Bellissimi chioschi
diventarono stalle
di cavalli e antichi
archivi delle abbazie
finirono in fiamme.
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Il 3 marzo 1996 il Patriarca della Chiesa Ortodossa Russa benediceva
le campane della cattedrale del Cristo Salvatore, ricostruita nel
centro di Mosca. Un atto di riparazione simbolico, visto che per
realizzare un ignobile falansterio destinato allo sport ginnico
e alle attività giovanili, Joseph Dugasvili, detto Stalin,
aveva spianato interi quartieri, abbattendo 600 (seicento!) chiese
e le case che le circondavano. «Non solo», ci dice la
guida, «era intenzionato a buttar giù anche la basilica
di San Basilio, perché lesercito che sfilava il 1°
maggio sulla Piazza Rossa, giunto di fronte alla chiesa, era costretto
a dividersi in due, passando per i lati di destra e sinistra: immagini
che la tv di Stato aveva lordine di non far vedere».
Per nemesi storica, proprio dentro le mura del Cremlino avevo visitato,
qualche anno prima, e in una chiesa sconsacrata dal Pcus e riconsacrata
dopo il crollo del comunismo, una splendida mostra di icone, che
occupavano per intero le pareti delledificio: il direttore
di Apulia, che era insieme con me, mi fece notare che era sufficiente
la luce del sole che entrava dal rosone e dalle bifore laterali,
riflettendosi nelloro e nellargento delle cornici, ad
illuminare a giorno lambiente. Erano tavole preziosissime,
anche di grandi dimensioni, sottratte alla furia iconoclasta, nascoste
per sette decenni, e riemerse come per miracolo a confermare che
la fede può avere anche lunghe parentesi catacombali, ma
non può estinguersi per quante persecuzioni possano essere
progettate ed eseguite.
Tutto questo mi è tornato in mente, nel momento in cui ho
letto che limmagine di Cristo è la più rappresentata
dallarte occidentale. «Tutta la terra desidera il tuo
volto», recita la Bibbia. Ed è fuori discussione che
il corpo del Cristo che incarna il dolore universale è sempre
capace di commuoverci. Eppure, larte cristiana ha scatenato
anche storie di furore ideologico. Non a caso è stato sottolineato
che quasi ovunque, in Europa, alla base dellidea di museo
cè stato un elemento fortemente anticlericale. In Francia
e in Germania, ad esempio, le confische delle opere darte
agli ordini religiosi operate in epoca rivoluzionaria hanno nutrito
i musei nazionali, desacralizzando i dipinti e trasformandoli in
opere darte pure e semplici. Questa storia ha un altro lato,
ancora più agghiacciante e mai raccontato: limmane
distruzione di opere darte perpetrata per fanatismo ideologico.
Una barbarie costantemente censurata (non ci sono in proposito né
indagini né inchieste pubblicate), molto probabilmente perché
i vandali sono i celebrati protagonisti di quelle rivoluzioni
che i manuali scolastici e il pensiero conformista presentano come
svolte di progresso epocali.
Si comincia con la riforma protestante. Soprattutto Calvino e Zwingli
indicano e prendono a bersaglio limmenso tesoro darte
della Chiesa. Già nel 1530 Martin Butzer giustifica in un
suo scritto la distruzione di immagini sacre perpetrata a Strasburgo.
Lo storico Hubert Jedin ha scritto: «Nella convinzione di
distruggere vere e proprie immagini idolatre, i calvinisti, fin
dagli inizi del 1560 in Francia, ma soprattutto nei Paesi Bassi
nel 1566, annientarono un numero imprecisabile di opere darte».
Questa furia iconoclasta si abbatté sul territorio compreso
fra i Pirenei e il Basso Reno, patria della civiltà del primo
Medio Evo, ricchissima di tesori darte.
Ma la Francia subirà unaltra ondata di progresso:
la rivoluzione del 1789. E stata probabilmente la più
grande distruzione di opere darte della storia umana. Le abbazie
di Cluny e di Citeaux che sono il grembo della civiltà
europea furono rase al suolo. Con i massacri di preti e di
suore, labolizione degli ordini religiosi, la confisca di
tutti i loro beni, la chiusura delle chiese dal novembre 1793 al
marzo 1795 e dal 1798 al 1799, si procede anche a un piano sistematico
di distruzione: decapitate le statue di tutte le cattedrali francesi,
definite «indecenti e ridicole» da Albert Louis Mille,
direttore della Bibliothèque Nationale.
Furono devastate, a Parigi, Notre Dame e Saint-Germain-des-Près
(questultima poi trasformata in arsenale), fino a Semur-en-Auxerrois,
Sens e Vézelay e le altre splendide chiese romaniche e gotiche
del sud. Distrutte chiese millenarie come quella di Saint-Denis
(con la tomba del Santo), la certosa di Champmol, la cappella sepolcrale
dei duchi di Borgogna (ma si tratta solo di pochi esempi, lelenco
sarebbe lunghissimo).
