Dicembre 2000

GLI INNI NAZIONALI

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Mameli e i suoi fratelli
Sergio Bello  
 
 

 

 

 

 

Nel mondo rutilante e spesso militaresco degli inni nazionali, il testo medioevale di quello dedicato al Mikado è uno dei più poetici.

 

Eseguito per intero, l’inno di Mameli dura un gran tempo: esattamente 7 minuti primi e 45 minuti secondi. L’autore lo scrisse a vent’anni. La difesa della Repubblica Romana gli costò la vita. Aveva ventidue anni. Morì da eroe, e forse mai eroe venne risarcito meglio. Le sei strofe furono musicate dal Novaro. Gli italiani conoscono appena la prima. I calciatori della Nazionale non conoscono forse neanche quella, comunque molti rifiutano di mandarla a memoria, intenti come sono, probabilmente, a far cantare cartamoneta, nel senso che se mettono la mano sul petto è per difendere il portafogli, non per ascoltare un palpito di cuore. Comunque sia, riportiamo il testo dell’inno, peraltro non facilmente rintracciabile.

Sei strofe per la Patria

 

Fratelli d’Italia
l’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
s’è cinta la testa.
Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma,
ché schiava di Roma
Iddio la creò.

Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte,
siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte,
siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò. Sì!

Fratelli d’Italia
l’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
s’è cinta la testa.
Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma,
ché schiava di Roma
Iddio la creò.

Noi fummo da secoli
calpesti, derisi
perché non siam popoli,
perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
bandiera, una speme;
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
Fratelli d’Italia, ecc.

Uniamoci, uniamoci,
l’unione e l’amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio:
uniti, per Dio!,
chi vincer ci può?

Fratelli d’Italia, ecc.

Dall’Alpe a Sicilia,
ovunque è Legnano;
Ogni uom di Ferruccio
ha il core, la mano.
I bimbi d’Italia
si chiaman Balilla,
il suon d’ogni squilla
i Vespri sonò.

Goffredo Mameli

E’ ovviamente il testo adottato in tempi di Repubblica, dunque emendato, e vedremo perché. Ora ci interessa altro. Si dice che l’inno di Mameli sia brutto. E si fa il confronto, in particolare, con la Marsigliese. Intanto, andrebbe ricordato che Mameli “andò a morire” da eroe rivoluzionario, mentre Rouget de Lisle, autore del testo francese, borghesemente morì nel suo letto: circostanza, questa, sulla quale i transalpini preferiscono sorvolare. E in ogni caso, non è che ci sia molta differenza fra “dell’elmo di Scipio / s’è cinta la testa” e “un sangue impuro / abbeveri i nostri solchi”; per non parlare del britannico “Dio salvi la regina / Dio salvi la nostra graziosa maestà!”.
Ma veniamo al tema musicale. Sulla presunta superiorità originale della Marsigliese c’è chi ha da ridire: de Lisle, secondo tutti i musicologi, doveva avere ben radicato in testa un concerto di Mozart quando compose il canto di guerra per i volontari marsigliesi dell’armata del Reno. E un altro inno nazionale, l’israeliano Hatikvà, poggia su un plagio abbastanza percepibile, quello della Vltava, di Smentana. E se andiamo al testo: “Od lo avda tikvatenu”, che tradotto suona “la nostra speranza non è ancora perduta”, per chi ha presente l’origine polacca di gran parte dell’ebraismo mondiale, e per chi conosce l’inno polacco Marcia di Dombrowski, non può che destare perplessità. Nell’inno polacco, infatti, si legge: “Jeszcze Polska nie zginela”, “la Polonia non è ancora perduta”. Fra l’altro, la Marcia ha una sorta di scambio di cortesie con l’Italia. La strofa del nostro inno, quella emendata, dice: “Son giunchi che piegano / le spade vendute / già l’aquila d’Austria / le penne ha perdute / il sangue d’Italia / e quello polacco / bevé col Cosacco / ma il cor le bruciò”. Ed ecco come attacca l’inno polacco: “Marcia marcia Dombrowski / dall’Italia alla Polonia / la Polonia non è ancora perduta”. L’inno polacco parla dell’Italia, quello italiano della Polonia. Dombrowski, generale di una legione polacca che combatteva sotto le bandiere di Napoleone, è l’eroe della nazione più cattolica d’Europa, e nello stesso tempo uno dei condottieri “giacobini” tacciabili di “genocidi”, secondo la recente polemica sulle “insorgenze” cattoliche del 1799. E “genocida del Sud”, come garibaldino, sarebbe tacciabile dall’identica fonte anche l’altro grande eroe nazionale polacco dell’800: l’italiano Francesco Nullo, morto combattendo durante l’insurrezione polacca del 1863.
Gli israeliani vorrebbero cambiare il loro Inno lacrimoso, che risale al 1878, magari facendo ricorso al coro del Nabucco, al Va’ pensiero, che di ebrei parla, e che in Italia è stato proposto come anti-Mameli, oltre che scippato dalla Lega. Gli spagnoli, invece, problemi di questo tipo non li hanno: il loro Himno Real è senza testo scritto, ha soltanto la musica, che fu composta come omaggio agli eredi dei “re cattolicissimi” di Castiglia e di Aragona dal prussiano, luterano e volterriano Federico II.

