Dicembre 2000

CULTURE E CIVILTA’ DEL MEDITERRANEO / 3

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Il romanticismo italiano e
l’inizio della poesia maltese
Oliver Friggieri Università di Malta
 
 

 

 

 

 

 

 

Si tratta della musa primitiva, la prima espressione
dell’immigrazione nazionale nella forma in cui si
esteriorizza
lo spirito del popolo maltese.

 

Nel 1895 Bonello pubblicò la ballata tradizionale L-gharusa tal-Mosta. Lo studioso italiano Ettore Rossi afferma che questa leggenda della sposa rapita dai corsari, salvata dal sacrificio dello sposo, ha diverse varianti da paese a paese: la più caratteristica e fedele alle origini è la versione della Scibilia Nobili, raccontata da Salvatore Struppa a Marsala e pubblicata nel 1874. Rossi attribuisce un’origine meridionale e marinaresca alla leggenda e nota che la somiglianza tra il racconto della Scibilia Nobili di Marsala e la L-gharusa tal-Mosta è un altro segno delle affinità antiche tra la Sicilia e Malta. Cremona accetta l’opinione di Bonelli per il quale la leggenda, secondo l’evidenza interna, è piuttosto antica e il fatto è collocabile attorno al 1500. Ma le attribuisce uno sfondo maltese perché in un manoscritto locale del Settecento si dice che «si cantano ancora delle canzoni su una ragazza rapita», e conclude che la similarità fra alcune strofe delle due versioni, cioè la maltese e la siciliana, suggerisce una mera interazione.
Come ricorda lo stesso Cremona, la leggenda, a causa della sua antichità e del fascino storico-popolare che evoca (una conseguenza dell’intrecciarsi dell’amore privato con il destino collettivo e della mescolanza di idealità e di tono elegiaco), ebbe una grande fortuna come spunto o come tema centrale di varie opere letterarie. Nel 1862 Nicola Zammit pubblicò il romanzo storico Angelica o la sposa della Mosta, apparso anche in una versione maltese nel 1878 e nel 1900, ad opera di Guzé Muscat Azzopardi; nel 1915 Gaetano Gauci elaborò il racconto in un romanzo di valore non trascurabile, La notte di dolore. Racconto storico del secolo XVI.
Lill-Gran Mastru Cottoner, una poesia di Giov. Francesco Bonamico, conservata nel ms. 144 (Nuova scuola della antica lingua punica scoperta nel moderno parlare maltese e gozitano) della Biblioteca Nazionale, fu pubblicata per la prima volta nel 1931 da Cremona. Fu scritta verso il 1675 per essere recitata nella piazza principale della capitale maltese durante la festa popolare del Calendimaggio. Le antitesi che sembrano tolte dalle acrobazie verbali dei poeti barocchi italiani del Seicento, le metafore ben ideate ma sovrabbondanti, l’impostazione rustica e idillica che allontana la figura del Gran Maestro dalle complessità e dalle incertezze della vita politica e ufficiale del tempo, gli ottonari posti dentro le quartine, lo schema della rima: tutte le caratteristiche di questo componimento, il più noto e degno di attenzione fra tutti i frammenti di cui si sta parlando, lo inseriscono nell’ambiente della poesia sofisticata e stilizzata che si scriveva in Italia e che fu imitata a Malta in italiano.

Il Bonamico non poté sottrarsi alla tradizione contemporanea, anche se scrisse in maltese; fu un letterato educato italianamente e le idealità artistiche che conobbe furono quelle delle maggiori città straniere. L’ottonario è qui adoperato per un intento dichiaratamente letterario. In Italia fu usato in massima per le poesie religiose e goliardiche del Medio Evo, e un tale fatto può spiegare in qualche modo la questione dell’enorme popolarità che ebbe nelle poesie maltesi. Fu dapprima introdotto nella poesia italiana dei maltesi, e poi mantenne la sua priorità anche nell’ambito della nuova produzione in maltese. Più significativa è l’impronta barocca di questa ode che ci fornisce un rarissimo esempio di opera barocca in volgare scritta nel Seicento. Nelle quattro strofe, non più agili e danzanti come quelle dei canti schiettamente popolari, si sente il continuo bisogno di creare nuovi paragoni secondo il credo mariniano della sorpresa e della stravaganza:

  E’ del poeta il fin la maraviglia,
chi non sa far stupir vada alla striglia.

