Marzo 2001

VOCI DAL MONDO

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Venti di crisi
Robert Rubin Economista, ex ministro del Tesoro degli Stati Uniti
 
 

 

 

 

 

Il successo
dei servizi finanziari continuerà
a dipendere da
capacità
e competenze
tradizionali.

 

Come le nuove tecnologie, anche il trasporto ferroviario e l’elettricità in passato hanno aumentato la produttività. Nessuna di queste innovazioni, tuttavia, ha eliminato i cicli economici. Nel predire il futuro, la tendenza più comune è quella di estrapolare dal presente. Per mia esperienza personale, e a giudicare dalla storia della finanza, questa abitudine porta quasi fatalmente a trarre conclusioni sbagliate sulle probabilità di eventi futuri. Se le cose sono andate bene, ci si aspetta, quasi per una questione di legge naturale, che continuino ad andare bene. Ma, se si traggono conclusioni così affrettate, cresce la probabilità che le conseguenze siano al contrario funeste e inaspettate. Vorrei analizzare brevemente tre diversi rischi sottovalutati che potrebbero minacciare l’intero sistema finanziario.
Il primo. A soli due anni dall’attenuazione della crisi asiatica il timore di potenziali crisi future sembra essere svanito. Pur se confortante, questo atteggiamento è fuorviante, poiché la causa principale di quello sconvolgimento finanziario non è stata rimossa. Ritengo infatti che la crisi finanziaria asiatica non fu soltanto provocata da particolari condizioni politiche e dall’incapacità strutturale di sviluppare i Paesi coinvolti ma, in egual misura, dagli eccessivi afflussi di capitale provenienti dai Paesi industrializzati. Le istituzioni finanziarie occidentali hanno sottovalutato i rischi e hanno dato eccessivo peso ai fattori positivi, cercando di realizzare i massimi profitti nei periodi di crescita.
Questo errore, a sua volta, rispecchia un’insita tendenza agli eccessi che si verifica nei mercati per natura stessa della psiche umana e per paura e avidità – un errore che si è manifestato ripetutamente negli ultimi decenni e in tutta la storia finanziaria. Le probabilità che in futuro si verifichi una grave crisi, simile a quella scoppiata in Asia poco più di tre anni fa, sono elevate, anche se nel sistema finanziario globale di oggi non c’è modo di dire quando questo potrà accadere e a che cosa dovrà essere imputato. Non credo che investitori e politici stiano dando a questa eventualità la dovuta importanza.

Questo mi porta direttamente al secondo timore. Sebbene le nuove tecnologie informatiche siano sicuramente rivoluzionarie e consentiranno un notevole aumento della produttività, potrebbero anche generare una sopravvalutazione dei titoli azionari e diffondere la presunzione di essere immuni da dissesti economici e di mercato futuri.
La storia economica abbonda di grandi progressi che hanno incrementato notevolmente la produttività, ad esempio il trasporto ferroviario, l’avvento dell’elettricità e la produzione di massa. Nessuna di queste innovazioni, tuttavia, ha eliminato i cicli economici, e tutte hanno generato un ottimismo eccessivo che ha portato a disordini e a correzioni dolorose.
Oggi, negli Stati Uniti, il grande afflusso di capitali, che finanzia il deficit delle partite correnti, l’eccesso di crescita interna rispetto alla crescita della produzione, la bassa propensione al risparmio e gli alti livelli di capitalizzazione del mercato azionario rispetto agli standard storici potrebbero (non sono, ma potrebbero) essere degli eccessi che rispecchiano una reazione abnorme ai reali punti di forza dell’economia statunitense, inclusa la crescita della produttività riconducibile alle nuove tecnologie. Se sono degli eccessi dovranno ridimensionarsi, gradualmente o bruscamente, e questo ridimensionamento potrebbe costituire un punto debole dei mercati finanziari globali.

Tutto ciò mi porta al terzo timore: la convinzione che le nuove tecnologie trasformeranno i servizi finanziari. Questo potrebbe essere vero per quello che riguarda l’interfaccia con i clienti e con i costi, ma nulla di ciò che si farà nel sistema bancario, nelle istituzioni finanziarie o nei mercati potrà in alcun modo ridurre la tendenza innata agli eccessi. Il pericolo potrebbe essere addirittura maggiore, data l’interazione e la comunicazione quasi istantanea con qualsiasi parte del mondo, la maggior velocità con la quale si conducono le transazioni e la crescita esponenziale di complicati strumenti derivativi resa possibile dalle nuove tecnologie. Inoltre, le stesse nuove tecnologie, migliorando la trasparenza a favore del cliente e creando un mercato più competitivo, aumentano la produttività ma, per la stessa logica riducono i margini di profitto. Questo effetto potrebbe a sua volta aumentare la tendenza a perseguire profitti più elevati mediante l’assunzione di rischi maggiori.
Il successo dei servizi finanziari continuerà a dipendere, a mio parere, da capacità e competenze tradizionali: analisi del credito, gestione del rischio, senso commerciale, eccellente servizio al cliente, e via dicendo. Tut-tavia la tendenza potrebbe essere quella di spostare l’attenzione dalle classiche competenze alle nuove tecnologie, anche nelle organizzazioni tradizionali, che ritengo domineranno i servizi finanziari su Internet.

Per ridurre al minimo l’instabilità del sistema globale e per creare un ambiente economico in cui i mercati allochino le proprie attività in modo efficace, i politici dovranno trovare leve migliori per far sì che chi detiene il potere decisionale agisca con disciplina ed eviti gli eccessi. Inoltre, i politici dovrebbero proporre dei limiti all’indebitamento massimo, includendo l’esposizione rappresentata da titoli derivativi che incorporano un indebitamento implicito.
In questo modo, quando si verificheranno degli eccessi, come credo sia inevitabile, questi saranno più limitati, e il danno che deriverà dalla loro correzione sarà meno doloroso. Disposizioni sui capitali minimi, sui margini e altri tipi di informazioni pubbliche servono esattamente a questo scopo. C’è necessità di una maggiore circolazione di queste pratiche. Questa esigenza diventa sempre più urgente a mano a mano che crescono l’entità dei flussi, la velocità di interazione, le emissioni di strumenti derivativi, e a mano a mano che il credito viene esteso ad aree geografiche più rischiose rispetto a quelle dell’ultimo decennio.
In breve, in quest’anno d’inizio secolo-millennio e negli anni futuri dovremmo ricordare che le innovazioni, per quanto grande possa essere il loro impatto, non cambiano la natura umana e non eliminano la necessità di analisi equilibrate dei rischi-benefìci.

   
   
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