Marzo 2001

I TRACCIATI DELLA STORIA

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Europa delle etnie
Ruggero della Seta  
 
 

 

 

 

 

Ci si chiede se quel che è accaduto
in Russia con la
dissoluzione
dell’impero
comunista non sia
il destino possibile anche di Francia, Svizzera, Italia, Spagna e la stessa Inghilterra.

 

Corsi, Baschi, Bretoni, Occitani, Furoni, Ulster-Irlandesi, Scozzesi, sono nomi di “popoli” che stanno scomodi negli Stati-contenitori di cui fanno parte e ai quali, a volte con mezzi violenti e a volte col gioco pacifico della scheda elettorale, creano serie difficoltà. Il fatto è che a questi protagonisti dell’autonomia o dell’indipendenza nello scenario attualistico si affiancano sempre più numerosi comprimari decisi a far risaltare identità e presenze fino ad oggi soffocate o ignorate. Si tratta di raggruppamenti di solito contraddistinti con l’aggettivo “etnici”, vale a dire di popoli cui non sta bene il vestito-statuto di “minoranze” e che vorrebbero trovare una via di mezzo tra la tolleranza minoritaria e l’impossibile dimensione di “Stato”.
Per indicare questi innumeri popoli d’Europa, tra Oder e Don, tra Gibilterra e Caucaso, occorrerebbe una mappa geo-etnica particolare e particolarmente complessa, in cui alla distrettualizzazione geografica tipica delle burocrazie degli Stati si sostituisca il colorato e frammentatissimo atlante dei “gruppi-popoli” aventi una loro specifica consistenza, anche modesta, di parlata, di costumanze, di tradizioni, di cultura endogena e di culture di scambio.
Nei media oggi tengono banco le informazioni sui più irrequieti e scontenti di questi popoli, soprattutto nell’area euro-meridionale e in quella euro-occidentale, nelle cruente vicende che hanno visto o continuano a vedere coinvolti Baschi spagnoli (con propaggini in terra francese), Corsi francesi, Irlandesi dell’Ulster, e Serbi, Croati, Albanesi, Kosovari, Montenegrini. Ma l’Europa dei popoli, che completa quella delle nazioni, è molto più articolata. Al punto che ci si chiede se quel che è accaduto in Russia con la dissoluzione dell’impero comunista e col riemergere protagonico delle cento nazionalità-popoli che lo componevano non sia il destino possibile anche di Paesi europei come la Francia, la Svizzera, l’Italia, la Spagna e la stessa Inghilterra; se poi oltre ai popoli del tessuto storico mettiamo anche quelli di nuova immigrazione africana o asiatica non c’è che dire, sarà un complicato rebus.