Il Bonamico dice che il Gran Maestro è «dawl t’ghajnejna» (luce dei nostri occhi), e che «tant is-sema jhallik hdejna, fl-akbar bard ikollna s-shana» (finché il cielo ti lascia con noi nell’inverno avremo l’estate). Il personaggio storico è quasi divinizzato; è paragonato ad uno dei sensi esterni dell’uomo, anzi con quello che è comunemente stimato il più caro e ha delle forze che vanno al di là dei limiti delle possibilità umane. Si tenta pure di produrre qualche effetto musicale attraverso la ripetizione e il parallelismo (si noti, ad esempio, la corrispondenza sintattica tra il secondo e il terzo verso della terza quartina):

 

li ma kienx min iwennisha,
li ma kienx min iharisha.

(se non c’è chi la cura,
se non c’è chi la protegge.)

Nel 1931 Cremona pubblicò per la prima volta una poesia anonima del Seicento e un’altra, Per l’omicidio successo in persona del P. Lettor Vincenzo Grimani - canzone maltese. La prima, conservata dal De Soldanis, racconta di un gozitano rapito dagli sbirri della giustizia e trascinato a Malta dove fu messo in carcere e torturato ingiustamente per un intero anno. Il versificatore popolare si lamenta di essere stato dimenticato e abbandonato dalla famiglia, e perciò si rivolge a Dio e alla Madonna. Mentre dichiara ripetutamente la propria innocenza, esige vendetta dei suoi nemici. I versi, ottonari, senari e altri, si susseguono rapidamente. Il motivo musicale primeggia lungo tutto il racconto e le ripetizioni, le alliterazioni e le rime baciate mantengono una trama di nostalgia e di dolore. La seconda, conservata negli Stromati di Ignazio Saverio Mifsud, rievoca il delitto, avvenuto nel convento dei padri domenicani a Valletta il 23 aprile 1738. Gli ottonari, piuttosto duri e privi di ogni valore espressivo, conservano almeno la spontaneità nella descrizione della scena del delitto e mostrano una predilezione per il gusto del macabro e del crudo.

La ballata Ta’ l-awditur, pubblicata dal Cassar Pullicino nel 1944, è tradizionale e risale al secolo XVII. L’evidenza interna ne dichiara l’antichità e l’uso frequente dell’assonanza l’avvicina alla spontaneità incolta della produzione popolare. La vicenda, accaduta nell’epoca dei cavalieri, narra di una donna sposata che si innamora di un cavaliere; il marito viene a saperlo e la uccide, ma prima di morire la donna si pente, concede il perdono al suo uccisore e gli augura di sposarsi di nuovo. Nel 1948 il Cassar Pullicino pubblicò un Sonetto punico-maltese dell’ill. mo signor Dott. Ludovico Coltellini che Francesco Agius De Soldanis scrisse nel 1758. Il De Soldanis, amico di numerosi intellettuali italiani, cercò di sviluppare in maltese alcune delle tendenze letterarie straniere dell’epoca.
Benché sia un sonetto acrostico, limitando così la libertà verbale e tematica, alcuni elementi mostrano che l’autore non era indifferente alla corrente della poesia barocca. Essendo un’espressione di augurio e una testimonianza di stima a Coltellini, segretario dell’Accademia Botanica e di Storia Naturale di Cortona, il sonetto utilizza facilmente qualche elemento della poetica del sorprendente: la persona interpellata è chiamata gidi e sidi (la mia ricchezza e il mio padrone), e la sua presenza amichevole tferrah... izjed mill-Ghid (ci rallegra... più della Pasqua). La lode è superlativa e tende a idealizzare, con il solito formalismo verboso, la persona a cui è rivolto l’augurio.
Il-vrajs tal-Madalena, una leggenda pubblicata per la prima volta da Cassar Pullicino nel 1950, è costruita sul racconto evangelico, modificato in qualche particolare secondo la fantasia popolare, e prende il motivo conduttore dalla conversione e dalla penitenza della peccatrice pubblica. Esperienze umane e intervento divino si fondono insieme affinché il racconto assuma una fisionomia accettabile alle masse. L’epoca della leggenda maltese è posteriore al Medio Evo, quando sorse in Europa la leggenda cristiana con le sue elaborazioni e i suoi abbellimenti. Battelli, citato da Cassar Pullicino, afferma che questa leggenda, esistente anche in Romagna, deve essere nata sulle rive del Rodano, fra i pellegrini che si recavano a visitare le reliquie della santa, sostando al santuario delle Sante Marie del Mare nella pianura della Camargue. La leggenda è poi passata a Malta. La versione maltese non ha niente di comune con quella siciliana e assomiglia più da vicino alla versione della canzone che Paolo Toschi pubblicò in La poesia religiosa del popolo italiano.

