La televisione
ha colmato in qualche modo i vuoti sociali, ha sostituito
i rosari che
appartenevano alla società patriarcale
e contadina.
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Oh, parla, parla soltanto,
rivestici della tua Parola.
E noi saremo tua Voce di collina in collina,
doceano in oceano, di continente in continente,
dalluna allaltra terra, da una razza allaltra...:
nientaltro che respiro della tua Voce, Signore. |
E la voce dei pentecostali americani, che affascinano e inquietano
cattolici e protestanti. E la parola di chi ritiene di non
saper più pregare. Di chi partecipa, dolorosamente, a una
condizione di crisi: quella delluomo che passa a unepoca
della propria vita in cui, crescendo la sfera e lesigenza
dellautonomia, intuisce che cè un diverso modo
di amare e di essere amati, ma non riesce ancora a coglierne le
possibili espressioni, il nuovo linguaggio. E una crisi come
passaggio, crescita, maturazione. E per chi accetti questa ipotesi,
questo senso di esclusione e questa sofferenza, si profilano altrettanti
segni di speranza: che sono lespressione del dolore necessario
a una più consapevole inserzione nellambiente spirituale
in cui luomo attinge alla piena ricchezza spirituale. Voglio
dire alla nuova alleanza fra Dio e il suo popolo.
A questo risultato di non catastroficità mi pare si possa
giungere non solo per via di fede, ma anche di riflessione. Esaminando
in dettaglio, cioè, le cause più specifiche della
crisi della preghiera. Quali sono?
Innanzitutto, lapprodo ad una civiltà nuova, nella
quale lo sviluppo dei mezzi di comunicazione sociale e delle tecniche
di utilizzazione della psicologia del profondo ha prodotto, insieme
con meravigliose realtà, conseguenze spaventose. Mai come
oggi intorno alluomo si sono moltiplicati appelli contraddittori,
con tutto limpeto che gli esperti in manipolazione dei comportamenti
umani sanno scatenare. Cresce, anche in termini di decibel, il frastuono
intorno a noi; il mito dellefficienza e della felicità
legate alleffimero possesso di cose ci ha plagiato, i nostri
giorni si sono fatti più affannosi, le pause di silenzio
più rare. Esistono unecologia e un ecocidio anche per
quanto riguarda la riflessione. Ha scritto Sinjavskij: «Abbiamo
moltiplicato il rumore e riempito tutto di noi stessi. Dopodiché
ci meravigliamo che il Signore non si manifesti».
Viviamo in un modo che quasi impone lidea che noi abbiamo
paura di rimanere soli davanti a noi stessi: il ritmo disteso di
una lunga preghiera ci appare semplicemente follia. La televisione
ha colmato in qualche modo i vuoti sociali, ha sostituito i rosari
che appartenevano alla società patriarcale e contadina in
cui le stagioni si avvicendavano lentamente, proprio come i misteri
e le decine che ci coinvolgevano nelle sere accanto
al focolare, proprio come le devozioni per le ricorrenze
di festività locali, di quartiere e di vicolo, con tutto
il loro mondo gentile che ci ridà, nel ricordo, il profumo
della nostra infanzia.
Era fatale che accadesse. Di pari passo col progresso, la secolarizzazione
sembra averci liberato dallimmagine di quello che Bonhoeffer
ha definito «il Dio tappabuchi», cioè il Creatore
chiamato in causa per supplire ogni nostra incapacità di
trovare spiegazioni razionali, e sembra aver rivalutato limportanza
della scienza e delliniziativa delluomo, rendendoci
più difficile quando non lha strangolata
la preghiera.
Infine, (e mi riferisco ai giovani, in particolare), la nostra società
ha tentato di determinare la caduta dei miti parentali. E
stato scritto che andiamo verso una «società senza
padri», nella quale il Dio Padre non ha diritto
di cittadinanza, se non in nome di un paternalismo oppressivo
e spregevole. E questultima notazione è come la punta
affiorante di un iceberg che sotto il pelo dellacqua cela
linsidia di uno zoccolo più grande e micidiale: e cioè
il fatto che, sempre più inflazionate, le parole appaiono
equivoche, e tutte da reinventare quelle che adoperiamo nei rapporti
essenziali.
