Marzo 2001

OPPORTUNISMO ECONOMICO

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L’altra faccia del pianeta
Mario Sarcinelli  
 
 

 

 

 

 

E’ difficile
comprendere come questo si concilii con il desiderio
di Putin di vedere aumentare
gli investimenti stranieri in Russia.

 

L’annuncio di una limitata moratoria, anche nel tempo, da parte del governo Kasjanov della Federazione Russa ha richiamato alla mia mente il pessimismo che nel 1924 fu espresso da Keynes a proposito della sorte dei crediti concessi a governi stranieri: «In verità è probabile che i prestiti a governi stranieri abbiano dato cattivi risultati nel complesso. L’investitore non ha alcun rimedio – proprio nessuno – contro l’inadempienza. V’è da parte di molti Paesi stranieri una forte tendenza a comportarsi così in caso di guerre e di rivoluzioni e ogni volta che l’aspettativa di nuovi prestiti non supera più l’ammontare degli interessi su quelli vecchi».
Anche se la fattispecie che Keynes aveva in mente riguardava i prestiti privati a enti sovrani, mutatis mutandis, la sua analisi può essere estesa ai crediti da Stato a Stato. E’, forse, la Russia oggi nella condizione di non poter rimborsare i prestiti che essa ha ereditato dall’Unione Sovietica e che già erano stati oggetto di riscadenzamento nell’ambito del Club di Parigi? No, la sua bilancia dei pagamenti è in buona salute e le sue riserve ufficiali potrebbero essere in condizioni migliori se la fuoriuscita di capitali e l’accumulazione privata di valute straniere fossero minori.
Grazie soprattutto all’esportazione di petrolio e ai prezzi che un cartello internazionale ha deciso di imporre ai Paesi consumatori, la bilancia commerciale della Russia ha segnato nel 2000 un attivo di 60 miliardi di dollari circa, mentre le riserve della Banca centrale sono cresciute di 16, raggiungendo il livello di 28; se si tiene conto che il servizio del debito estero ne ha assorbito altri 11 circa, oltre la metà dell’avanzo (33 miliardi di dollari) è andato ad incrementare le disponibilità valutarie dei russi sia all’interno del Paese sia all’estero, oltre che a finanziare qualche legittimo investimento fuori dai confini.

Quando la fiducia nella moneta nazionale è buona, la quota dei saldi monetari detenuta sotto forma di biglietti di banca stranieri è minima o insignificante. Non è questa certamente la situazione della Russia dove, secondo uno studio del Tesoro americano, la quantità di greenbacks nelle mani della popolazione ammonta alla straordinaria cifra di 60 miliardi di dollari, un valore non dissimile da quello in circolazione negli Stati Uniti. Il drenaggio, quindi, dalla bilancia dei pagamenti verso i peculii privati è non solo rilevantissimo, ma anche legale.
L’esportazione di capitale non sempre è contro la legge, anche se certamente ne viola lo spirito, e si avvale dei classici strumenti della sovrafatturazione delle importazioni, che pare giunga fino al pagamento di beni e servizi mai consegnati, e alla sottofatturazione delle esportazioni. Almeno per il petrolio, tuttavia, quest’ultimo fenomeno si è fortemente ridotto, il che ha permesso di chiudere la forbice tra il valore delle esportazioni e i proventi delle medesime. L’atteggiamento del presidente Putin nei confronti degli oligarchi non è certamente estraneo a questo miglioramento nella bilancia dei pagamenti del settore.
Le banche occidentali continuano, quindi, ad essere destinatarie di ingenti somme di provenienza e proprietà russa, che si aggiungono a quelle già trasferite in precedenza. Se lo stock di banconote americane in mano ai russi è stato stimato in 60 miliardi di dollari, è immaginabile che le disponibilità collocate all’estero non siano almeno il doppio? Se si pensa allo stato di arretratezza e di degrado di gran parte dell’apparato produttivo russo, si evidenzia chiaramente quale danno sociale derivi da comportamenti che, quand’anche legali, non permettono al Paese di inserirsi nel contesto dei Paesi di buona industrializzazione.