L’aspetto religioso della leggenda e della canzone popolare maltese ha un’importanza fondamentale. Si trovano a Malta diverse preghiere popolari ispirate alla passione di Cristo. Siccome questo patrimonio è stato trascurato fino ai primi decenni del Novecento, quando ebbe inizio il movimento a favore del contributo popolano alla poesia maltese, quel poco che ci è pervenuto è incompleto o frammentario. Alcuni vecchi solevano recitare una composizione chiamata il-vrajs. I canti sulla passione rappresentano ciò che si è tramandato di generazione in generazione, un materiale dottrinale e popolare assimilato dalle prediche e dai Vangeli.
Questi brevi commenti intorno alle poche leggende maltesi che sono state conservate, studiate e poi fatte conoscere dal gruppo del movimento a favore della poesia popolare, avvicinano un tale patrimonio, limitatissimo ma decisamente autentico, al vasto patrimonio della leggenda popolare siciliana che, se considerata sotto gli aspetti contenutistici, potrebbe distinguersi in sacra, religiosa e profana. La leggenda sacra prende un argomento biblico e lo rianima alla sua maniera emotiva, basando tutto sull’anello tra il cielo e la terra, tra Dio che perdona e punisce e l’uomo che pecca. Normalmente la forma della leggenda siciliana utilizza l’ottava a quattro rime alterne e l’ottava epica; benché il periodo della poesia maltese che sta sott’occhio sia quello iniziale e suggerisca una mancanza di sperimentazione tecnica, la strofa è sempre, o quasi sempre, la quartina rimata, e si attiene particolarmente al settenario e all’ottonario.
Dal punto di vista tematico, quando si esaminano le fiabe e le leggende maltesi accanto a quelle siciliane, come anche a quelle di varie parti dell’Italia, vi si scorge un’affinità narrativa nei motivi di rilievo negli episodi principali che formano l’organismo tematico. Tra la fiaba o la novellina e la leggenda maltese e quella siciliana c’è una distinzione negli elementi secondari:

 

Ogni fatto o avvenimento in un racconto possiede una facoltà di riproduzione. Nei trasferimenti orali di racconti da un individuo all’altro, l’avvenimento con gli altri elementi di persone o cose che vi figurano possono essere di poco o di nessuna entità per la costruzione sentimentale del tema. [...]. La loro riproduzione dipende dall’ambiente sociale come anche dal temperamento ed intelletto dell’individuo. Nell’esaminare il racconto attinto da una fonte estranea il testo maltese della narrazione rivela dei fenomeni di assorbimento di certi elementi secondari di sostituzione con altri, delle volte da altre narrazioni; un certo ibridismo di caratteri ed episodi, come anche un adattamento di cose e ambienti locali in sostituzione di altri estranei.

Un parallelismo formale sembra esistere tra il ghanja o il vrajs (strofetta, versetto), cioè una canzone fatta soltanto di una strofa di quattro versi, ciascuno di otto sillabe, e la canzone italiana che a volte è composta da una sola quartina, o da tre, o da due o da una sola, chiamata aria o baiata.