Va da sé che una cosa è la forza dei popoli, un’altra la debolezza delle etnie che sono stanziate in territori di ridotte dimensioni, con economie in grandissima parte non autosufficienti, con interrelazioni e sistemi di scambio condizionati da confini erratici, di fronteggiamento in molti casi, e con presenze di altre minoranze non integrate o integrate in parte. Il tentativo di redigere una “carta delle etnie” è stato fatto. La “carta” risulta da una specie di decomposizione e disarticolazione dei macro-Stati dell’Europa attuale, sostituiti dalla “geografia dei popoli” ricavata dalla cancellazione delle verniciature consuete “nazionali”, con le vecchie radici ridipinte e ricomposte nei tessuti ritenuti originari. Così la Spagna si suddivide in cinque grandi unità territoriali: una parte centrale, dalla Castiglia all’Andalusia; i Paesi Baschi, con la Navarra; poi Galizia, Catalogna e la Regione Valenciana.
La Francia si suddivide tra la “Frantzia” (l’area centro-settentrionale che si prolunga fino alla Vallonia belga), la Bretagna, l’Occitania, lo spazio aquitano-tologano-provenzale. La Corsica ha un “popolo”, come la Sardegna. Si stacca dal Belgio la parte delle Fiandre che riassorbe anche le minoranze fiamminghe stanziate in territorio francese.
Beneficiaria massima di un atlante del genere è senza dubbio la Germania: le spettano di diritto l’Alsazia, la Svizzera tedesca, l’Austria, compreso l’Alto Adige o Sud Tirolo italiano. Compare la regione indipendente del Friuli. La Cecoslovacchia è già scissa in due Stati indipendenti, la Boemia e la Slovacchia. L’ex Jugoslavia si è dissolta in Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia e Montenegro, con Vojvodina e Kosovo, Macedonia e altre micro-aree irrequiete o macro-aree (Istria-Fiume) che stanno rialzando testa e memorie storiche. La Macedonia si avvicina in parte alla Bulgaria, in parte alla Grecia; l’Epiro del nord, albanese, guarda a quello del sud, greco. La Transilvania romena ha voglia d’Ungheria, Stato che guarda con estrema attenzione ai territori che ha dovuto cedere alla fine del secondo conflitto mondiale alla Russia. L’Ucraina indipendente assorbe mezza Moldavia, spaziando dal Dnestr al Don. Un po’ più a settentrione, passando per una Bielorussia che reclama maggiore libertà, si raggiungono i tre Stati baltici. La zona caucasica è un mosaico variopinto: vi si incontrano popoli di quattro gruppi linguistico-etnici: indoeuropei (gli Armeni), turchi (gli Azeri), iranici (gli Osseti) e i caucasici veri e propri (Georgiani, Adigezi, Agusci, Abkazi, Ceceni e Lesghi).
All’interno di quella che oggi è la Repub-blica di Russia e che si estende dal Niemen a Vladivostok, la carta geo-antropologica è un alternarsi di macchie etniche: sono le varie nazionalità, un’ottantina, sul centinaio registrato dai linguisti, che avevano diritto di rappresentanza nel Soviet delle nazionalità, assemblea che affiancava come seconda istanza del Congresso del Popolo il Soviet dell’Urss.
Proseguendo nella lettura di questa “carta delle etnie”, troviamo segnate le disarticolazioni dell’ex monolite Urss: la Carelia è finlandese, e le diverse repubbliche, regioni, province cosiddette autonome del sistema politico ex sovietico (Sciuvasci, Morduini, Tatari, Baschiri, Komi, fino ai Tedeschi del Volga e ai turcofoni dell’area meridionale) reclamano quel diritto all’autonomia o all’indipendenza che avevano visto sprofondare nel gigantesco calderone dell’impero sovietico.
Certo, se è – diciamo – abbastanza facile ricostruire queste mappe territoriali caratterizzate da un nome specifico di regione (per lo più coincidente con quello della popolazione che in misura predominante vi abita), appare estremamente difficile isolare all’interno in linee demarcate precise i vari gruppi che vi si addensano. Prendiamo un caso tipico, quello della Bucovina: un’area ben definita, nelle montagne est-carpatiche, tra i fiumi Moldava, Siret e Prut; terra ad alti rilievi, boscosa, fertile; poco più grande della Liguria, popolata da circa un milione di persone; una storia e una cultura locali rispettabili; dopo un paio di secoli di dominio turco, era entrata nell’orbita del