Dal novembre 1793 furono distrutti 434 dipinti nel deposito del
Museo Centrale e nellaprile 94 il Comitato di salute
pubblica ne fece bruciare molti altri. Candelabri, ostensori e reliquiari
furono portati alla Zecca per essere fusi (persino i fonti battesimali
in bronzo); si arrivò a distruggere le grandi tappezzerie
per prelevare i fili doro e dargento.
Una perdita irreparabile e senza eguali, che si somma alle razzie
selvagge. Tutto per «schiacciare linfame», come
diceva Voltaire. Ma questa ventata di fraternité
e di tolleranza percorse anche altri Paesi europei.
Poi le armate napoleoniche come ha documentato Paul Wescher
in I furti darte. Napoleone e la nascita del Louvre
organizzarono un ladrocinio che produsse «il più grande
spostamento di opere darte della storia». E realizzando
la grande razzia, anche in Italia si devastò molto. «E
difficile stabilire con esattezza quante opere darte di valore
unico andarono distrutte o disperse in quei giorni», scrive
Wescher, descrivendo nei particolari «il sistematico saccheggio
di Roma», oltre a quello di Torino, Napoli e Firenze.
Ma la distruzione lucida, «per fanatico dogmatismo»,
ebbe luogo anche nel nostro Paese, col Risorgimento. Dopo le immense
confische del patrimonio ecclesiastico, anche meravigliose chiese
vennero trasformate in depositi del sale (con conseguenze micidiali
sugli affreschi), bellissimi chioschi diventarono stalle di cavalli
e antichi archivi delle abbazie finirono in fiamme. Una barbarie
che Federico Zeri ebbe a denunciare, ma che nessuno mai ha studiato
e quantificato. Vi fu, ad esempio, la demolizione dello splendido
chiostro bramantesco dellabbazia di Chiaravalle (pochi chilometri
a sud di Milano). Pur essendo circondata da ogni lato da unimmensa
pianura disabitata, nel 1862 si volle pervicacemente far passare
la ferrovia per Pavia sopra quel chiostro, imitando anche in questo
i francesi.
Nel Novecento, unaltra rivoluzione, quella comunista, si
incaricò di liberare lEuropa dalle tenebre
delloscurantismo e della superstizione che avevano riempito
il Vecchio Continente di arte. Così a Mosca e ritorniamo
a quanto detto venne demolita la Cattedrale del Redentore,
mentre centinaia di altre chiese furono rase al suolo, o saccheggiate
e poi adibite a stalle o a granai o a musei dellateismo (dopo
aver bruciato o derubato icone e arredi sacri).
LArmata Rossa provvide a portare i suoi Lumi anche in altri
Paesi europei. Nellex Ddr si è continuato a demolire
anche in anni recenti. Zeri denunciò, per esempio, la distruzione
della Chiesa dei Paolini perpetrata a Lipsia negli anni Settanta:
«Il suo torto scriveva Zeri era di trovarsi
al centro della locale università». Che doveva essere
marxista. «Sentii dire che i funzionari del Museo di Lipsia
faticarono non poco per avere gli avanzi delle vetrate e dei rilievi
che arricchivano linsigne chiesa». Ma su questo «accanirsi
per ragioni rozzamente ideologiche» (che fra laltro
portò a far saltare con la dinamite anche lo Schlöss
di Berlino, il castello reale che era «il più insigne
monumento del barocco nellEuropa Centrale»), lOccidente
mantenne sempre un «rigoroso silenzio, grazie sosteneva
Zeri al conformismo di sinistra».
Silenzio anche sul rogo che nel 1945 dopo la capitolazione
di Berlino divampò misteriosamente nei
Musei di quella città. Lo stesso Zeri puntava il dito contro
lArmata Rossa. Il rogo divorò 417 opere, fra cui 158
capolavori italiani (in fiamme tre Cara-vaggio e cinque Paolo Veronese).
E scomparve il celebre Tesoro di Priamo, poi riapparso
non è dato sapere in che condizioni, né in
quante mani ma non restituito alla Germania. Il critico romano
denunciò anche i crimini consumati durante la guerra civile
spagnola, come «lincendio della splendida cattedrale
di Lerida, di età romanica (che venne fatta ardere per tre
giorni, con le sue sculture, i suoi quadri, i codici miniati e gli
arredi)».
«Attraverso il corpo di Cristo, per secoli, la pittura europea
ha affrontato il tema della sofferenza», sostiene il direttore
della londinese National Gallery. E la cultura visiva che
ha educato lintero Occidente, cristiano e laico. Forse proprio
per questo le ideologie più accanite si sono esercitate nel
tiro al bersaglio.
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