Gan Anton Vassallo, scrivendo nel 1851, afferma che ai suoi tempi la canzone o ode maltese prendeva lo spunto da argomenti erotici. In tempi anteriori si componevano evocazioni di odi eroiche, perché il popolo si ispirava alle avventure coraggiose dei pirati e ai combattimenti tra maltesi e turchi. Essendo ormai passato il tempo eroico, non si cantava più secondo l’ispirazione di un’Iliade o di una Nautomachia, ma ci si abbandonava ad effusioni pindariche e abbracci catulliani. A questa classificazione della canzone maltese in canzone storica o eroica e in canzone amorosa, il Cassar Pullicino aggiunge la poesia religiosa che occupa una grande parte di tutto il patrimonio. Così si avvicina di più alla classificazione che il Pitrè dà della leggenda popolare siciliana. Se si considerasse che la preoccupazione primaria dei versificatori popolari non era politica ma prettamente sociale, immersa nell’indagine della crisi nazionale vista sotto aspetti che toccano i rapporti familiari, si potrebbe identificare la sezione della poesia eroica, come l’aveva chiamata il Vassallo, con quella che il Pitrè chiama profana perché rammemora

 

ladri, banditi e scene luttuose e paurose di sangue e di rapina. […]. Quelle feroci vendette, quei delitti impuniti, quelle passioni gagliarde e poco men brutali, quegli atti tra pietosi e feroci, tra magnanimi e bassi, infondono sensi di raccapriccio, di dolore, di compassione, di amore.

In quest’ultima specie di poesia popolare, si devono includere anche i foglietti e le carte volanti con delle poesie stampate. Sono poche le ballate maltesi antiche conservate fino ai nostri giorni (un fenomeno che Malta sembra avere in comune, su scala minore, con l’Italia centrale e meridionale), ma nella seconda metà dell’Ottocento si è largamente diffusa a Malta la consuetudine dei versificatori popolari di produrre racconti che prendono spunto dalla trama dei libretti delle opere liriche italiane, da qualche tragedia tradizionale della penisola (come quella, ad esempio, di Pia de’ Tolomei) e soprattutto da qualche avvenimento eroico o triste, particolarmente una disgrazia o un delitto atroce che si svolge fatalmente intorno ad un noto personaggio locale (una vittima o un birbante). Il racconto era stampato in forma di libretto di otto o di una quindicina di pagine e divulgato fra le masse a prezzo di un soldo o poco più. La popolarità di questi foglietti fu enorme (e se ne stampano ancora). Antica è anche la tradizione di scrivere canti popolari in onore del santo patrono di una città o di un villaggio e di stamparli su carte volanti. A questa consuetudine prenderanno parte più tardi anche i maggiori esponenti del romanticismo, per esempio Dun Karm e Karmenu Vassallo.
Tutto questo patrimonio sembra essere un filone del patrimonio assai più ampio del popolo italiano, con la sola differenza che, mentre nella penisola il canto popolaresco coesisteva con la poesia d’arte coeva, fornendole spesso la tematica schietta e appassionata, a Malta si svolgeva in contrapposizione alla produzione artistica italiana dei dotti, e pur essendo per lungo tempo ignorato, preparava lo stato d’animo per la poesia elaborata dei decenni futuri. In sostanza, il popolo maltese non poteva essere indifferente alla vita poetica delle masse italiane. La schiatta dei cantastorie dell’Ottocento italiano ha le sue origini nel remoto passato. Durante il Trecento e il Quattrocento le piazze dell’Italia settentrionale e centrale risuonarono di declamazioni di numerosi cantori popolari. Nel Cinquecento il popolo ascoltava le storie del cieco Compa’ Junno di Sbruffapappa, di Giàn Carlo detto dell’Arpa, di Giovanni della Carriòla, e di tanti altri. Nel Seicento e Settecento i poeti-rapsodi narrarono in pubblico le avventurose gesta che animavano la fantasia di tutti. Nell’Ottocento i cantastorie trovarono il loro pubblico in ogni parte della penisola. Almeno fino a tutto il secolo XVII, oltre alle pubbliche dizioni, i poeti popolari erano sempre presenti nelle feste da ballo o di nozze, di battesimo. Questa letteratura costituì per vari secoli il solo patrimonio culturale di una grande parte della popolazione insieme con gli almanacchi e i lunari, con i canti di Carnevale e di Quaresima, e con le caricature di personaggi contemporanei. La diffusione di tali stampe popolari fu estesa e duratura in tutta Italia, quasi sino all’ultimo ventennio dell’Ottocento, e in qualche caso fino al primo decennio del secolo XX.

