontra l’amico al-Malikal-Kamil, sultano d’Egitto; quando è costretto a registrare il fallimento della politica economica, o, quando, sospinto da necessità strategiche, si curva sul tavolo e individua il sito per un nuovo castrum. Che poi, nel proliferare castrense, Castel del Monte possa essere diventato altro in corso d’opera e, senza predestinazione, finisse per riflettere le medesime, fascinose ambiguità dell’ideatore, comprova una volta di più l’invadenza del caso nei nobili travagli della storia.

   
   
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