Proprio perché conveniamo su queste cause, non possiamo
non constatare che non muore in noi la nostalgia di una realtà
più grande dei nostri limiti. Del resto, è sufficiente
riflettere sui fenomeni sociali oggi più vistosi, e spesso
banali e regressivi, (il ricorso alla magia, alloccultismo,
alle discipline yoga o zen, agli psicofarmaci o alle droghe, alla
metapsichica, agli oscuri rituali delle sette, ecc.), per rendercene
conto: non si tratta solo di tentativi di mettere ordine in noi
e di allargare la sfera delle nostre conoscenze ed esperienze, ma
anche di dare sbocco a una sofferenza, (nei casi citati, confusa
o autodistruttiva, comunque sottoculturale) per una drastica amputazione,
quella operata nella nostra personalità da un razionalismo
che troppe volte è più cerebrale superbia che crescita
culturale.
Abbiamo bisogno, dunque, della preghiera individuale. Anche se Cristo
ci è stato dato perché diventassimo una famiglia,
Dio ama non solo il suo popolo, ma anche ogni singolo uomo. Persino
quando sembra non risponderci, cioè quando la preghiera è
monologo: perché una parte di noi (il mistero
che è dentro di noi) sa che lapparente silenzio di
Dio non basta ad esimerci dalla preghiera, come la lontananza dalla
persona amata non interrompe il nostro dialogo con lei. Nel Diario
di Gusen (forse il più bel libro damore scritto nel
corso dellultimo conflitto mondiale), troviamo un esempio
straordinario di come un dialogo fra lontani possa approfondirsi.
Nellorrendo lager nazista, Aldo Carpi grande pittore
e altrettanto grande cristiano conversa con la moglie, Maria,
dalla quale lo separano migliaia di chilometri, arricchisce il legame
damore filtrando le proprie terribili esperienze attraverso
laffetto che porta a lei, e a lei affida le sue disperate
speranze di non diventare un relitto umano, nonostante linferno
che lo circonda.
Scrive il monaco Bernard Besret: «Un amore verso qualcuno
io lo devo esprimere, se voglio nutrirlo. Mi è necessario
esprimere quello che sono, per esserlo ancora di più... Così
si spiega nella mia esistenza il bisogno di esprimere (e questa
è la preghiera) la mia fede, di esprimere la mia speranza,
di esprimere il mio amore: per avere più fede, per crescere
nella speranza, per lasciarmi trasfigurare da questa speranza; per
lasciarmi bruciare da questo amore, per lasciarmi trasformare da
questo amore...». E la preghiera come pedagogia dellessere,
pedagogia dellessere di più: così che quando
io prego la mia preghiera non arriva come qualcosa di estraneo alla
mia vita, ma come una «coscientizzazione della mia vita».
Lamore umano ha come risultato esistenziale il passaggio dal
soliloquio al dialogo. Allo stesso modo, la preghiera (detta, ma
anche ascoltata) è il rischio di un cambiamento di noi, dentro
di noi, che possiamo esser presi dalla trama avvolgente della «voce
che parla nel silenzio», forando anche la parte più
blindata del nostro essere. Levento è il coraggio di
correre questo rischio; di non respingerlo a priori per ipocrisia
intellettuale e per atteggiamento irrazionale; di non aver timore
di dichiararsene vinti, quando questo accada.
Leggo, di Francesco Rausa, ispiratore di queste mie note:
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Chi è savio nelle
logiche inumane
senza canto e speranza? Allinquieto mortale
basti nellumiltà quel tacito pregare
tra le fatiche e il sonno, o lesser pazzo
se aggrada, nei riposi di Orazio
ormai bimillenario, che tenero sorride
in pagine serene fra domestici inviti.
Lì, sulla Croce poi di Cristo la stoltezza
vertigine damore e di passione
ci rifaccia innocenti, ci rischiari
questa terra fra gli urli inabissata.
Folleggia pure Eterno, in FUOCO-AMORE! |
I versi sono in Duemila/Dramma, preludio a Duemila/Parola, prima
e seconda parte di una trilogia che sarà conclusa da Duemi-la/Luce.
Poesia, non teologia in versi. Sapiente modulazione di pensieri,
suggestioni, messaggi, riflessioni, emozioni che accordano la fede
con le ragioni dellarte; versi attraversati da unincontenibile
vena spirituale (e umana) appassionante, non di rado provocatoria
(«...quegli spirituals, proprio i nuovi Salmi / di chi fu
schiavo e tale si trascina / per questo nostro tempo senza Dio senza
poesia...»), di «ascolto della coscienza, di riflessione
sui temi dellessere e del tempo» (De Rosa).