La kurunella, una poesia semplice che celebra sentimentalmente gli attributi di Dio e le virtù dei santi, era molto diffusa a Malta per mezzo di simili fogli volanti. La pubblicazione delle kurunelli e anche degli inni religiosi, continuata fino ai nostri giorni, diede un contributo assai considerevole allo sviluppo della lingua maltese e alla sperimentazione tecnica e idiomatica in sede poetica, e può essere considerata come uno dei primi tentativi, realizzati su un piano estensivo e accessibile a tutti, di minimizzare o addirittura di annientare la frattura tradizionale tra la letteratura accademica e quella, ancora nascente, delle masse popolari. Fra le più antiche di queste pubblicazioni c’è Coronella dello Spirito Santo che si recita nella sua novena dalla Veneranda Congregazione degli Onorati, composta dal M.R.P.P. Fedele, Custode dei RR.PP. Cappuccini nell’anno 1822 e Kurunella ad unur u glorja tat-Twelid glorjuz tal-Bambina Vergni Marija li tinghad fin-novena di un autore anonimo, scritta intorno al 1813 o al 1814, quando scoppiò la peste nell’isola.
Questo genere di poesia popolare religiosa continuava a divulgarsi e anche ad assumere qualche pretensione letteraria nelle opere di Ludovico Mifsud Tommasi (1796-1879) che ha lasciato una vasta produzione con l’intento di invitare quelli che componevano e cantavano canzoni tradizionali ad ispirarsi ad un tema religioso.
Non è da escludere affatto la possibilità che tutta questa smania per la pubblicazione e la diffusione di versi popolari in forma di fogli volanti o da un soldo abbia ricevuto una notevole spinta della presenza degli esuli a Malta durante i moti risorgimentali italiani. L’Italia ha una vasta collezione di canti popolari o popolareggianti stampati su fogli volanti che si configurano in una specie di partecipazione delle masse, durante il movimento risorgimentale e post-risorgimentale, alla conquista e poi alla ricostruzione della patria. La schematizzazione di questo corpus, accanto al filone meridionale-contadino e al filone centrosettentrionale-urbano, dovrebbe giustamente includere anche l’attività poetica che gli esuli, incoraggiati e aiutati dai maltesi, svolsero nell’isola.
Il contatto diretto tra esuli e maltesi, sotto questo aspetto, ha in comune la predilezione per la poesia popolare stampata e diffusa. E’ vero che la tematica tradizionale (religiosa e amorosa) di questi fogli veniva sostituita in tutto il periodo risorgimentale da una tematica politica e civile. Ma non si poteva aspettare un tanto radicale capovolgimento nel caso di un piccolo paese che non aveva trovato ancora la propria fisionomia e non si era ancora imbarcato nell’impresa dell’emancipazione costituzionale. Il sentimento patriottico, pur avendo cominciato a svolgersi a mano a mano mediante il contatto con i profughi, tardò a trovare le voci coraggiose disposte a predicare il mito nazionale e l’inevitabile coscienza anticoloniale nella forma poetica. L’idea patriottica rimase velata sotto la scorza di racconti storici che proiettavano il sentimento attuale in quello analogo che viene fuori dalla considerazione del remoto passato. La disposizione fondamentalmente religiosa del popolo sopprimeva l’ardore della ribellione, e preferì per lungo tempo continuare ad aderire alla concezione cattolica, motivo di accettazione rassegnata delle vecchie strutture e del pacifismo.