macro-contenitore austro-ungarico (1774). La piccola capitale, Cernauti, ha tre o quattro denominazioni (romena, russa, tedesca, polacca) corrispondenti alle diverse fasi della sua appartenenza. Dopo il 1919, nello sfacelo dell’impero absburgico, venne assegnata alla Romania, dopo il ‘45 e Yalta, si spaccò: due terzi andarono alla repubblica sovietica dell’Ucraina, un terzo rimase ai romeni. Oggi è già oggetto di un contenzioso tra Ucraina e Romania, e si parla di scorporare una parte della repubblica di Moldavia in procinto di tornare alla Romania (per plebiscito), dalla quale era stata staccata, e di barattare il ritorno della Bucovina ai romeni con la cessione all’Ucraina della Transdnistria moldava.
Il fatto è che in quella regione vivono, in proporzioni più o meno equivalenti, Ro-meni, Rutuni e Ucraini; ma vi sono stanziate anche minoranze polacche, tedesche (la Bucovina dal 1774 fu Ducato austriaco), ebree e armene. Come provincia ucraina, capoluogo Cernovci, la Bucovina storica è solo un anodino distretto amministrativo. In un ordine umano che riconosce la legittimità di popoli e di minoranze, sono sufficienti le ripartizioni amministrativo-burocratiche? E, specularmente, quali potenzialità politiche ed economiche può avere un’etnia-Stato nel contesto europeo o euro-asiatico?
Ma anche là dove i recenti sismi politici hanno ridato statuto di indipendenza a popoli già sopraggiunti alla sovranità, come i tre Paesi baltici, i problemi non sono del tutto risolti. Con ogni probabilità, anzi, si sono moltiplicati. Usciti dal rullo compressore-contenitore sovietico, i Baltici devono fare i conti con la loro storia, con i loro “popoli” minori, con quelli confinanti, con quelli travasati nel quarantennio seguito alla loro sudditanza a Mosca sancita dal baratto Hitler-Stalin. La Lituania, ad esempio, ha un contenzioso pregresso con la Polonia, collegato alla cosiddetta “clausola di Vilnius”. L’attuale città capitale dei lituani infatti era rimasta sotto sovranità polacca nel periodo tra le due grandi guerre, pur essendo rivendicata dai lituani. Fu solo dopo gli accordi Hitler-Stalin del 1939 che, passata la Lituania nell’orbita sovietica, la vecchia capitale storica lituana divenne capoluogo della nuova repubblica federativa sovietica. Oggi Polonia e Lituania aspirano, rivendicando ciascuna il proprio diritto, a riavere o a mantenere la città che fu culla del Granducato.
E’ vero: giustizia sembra infine fatta, il piccolo Stato-nazione lituano ha tutte le credenziali internazionali in regola. Ma sta di fatto che non è cessato il contenzioso con i suoi “popoli”: comincia col rivendicare confini e capitale storica; non riconosce ai suoi cittadini di nazionalità polacca (8 per cento) il diritto di voto se non previa dichiarazione di fedeltà al nuovo Stato; incorpora un 9 per cento di cittadini russi, con i quali e per i quali è tuttora in atto un contenzioso complicato. Così come, del resto, accade altrove, e più macroscopicamente in quel dell’isola di Cipro, col confronto durissimo tra Turchi e Greci; oppure, tanto per restare più o meno nell’identico scacchiere, nel Vicino Oriente e a Gerusalemme.
Nel Baltico non ci sono guerriglie o guerre in corso, ed è escluso che vi possano essere in futuro. Forse perché l’Europa fa da contrappeso autorevole. Anche se, per l’intero Vecchio Continente, per tutti i suoi Stati, per tutte le sue etnie, per tutti i tentativi, autentici o fasulli, di secessione, col dopo-Maastricht e le ormai bisecolari “diplomazie delle sovranità” qualcosa dovrà pur muoversi. Chiedendosi, per lo meno: quale Europa? Dall’Atlantico fin dove? Federata o confederata? Aperta alle migrazioni o con migrazioni regolate? Con Trattato di Schengen allargato, oppure no? E con quali diritti e doveri “reali”? E con quali rappresentanze, regolate per Stato o per numero di abitanti? Dominata da “assi” o da concerti o ancora da più articolati rapporti negoziali? Come è dato vedere, il cammino è ancora (troppo) lungo. Ostacoli, egoismi di parte, progetti di primazia sono ancora dietro l’angolo. La storia d’Europa è tuttora un gran magma incandescente.

   
   
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