Già Macrì definì Rausa umanista cristiano,
che nel reticolo della sua «pedagogia dellessere di
più» àncora periferia del mondo e centro del
pianeta, in una visione illimite e pur propositiva («Allaltro
Mille non più tempo astrale / va un canto di speranza dallanima
vitale...»), che almeno tempera le nostre nevrosi private
e collettive e le contraddizioni della nostra epoca e della nostra
società, riscattandoci in qualche modo dalla loro sterilità,
sradicandoci dalle disperate solitudini. Così la poesia interseca
la vita; e la letteratura, la storia. Macerazioni, rimeditazioni,
riesplorazioni (con gran peso autobiografico, e di formazione culturale,
coerentemente concertato con gli infusori che interscambiano le
energie e correnti tra i poli dinamici della realtà e della
dimensione trascendente); e il messaggio che tarla le nostre laiche
certezze («...il rischio è il Verbo nella tua coscienza»):
come a rammentarci che la Presenza che percepiamo sopra di noi o
accanto a noi non è tanto toccante e demolitrice-ricreatrice
quanto quella che è dentro di noi, che ci spossessa del nostro
uomo vecchio, ci rimette in cammino su una terra nuova,
ci ridà il dono dellautenticità. Non è
difficile cogliere questa Presenza. Come ha detto una volta lateo
Roger Garaudy: «Ciò che è sicuro è che
siamo tutti, in qualche modo, abitati».
Preghiera in poesia, dicevo. E cosè mai questa preghiera?
Come insegnano i mistici, è donazione totale,
in nome e in virtù della quale luomo si definisce non
più con il nome che la società gli ha dato e con le
leggi che gli sono state cucite addosso, ma con lamore di
Dio. Perdendosi in Dio, inabissandosi in Dio, finalmente si amano
gli altri come se stesso. Fanno rabbrividire parole
come quelle di Charles de Foucauld, che scriveva al termine del
suo lungo viaggio: «Depongo la mia anima nelle tue mani. Te
la dono, mio Dio, con tutto lamore del mio cuore, perché
ti amo. Ed è per me unesigenza damore il darmi,
il rimettermi nelle tue mani, senza misura, con una confidenza infinita
poiché tu sei il Padre mio».
«Ogni vita dissolve il grido in musiche / di silenzi-preghiera»,
riecheggia Rausa. Gli «attimi supremi» scanditi nella
mente e nel cuore (nella vita) tracciano la linea polare persuasiva
dellitinerario «dramma-parola-luce pena poesia orazione
/ pentimento-ritorno / sulle strade del Padre nuovo giorno».
Atmosfera e dimensione di magico-sconfinati echi dostoevskijani:
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Concedici Tu intanto la
Bellezza o Signore,
materna rivelatrice, consolante poesia
profumo dogni scienza e mia sapienza
memoria di armonie, del Bene che sei Tu.
[La Bellezza è Parola
o Cantico di Cantici per la colomba pura,
[donna splendida
in primavera di amori e melodie volte ai Cieli,
[tue vie
perché la scienza stessa senza Bellezza è muta
innanzi al mondo e a Te, o Perfetto Creatore
che Tutto in tutti finalmente sarai... |
«Oh novità delluomo su una via spersa / vita
ritrovata / folgore-Luce a Damasco...». Sul Novecento cristiano
di Rausa, qui citato, il sigillo di Aleksandr I. Solzenicyn:
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...Quando il mio intelletto
confuso
si ritira o viene meno,
quando gli uomini più intelligenti
non vedono al di là di questa sera
e non sanno che fare domani,
Tu mi concedi la chiara certezza
che esisti...
...Sulla cresta della gloria terrena
io mi volto indietro stupito
a guardare la strada percorsa
dalla disperazione a questo punto
donde fu dato a me comunicare
allumanità un riflesso dei Tuoi raggi... |
In attesa di Duemila/Luce, che nulla dovrebbe lasciare in penombra
né in zone grige: se poesia è profezia, o anelito,
o scandaglio del pozzo del cielo, o scavo danima. O preghiera.
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