Una giustificazione letteraria

Accanto alla giustificazione popolare, c’è anche la questione del mito del popolo, un principio fondamentale fra i letterati che cominciarono a manifestare un profondo culto per il patrimonio artistico delle masse. Il che significa che, mentre fra il popolo tale partecipazione diede un risultato immediato – perché fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento il popolo poteva vantarsi di un enorme corpo di versi che, in sede strettamente extraletteraria, conducevano verso la democratizzazione della cultura (costituendo così un processo diametralmente opposto, o almeno una reazione istintiva contro la letteratura ristretta dei dotti) e verso la scoperta di una intera gamma di motivi che erano destinati a farsi sentire e a cercare il veicolo adatto a comunicarsi –, una giustificazione strettamente letteraria era destinata a presentarsi con l’andare del tempo e con il graduale maturarsi della coltivazione poetica del maltese.
Tale rivolta letteraria accadde quando, fra i letterati “convertiti” o orientati romanticamente a favore della letteratura democratica e popolare, si formò il gruppo di quelli che intendevano inserirsi nella direzione italiana e svolgere la loro attività in un duplice modo: raccogliendo e pubblicando i primi testi poetici maltesi e scrivendo una “nuova” poesia orientata secondo le esigenze delle masse, aliene dal classicismo accademico e dal formalismo ristretto delle scuole letterarie. Questa seconda tendenza continuò a primeggiare nel campo poetico maltese per lungo tempo finché si raggiunse l’equilibrio maturo tra poesia popolare, come fase essenziale e inevitabile dello stadio iniziale di ogni storia letteraria (e da questo punto di vista, l’inizio popolare della letteratura maltese coincide con il nuovo apprezzamento che veniva dato in Italia e in altri paesi alla poesia “incolta”), e poesia d’arte, anch’essa radicata nel suolo del temperamento romantico ma contemporaneamente diretta verso un livello artistico che potesse far risalire l’idioma nativo alla dignità di un mezzo letterario rispettabile. Nel campo poetico questa altezza fu raggiunta da Dun Karm che cominciò a scrivere in maltese nel 1912, dopo aver passato il periodo 1889-1912 percorrendo il parnaso italiano, seguendo la tradizione neo-classica e classico-romantica della penisola.
La poesia popolare, scritta da versificatori e da poeti “ineducati”, continuava a svolgersi anche dopo i primi decenni del Novecento, ma la marcia verso le più alte vette dell’espressione poetica era cominciata con costanza, offrendo così finalmente un’alternativa alla poesia dotta in italiano e anche alla tradizione popolare. La coesistenza dei tre filoni ci fa parlare di una contemporaneità di diversi atteggiamenti, e di un’interdipendenza, ma cronologicamente risultò nell’emergere della poesia maltese d’arte.
Per identificare giustamente la prima causa del culto dei letterati maltesi per la poesia del popolo (cominciato, come si è visto, da Bonelli, e continuato da Stumme, Ilg, Laurenza, Rossi, Cassar Pullicino, Cremona, Aquilina e, in un certo senso, anche da Magri), credo inevitabile confrontare il pensiero dei maggiori esponenti maltesi con quello di Berchet, il profeta romantico più importante del mito del popolo-poeta. Stabilire l’efficacia che la sua visione esercitò su quella dei maltesi significherebbe constatare un essenziale rapporto, in sede specificamente letteraria, tra le due culture.


