Marzo 2001

MATEMATICA E FENOMENI DI MERCATO

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L’economia? E’ un’opinione
Robert Solow Economista - Docente Mit
 
 

Esiste una sottocultura della disciplina economica che mira a dimostrare teoremi molto generali ricorrendo alla matematica avanzata; questa sottocultura è, ironicamente, di origine francese.

 

La globalizzazione ha finito per coinvolgere il mondo economico universitario. Il rombo lontano degli scontri sulla scienza economica proveniente dalla Francia ha naturalmente intrigato la mia curiosità. Leggendo la petizione presentata dagli studenti della Scuola Normale Superiore, la mia reazione è stata duplice. Prima di tutto, la mia conoscenza del francese, sebbene sommaria, si è dimostrata sufficiente per comprendere quel che costoro dicevano. Concordavo con l’essenza delle loro tesi, sebbene contenesse alcuni giudizi erronei che avrei voluto poter controbattere. In secondo luogo, ho constatato che la controversia insorta tra universitari era di natura diversa. Il discorso si era fatto opaco e pressoché incomprensibile. La retorica non serviva tanto a sostenere gli studenti nella loro richiesta di un insegnamento migliore, quanto ad alimentare un dibattito dottrinale, se non ideologico.

Sulla questione dell’insegnamento dell’economia: a mio avviso, la teoria economica non è abbastanza profonda da giustificare un insegnamento fine a se stesso, come, per esempio, “l’arte per l’arte”. L’economia è una disciplina applicata. E’ interessante perché aiuta a capire, forse a risolvere, i problemi concreti con i quali si confrontano le nostre economie. Gli studenti hanno bisogno di imparare come trovare e migliorare gli strumenti analitici necessari per comprendere questo o quel fatto, oppure un insieme di fatti. Debbono acquisire queste capacità fin dall’inizio dei loro studi per trovare interesse nell’economia; e alla fine debbono padroneggiarla, poiché è soltanto mettendola in pratica che la maggior parte di loro eserciterà la professione.

Se è vero, come pretendono gli studenti, che la componente empirica dell’economia è in pratica assente nell’insegnamento, allora i loro professori non fanno bene il proprio mestiere. Se agli studenti francesi si insegna l’economia come se si trattasse di una disciplina astratta, assiomatica, o come se questa consistesse nell’applicazione ripetitiva di una sola tecnica di analisi elaborata, allora gli studenti hanno ragione di protestare.
Schierarsi a favore o contro l’uso della matematica non è pertinente, come ammettono gli studenti. L’economia applicata consiste in una serie di modelli – vale a dire di rappresentazioni semplificate dalla realtà – adattabili a contesti differenti. La maggior parte di questi modelli sono costruiti mediante termini matematici. Quando si cerca di analizzare una situazione relativamente complessa, le cui caratteristiche principali sono numeriche (prezzo, quantità prodotte, tasso di interesse, impiego, grado di disuguaglianza...), e ci si sforza di rispettare le regole della logica, allora, inevitabilmente, la matematica diventa uno strumento indispensabile. Orbene, quella richiesta in economia è una matematica abbastanza elementare, che non presenta particolari difficoltà per la maggioranza degli studenti che la imparano oppure la utilizzano.

Esiste una sottocultura della disciplina economica che mira a dimostrare teoremi molto generali ricorrendo alla matematica avanzata; questa sottocultura, che raggruppa, di fatto, una piccola minoranza di economisti, è, ironicamente, di origine soprattutto francese! Le lamentele a proposito della “matematizzazione” dell’economia rappresentano sia una reazione esagerata di fronte a questo gruppo minoritario sia un attacco mascherato contro qualcos’altro.
Gli studenti dichiarano anche, in maniera confusa e con deboli argomentazioni, la loro convinzione di avere a che fare soltanto con l’economia “neoclassica”, dalla quale sono esclusi “altri approcci” di analisi dei problemi economici. E’ proprio questo, naturalmente, che alimenta la polemica tra i più anziani! A questo proposito vale la pena fare una precisazione. Do per acquisito che la teoria neoclassica si fonda su un insieme particolare di ipotesi di base. Le più importanti sono state spesso: che le famiglie e le aziende sono agenti razionali che nel lungo periodo ottimizzano un obiettivo perfettamente definito; che utilizzano correttamente l’informazione per definire i loro comportamenti e formare le previsioni; che i prezzi e i salari sono sufficientemente flessibili perché i mercati dei beni e del lavoro trovino rapidamente il loro equilibrio, in modo che la maggior parte delle osservazioni si registrano intorno a quest’ultimo; che la maggior parte dei mercati conosce una concorrenza quasi perfetta. Non menziono qui i modelli con “agente rappresentativo”, poiché questo approccio non appartiene alla tradizione neoclassica e non è accettato dalla maggior parte di quelli che si dichiarano neoclassici.