Altri problemi hanno i tedeschi. Deutschland über alles, su testo del loro Risorgimento, è stato adattato su musica di Haydn, così come l’inno austriaco fu adattato su musica di Mozart e quello americano su un vecchio inno inglese settecentesco, intitolato Anacreonte in cielo. Ma chi taccia l’inno di Mameli di essere brutto ha mai letto il testo dell’inno americano? Si recita: “Oh! Potete vedere, nei fulgori mattutini / colei che così fieramente salutammo negli ultimi bagliori del crepuscolo / le cui larghe strisce e luccicanti stelle avevano attraversato la perigliosa pugna / sui nostri bastioni guardammo così gagliardamente sventolare”.
Ma torniamo all’inno tedesco: “Germania Germania sopra tutto / sopra ogni cosa al mondo / dalla Mosa al Memel / dall’Adige al Belt”: e dal momento che, per riconquistare i “confini naturali” indicati nella sua prima strofa e persi dalla Germania guglielmina nella prima guerra mondiale, Hitler ne aveva scatenato una seconda, la Repubblica Federale si mette al sicuro, ora, facendo partire le esecuzioni dalla seconda strofa.
Il Giappone, per far dimenticare il passato fino al 1945, aveva messo sotto naftalina inno e bandiera. Solo da poco, col revisionismo storico che si respira a Tokyo, la Dieta ha “riconsacrato” questi emblemi nazionali. E va detto che nel mondo rutilante e spesso militaresco degli inni nazionali, il testo medioevale di quello dedicato al Mikado è probabilmente uno dei più poetici, nel gentile e tutto orientale tratteggio della natura in cui si risolve: “Che il tuo regno diecimila anni si prolunghi / governa, Signore, fino a che le pietre del presente / saranno fuse dal tempo nelle rocce giganti / sui cui venerabili fianchi s’allunga il muschio”.
E infatti: chi ha prescritto che inno nazionale debba parlare di guerra, Jomo Kenyatta, padre della patria del Kenya, dopo l’indipendenza indisse un concorso e scelse come inno un’antica ninna nanna. Il Canto del Mattino dell’India è su testo del Premio Nobel per la Letteratura Rabin-dranath Tagore. E ci sono stati, e continuano ad esserci, incidenti di percorso: gli eredi di Tagore avevano venduto i diritti dell’inno a un cantante folk americano, circostanza che ha causato molte noie legali. Così nel 1844, quando in Messico si indisse un concorso per l’inno nazionale: dal momento che il premio non fu mai pagato al vincitore, gli eredi vendettero il copyright a una casa editrice statunitense, alla quale il Messico deve pagare tuttora i diritti ogni volta che l’inno viene eseguito. E cosa declama quest’inno? “Messicani, al grido di guerra / un acciar apprestate e l’arcion / e rimbombi nel cuore la terra / al sonoro ruggir del cannon”. C’è rima anche nella traduzione italiana. Vogliamo ancora dir male dell’inno italiano?

   
   
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