La riflessione critica maltese sulla poesia popolare


Aquilina identifica il canto popolare, legato intimamente alle esperienze sentimentali dei giovani maltesi nel passato e alle loro tradizioni rustiche, con la fase iniziale di ogni letteratura nazionale. Il canto collettivo è la prima poesia del popolo che s’accontenta di un semplice schema di versi, in cui dà vita ai sentimenti d’amore per una ragazza e, a volte, a sentimenti di rancore se lei non corrisponde, o di vendetta e di odio per qualche rubacuori. Questo genere di poesia anticipa la poesia d’arte che dalla tessitura delle parole crea nuove strutture e ritmi più svariati. Nella storia della lingua maltese, come in quella di altri veicoli letterari, l’inizio della poesia si trova nel canto popolare costruito con semplici ottonari. Si tratta della musa primitiva, la prima espressione dell’immaginazione nazionale nella forma in cui si esteriorizza lo spirito del popolo maltese, senza ornamenti, così come lo sa tradurre l’anima del contadino, nelle notti silenziose dell’estate o durante il giorno di lavoro.
Molte canzoni popolari sono soltanto facili versificazioni, ma ce ne sono poi anche di pregevoli per le metafore che un poeta d’arte saprebbe fondere in un componimento raffinato; la poesia d’arte si crea con la raffinatezza dell’artifizio, ma è meno sincera e genuina del canto popolare. Benché non sia costruita e intrecciata secondo i valori della precettistica poetica, ma soltanto secondo le inclinazioni dell’anima, l’opera popolare è bella in quanto si configura in un grido dell’anima; il suo fascino fa pensare agli elementi della natura, arricchita di immagini vivaci e incantevoli.
La tematica della poesia popolare, afferma Aquilina, comprende gli aspetti fondamentali della sensibilità umana. Tratta l’amore e l’odio, i lamenti del cuore, la rievocazione degli eventi antichi, e la filosofia che risulta dalla contemplazione dell’esperienza quotidiana. Mentre insiste sulla visione dell’ambiente rustico e naturale come il contesto da cui la poesia popolare trae la sua ispirazione che, dall’altro canto, «perde molto della sua efficacia quando viene trascritta», perché la naturalezza e la spontaneità immediata sono condizioni indispensabili, Aquilina accentua anche l’identificazione del contenuto di questa forma espressiva con l’identità della nazione e con il processo storico.
Cremona sostiene che il valore maggiore di questo genere stia nella sua antichità, e per la sua priorità storica è anche la stessa sorgente da cui più tardi sarebbe scaturita la poesia d’arte. Si può trovare in qualche canzone l’arte della poesia elaborata, ma la raffinatezza letteraria dipende dagli esercizi dell’intelletto e dall’uso della lingua. Pur essendo composte, in gran parte, da versi difettosi e privi di precisione tecnica, mescolate a proverbi e a stornelli popolari, queste canzoni riescono sempre dolci e non mancano frammenti che esprimono con fedeltà il concetto e l’emozione di chi le compone e le canta.
Cassar Pullicino definisce la poesia popolare come una raccolta di versi semplici, costruiti senza l’artifizio intellettuale, caratterizzati dalla soavità dei pensieri che colpiscono l’immaginazione non della gente educata ma di quella sezione del popolo per cui la vita consiste unicamente nello svolgersi delle quattro stagioni e nella realizzazione della volontà divina durante il corso della vita rustica. Questa poesia, particolarmente se religiosa, è tutt’una con la vita e con le vicende della nazione.
C’è un intimo rapporto tra le credenze del popolo e la forma espressiva che assumono. Riferendosi al corpo poetico religioso, Cassar Pullicino distingue nettamente tra i versi che la gente devota stessa crea per proprio uso e che poi trasmette ai posteri mediante una tradizione orale – soavi versificazioni in cui l’immaginazione collettiva si svaga senza reprimersi e abbellisce il contenuto religioso oggettivo con idee colorite – e i versi scritti da un autore (un prete o un letterato) e che poi il popolo impara a memoria e recita testualmente. Dalla ricostruzione del materiale poetico popolare balza fuori anche la ricostruzione della storia antica dei padri della nazione, trasformata dalla fantasia e dall’immaginazione.

Reagendo contro la poesia dotta delle accademie, Berchet tradusse e adattò i motivi antichi delle romanze spagnole che risalgono al secolo XV e nel 1837 pubblicò a Bruxelles le Vecchie romanze spagnole. Per l’importanza attribuita dallo stesso Berchet a Giovanni Goffredo Herder che cominciò a dar credito alle prime esperienze poetiche del popolo (in verità, soprattutto Vico aveva anticipato questa posizione) e per l’influenza che Herder esercitò sul pensiero di Berchet, è giusto rintracciare brevemente le idee fondamentali dell’autore dei Volkslieder (1778-1779) o Canti popolari (la raccolta che nel 1807 un altro editore pubblicò con un titolo diverso ma ben più idoneo, Stimmen der Vòlker in Liedern) cioè Voci dei popoli nei canti). La valutazione di Herder concorda da vicino con quella di Vico che, nella Scienza nuova (1725), stabilì il rapporto tra la poesia popolare e la vita primitiva e incolta delle nazioni, e chiamò in causa l’indole ingenua e istintiva della produzione poetica, anticipando in tal modo il nuovo sentimento romantico della tradizione nazionale e remota, insieme con la devozione verso la trasmissione secolare dei canti anonimi del popolo.

