Dicembre 2000

LE FOTO “TAROCCATE”

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Prima vittima
la regina di Napoli
Arrigo Petacco  
 
 

 

 

Durante
la lotta contro
il brigantaggio
i banditi venivano
prima fucilati
e poi fotografati
“come vivi” con
le armi in pugno.

 

Taroccare è un verbo recente, multiuso, entrato da qualche tempo nel gergo giornalistico per indicare le foto modificate dal computer per abbellire e rendere più seducente il soggetto fotografato. “Taroccate” sono infatti le foto diffuse dai rotocalchi della spregiudicata Marina del “Grande Fratello” che, nell’originale, ha curve e linee non proprio scultoree, così come lo sono quasi tutte le immagini delle dive più celebri che cominciano a rivelare i segni degli anni che passano. Anche molti uomini politici, consapevoli che oggidì l’immagine è quello che conta e che spesso (e purtroppo) viene considerata più importante del pensiero, non hanno esitato a chiedere al computer ciò che madre natura ha loro negato. Gli esempi li abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi, sia sui muri che sui giornali. Ma se “taroccare” è un neologismo che ancora non figura nei dizionari, l’uso di truccare le fotografie per modificare in meglio o in peggio l’immagine di un personaggio o addirittura per mistificare la realtà è antico quanto la macchina fotografica.

Per quanto si sa, la prima vittima fu Maria Sofia di Borbone, moglie di Franceschiello e ultima regina di Napoli. La giovane sovrana, esule a Roma e ospite di Pio IX, rappresentava una spina nel fianco dei nostri patrioti che temevano il suo attivismo e l’influenza da lei esercitata negli ambienti legittimisti e antiunitari. Bisognava neutralizzarla, ma come? Ci pensò il fotografo-patriota Antonio Diotallevi, il quale, dopo aver fotografato in pose oscene una prostituta di nome Costanza Vaccari, con un rudimentale fotomontaggio sostituì la testa di lei con quella di Maria Sofia, lasciando intatto tutto il resto. Le foto che ne sortirono e che furono spedite a tutte le corti d’Europa, sollevarono uno scandalo clamoroso. La “taroccata”, d’altronde, non era stata realizzata con mano leggera. «In uno dei vari atteggiamenti», si legge in una cronaca dell’epoca, «la Regina era totalmente ignuda: semisdraiata su una poltrona portava la mano alla natura in atto di far ditali davanti al ritratto di Sua Santità Pio IX...». Inutile dire che la poveretta fu costretta a far le valigie e a trasferirsi a Parigi. Da allora gli emuli di Diotallevi si moltiplicarono e l’arte della “taroccata” si andò vieppiù raffinando.
Durante la lotta contro il brigantaggio nel Meridione, i banditi venivano prima fucilati e poi fotografati “come vivi” con le armi in pugno. Dopo la breccia di Porta Pia, i bersaglieri recitarono più volte la “presa di Roma” e in seguito gli ingenui lettori furono alluvionati da foto false utilizzate ora per demonizzare il nemico (vedi le immagini dei cattivi tedeschi che durante la prima guerra mondiale tagliavano le braccia ai poveri bambini belgi), ora per esaltare l’eroismo dei “nostri”. E’ noto, per esempio, che la bellissima foto della morte del miliziano spagnolo durante la guerra civile, che abbiamo tutti ammirato in tante occasioni, è il frutto di uno scatto di Robert Capa che colse per caso un miliziano che scivolava in un fosso. Come è noto che la splendida icona della guerra americana nel Pacifico con gli eroici marines che piantano la bandiera sul colle di Iwo Jima è una geniale “taroccata” altrettanto suggestiva e altrettanto falsa quanto quella del soldato russo che alza la bandiera rossa sulle rovine del Reichstag. Entrambe le scene furono infatti pazientemente ricostruite dal fotografo quando la battaglia era da tempo terminata.

Hitler e Mussolini ricorsero anch’essi al ritocco delle immagini per assumere espressioni imperiose e guerriere. Pazienti e oculati fotografi provvedevano alla bisogna con sofisticata bravura. In particolare, Mussolini aveva anche tassativamente proibito di essere fotografato di spalle: aveva le gambe corte e il sedere basso.
Ma il trionfo della “taroccata” si registrò in Unione Sovietica, e, successivamente, nei Paesi del socialismo reale. L’assalto al Palazzo d’Inverno, le cannonate fasulle dell’incrociatore “Aurora”, come le immagini della Lunga Marcia o la traversata a nuoto del fiume compiuta dal presidente Mao, sono alcuni dei tanti fotomontaggi ormai entrati nell’immaginario collettivo. La falsificazione delle immagini non era solo un mezzo per esaltare il personaggio, ma anche e soprattutto per riscrivere la storia secondo le esigenze politiche del momento. Poiché “nemici del popolo”si nasce e non si diventa, era per esempio inammissibile che un dirigente condannato oggi come “nemico del popolo” potesse essere ricordato come “amico del popolo” di ieri. Bisognava cancellare il loro nome dalla storia e sopprimere e modificare le vicende di cui erano stati protagonisti. Per far questo, Stalin aveva addirittura creato il Commissariato degli Archivi, un’organizzazione i cui funzionari provvedevano a “sbianchettare”, per dirla con Forattini, i nomi dei “traditori” dai libri e dalle enciclopedie, mentre abili fotografi manipolavano le immagini storiche cancellando, a mano a mano che venivano fucilati, i capi bolscevichi che apparivano al fianco di Lenin o di Stalin in vecchie fotografie scattate quando ancora non erano caduti in disgrazia.
Le foto “taroccate” del Commissario degli Archivi consentivano ai criminologi anche di individuare i personaggi emergenti, ora perché apparivano improvvisamente in foto di gruppo al posto di qualche compagno “purgato”, ora perché la loro immagine risultava improvvisamente più autorevole o accattivante. Per esempio, sul finire degli anni Ottanta, quando Michail Gorbaciov cominciò ad apparire nei ritratti ufficiali, tutti notarono la vistosa voglia di fragola che ornava la sua fronte stempiata. Un giorno, quella macchia sparì e, poco tempo dopo, Gorbaciov fu eletto segretario generale del partito.

   
   
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