Cosa si sta facendo per migliorare il clima economico e favorire gli investimenti? La riforma fiscale è certamente il successo maggiore di Putin sul piano parlamentare. E’ da augurarsi che l’imposta personale con l’unica aliquota del 13 per cento serva a ridurre l’evasione e che la riduzione dal 65 al 24 per cento in media della pressione complessiva sul monte salari dell’impresa serva a stimolarne anche la capacità innovativa. D’altra parte, il 2000 è stato un anno favorevole per la Russia, con un aumento del Pil del 7 per cento, per effetto della forte svalutazione del rublo del 1998 e la favorevole congiuntura petrolifera degli ultimi tempi, e della produzione industriale del 10 per cento.
La risposta dell’economia può quindi costituire un volano per la modernizzazione del Paese e per il rilancio degli investimenti, anche da parte degli stranieri. Il flusso di quelli diretti provenienti dall’estero non arriva a 5 miliardi di dollari. D’altra parte, se la fiducia è ancora negata al Paese dai propri imprenditori, non v’è ragione che sia concessa da quelli stranieri.
In questo quadro, che si è tentati di definire promettente, si èinserita la decisione del governo russo di congelare il rimborso dei debiti ex Urss, ammontanti a 48,6 miliardi di dollari, verso i Paesi del Club di Parigi per i primi tre mesi dell’anno. Né la situazione di liquidità, come già rilevato, né le condizioni interne sono tali da giustificare, secondo la citata visione di Keynes, l’inosservanza degli obblighi verso i Paesi creditori.
Quale spiegazione si può dare per un simile comportamento? Innanzi tutto, va detto che la decisione è stata accuratamente preparata, come dimostrano la dichiarazione di Kasjanov secondo la quale era possibile una sospensione dei rimborsi se fosse diminuito il prezzo del petrolio, e, soprattutto, il mancato inserimento nella legislazione finanziaria per il 2001 dei 3,3 miliardi di dollari necessari per onorare le scadenze del debito ex sovietico. Inoltre, è convinzione di Putin che il carico del debito estero sia eccessivo, come ha reso noto nel fare il bilancio del suo primo anno al Cremlino, sicché è abbastanza palese l’intendimento di ottenere, attraverso la sospensione dei pagamenti, anche dal Club di Parigi la riduzione del 30 per cento sui debiti pubblici che era stata già concessa dal Club di Londra per quelli privati.

L’occasione per un simile atto di forza è stata fornita dal calendario dei colloqui russo-tedeschi sui crediti bilaterali a Berlino e dall’arrivo a Mosca di una delegazione del Fondo monetario internazionale per discutere il programma di azione economica e finanziaria; in passato, il Fmi si era dichiarato contrario alla riduzione del 30 per cento per i debiti verso i Paesi del Club parigino. Può, oggi, cambiare opinione? E’ difficile, alla luce delle risultanze della bilancia commerciale che testimoniano di una capacità di ripagamento. Gli stessi russi, però, non potranno addurre ipotetiche riduzioni del prezzo del petrolio.
Quindi, la giustificazione sostanziale è da ricercare con ogni probabilità nel miglioramento della capacità “contrattuale” della Russia e nella sua volontà di utilizzarla nella ridefinizione di accordi già raggiunti. E’ questo, perciò, un brutto precedente, poiché fa dipendere la rinegoziazione dei debiti non solo da un peggioramento delle condizioni del Paese debitore, ma anche dal loro miglioramento, con chiaro aumento dell’incertezza. E’ difficile poi comprendere come ciò si concilii col desiderio, espresso anch’esso da Putin, di vedere aumentare gli investimenti stranieri in Russia. Perciò non si può non convenire con chi qualifica di spregiudicato pragmatismo le iniziative internazionali della Russia nell’ultimo anno. Ammesso che abbia successo nel breve termine, pagherà l’opportunismo nel medio?

   
   
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