Herder identificò la poesia nazionale con la tradizione in cui si trova una ispirazione pura e naturale; il contenuto non è accademico e artistico. Con lui ebbe inizio la visione della letteratura come manifestazione del cuore del popolo, e quella della rottura tra la poesia autentica e la poesia accademica e artificiosamente elaborata. E’ da Herder che il romanticismo, specialmente latino, ha appreso la distinzione fondamentale tra la Kunstpoesie (poesia d’arte) e la Naturpoesie (poesia di natura); quella è il prodotto ben formato della cultura e della riflessione matura, e questa è la voce intima e spontanea dell’anima, cioè l’unica vera poesia.
Perciò Herder, creatore del mito romantico dell’anima collettiva del popolo, trovò l’ispirazione autentica nell’opera di Ossian, di Omero, di Sofocle, di Shakespeare e nella Bibbia. In questo patrimonio c’è la passione selvaggia, barbarica, il frutto dell’impulso indomabile che è alla base della natura umana. E’ pure fondamentalmente romantica la distinzione herderiana tra la poesia popolare che si trasmette di generazione in generazione per le vie, raccogliendo così in sé l’anima anonima della nazione, e la poesia popolare che parla dell’esperienza civile e comunitaria, pur essendo scritta da poeti colti e artisticamente maturi.
Anche la dottrina di Berchet si dibatte entro questi limiti. Nella prefazione alle Vecchie romanze spagnole asserisce che dovunque ci sia una comunanza di memorie e di costumi, ivi può essere la poesia e che questa trova il modo di esternarsi anche senza l’eleganza formale del letterato. Berchet contrappone la poesia semplice e schietta (egli chiama mediocri gli esempi dati da Herder), che si sviluppa nel periodo iniziale della civiltà, alla poesia letteraria delle scuole accademiche. Invece dell’interesse nella forma precisa e architettonicamente ben costruita introduce la ricerca del contenuto umano e il valore dell’applicabilità popolare e nazionale della poesia, tradotta in tal modo in una cronaca della vita sociale. Berchet distingue altresì tra la poesia che è tutta d’istinto, opera di poeti ineducati, e quella in cui cominciano a balenare l’intenzione e l’esercizio della forma, e concede grande valore alla poesia «ineducata» e al suo carattere extraculturale. Nella sua definizione c’è pure un processo cronologico: la poesia incolta si forma prima che si sviluppi «una civiltà più adulta».

Questi giudizi e altri simili spiegano fino a che punto il pensiero dei letterati maltesi abbia le sue origini in questo terreno romantico. Inoltre, Aquilina fa un passo più avanti e utilizza la distinzione berchetiana tra poesia popolare e poesia d’arte per stabilire il posto che tocca a Gan Anton Vassallo nel corso della storia letteraria dell’isola, collocando il poeta nel momento in cui i due poli, cronologicamente successivi fino ad un certo punto, s’incontrano. Vassallo, membro della sezione colta dei letterati, non trascurò la tradizione accademica quando scrisse in italiano.
D’altro canto, volle esprimersi anche in maltese e la condizione linguistica e letteraria, fra altre cause, non gli permise di far risalire i suoi versi in vernacolo all’altezza formale e contenutistica della poesia dotta coeva; perciò conservò un carattere popolare, incolto, e ciò non ostacolò il contatto diretto che egli intendeva stabilire tra la sua opera e la sensibilità collettiva. L’asserzione di Aquilina che il movimento letterario maltese avesse inizio come movimento semi-letterario e semi-popolare e che di Vassallo in poi si andasse aprendo la via propriamente letteraria giustifica la distinzione berchetiana e la applica alla situazione locale perché la storia letteraria maltese è un esempio del detto che la poesia popolare fiorisce agli inizi della civiltà e perché i primi sforzi a favore della formazione di una poesia maltese esigevano, sotto tali aspetti, che non solo si scrivesse una poesia del genere, ma anche che più tardi gli studiosi e i poeti stessi raccogliessero il patrimonio poetico ignorato e sottovalutato.

(3 - Fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate nei nn. 2 e 3, giugno-settembre 2000)

   
   
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