Ciascuna di queste ipotesi ha portata empirica contestabile e viene rimessa in causa dai sostenitori dell’approccio neoclassico! In realtà, la ricerca teorica contemporanea si dedica ad elaborare le conseguenze derivanti dai mercati incompleti, dalla concorrenza imperfetta, dai prezzi rigidi, dalle asimmetrie d’informazione, dagli obiettivi non convenzionali e dai comportamenti privi di equilibrio. E’ in questi settori che le conquiste procurano reputazione scientifica. Ignoro se gli studenti abbiano coscienza di questo. Quanto ai loro professori, dovrebbero esserne consapevoli.

Queste ipotesi hanno acquisito lo status di ipotesi standard proprio per la loro praticità e facilità d’uso. Talvolta consentono di ottenere risultati utili. Lasciarle andare risulta difficile e implica molto spesso il ricorso ad espressioni teoriche più complicate. Recentemente, tuttavia, sono stati fatti sensibili progressi e si sa ormai come fare a meno di certe ipotesi tradizionali. Ignoro che anche gli studenti sappiano ciò.

Probabilmente sono convinti che un approccio totalmente diverso risolverebbe i problemi più difficili in modo più rapido ed elegante. Qualunque tentativo in questa direzione sarebbe il benvenuto. Tuttavia, per essere seriamente preso in considerazione, ogni approccio alternativo deve sottostare alle regole della logica, rispettare i fatti e dare prova di parsimonia. Detto chiaramente, un buon modello deve essere in grado di spiegare un gran numero di fatti facendo ricorso ad un numero limitato di ipotesi. Supporre che gli oggetti tendano a cadere non significa far progredire la teoria della gravità! Credo che nessun “approccio alternativo” abbia fino ad oggi soddisfatto questi criteri. Ci si può meravigliare che i detrattori dell’economia neoclassica non abbiano formulato con maggior precisione ipotesi alternative che avrebbero potuto provare empiricamente con le migliori tecniche quantitative disponibili.

Sulla questione della dominanza neoclassica: per quale ragione la scienza economica americana è così predominante nel mondo? Non credo che ciò abbia niente a che vedere con l’egemonia culturale e politica americana. Suggerirei, piuttosto, due altre spiegazioni, una evidente, l’altra probabile. La prima sta nel fatto che gli Stati Uniti formano e mantengono un gran numero di economisti. Il meglio della produzione di 20.000 economisti dovrebbe di regola superare il meglio della produzione di 5.000 economisti (e il peggio della produzione sarà peggio...). Una questione ben più interessante è capire perché piccoli Paesi, come la Svezia e i Paesi Bassi, siano riusciti ad avere un ruolo così sproporzionato in economia!

La seconda ragione deriva dal fatto che il sistema universitario americano è molto eterogeneo. Ha università grandi e piccole, pubbliche e private, buone e cattive, dedicate alla ricerca e al football. Si fanno una concorrenza selvaggia per reclutare i migliori studenti e i migliori professori. A tale scopo, cercano di favorire stretti contatti tra gli studenti migliori e i loro professori, per arrivare a progetti di ricerca comuni. Il sistema di riconoscimento accademico favorisce più il merito che la gerarchia. Criteri oggettivi come le pubblicazioni sulle grandi riviste internazionali e l’impatto che ne deriva sono privilegiati in tutte le valutazioni (questo può a volte divenire ridicolo, ma costituisce un’efficace protezione contro il nepotismo). E’ probabile che un simile sistema generi più idee e ricerca avanzata di quanto non avvenga nei sistemi alternativi presenti in altri Paesi.

Ognuno vorrebbe vedere soddisfatti i bisogni reali degli studenti, senza per questo sacrificare il necessario rigore. Questo può essere certamente fatto.

   
   
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