Marzo 2001

ANTIGLOBALISMO IN PIAZZA

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Molti veti, zero proposte
Marcel de la Grange  
 
 

 

 

 

 

Per ora, limitiamoci a verificare
che le attuali forme di opposizione non giovano nemmeno
in piccola parte
a migliorare
la governabilità
globale.

 

Il vertice europeo di Nizza si è svolto precisamente un anno dopo la conferenza di Seattle della World Trade Organization. Gruppi di oppositori hanno duramente contestato il vertice nel nome dell’antiglobalizzazione, espressione che va ormai considerata come sinonimo di anticapitalismo.
La composizione di questo vasto fronte comprende ecologisti, animalisti, terzomondisti e spiritualisti di varia estrazione: e c’è chi sostiene che vi siano ormai forti componenti legate a organizzazioni più militanti, quali gruppi anarchici di diversi Paesi, alcuni eredi dell’operaismo degli anni Settanta e Ottanta, e, persino, dei separatisti baschi. Gruppi, comunque, che hanno ideologie e programmi (quando ci sono) anche molto diversi, ma con la volontà comune di opporsi all’establishment economico e finanziario nazionale e internazionale. Probabil-mente, uno degli slogan più significativi di Nizza è stato, infatti, un graffito in vernice nera che recitava: «Morte al denaro!».
Da Seattle a Nizza le tappe di quello che si usa chiamare impropriamente il popolo di Seattle sono state numerose, in un crescendo che sicuramente non ha ancora toccato le punte più alte. La nuova contestazione degli anni Duemila è passata infatti attraverso gli appuntamenti più importanti dell’economia mondiale: il World Eco-nomic Forum, di Davos; il meeting del Fondo Monetario Internazionale, di Washington; l’incontro sull’economia mondiale, di Praga; con qualche puntata minore, come la Conferenza sulle Biotecnologie, di Genova.
La mobilitazione è grande. La capacità organizzativa, grazie anche a Internet, è ammirevole. L’esito è stato, e continua ad essere, significativo. E’ difficile ignorare ciò che accade, anche se occorre chiarire che l’effetto vero consiste per ora in una sorta di diritto di veto e di interdizione, mentre quasi per nulla la contestazione riesce a portare contributi positivi nelle istanze decisionali che contano. E difficilmente potrebbe essere altrimenti.
Questi gruppi sono infatti espressione di movimenti d’opinione che sorgono essenzialmente nell’Occidente ricco e industrializzato. I Paesi in via di sviluppo, con le loro istanze, non ne sono per nulla rappresentati. Anzi, molte delle richieste dei gruppi di opposizione sarebbero, qualora accolte, del tutto contrarie agli interessi dei Paesi più poveri. Basta pensare alle richieste di una maggiore protezione dell’ambiente e di standard che condizionino gli scambi internazionali al rispetto di norme ecologiche stringenti; alle critiche al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale in merito alle politiche di prestito ai Paesi bisognosi; o, ancora, alla strenua opposizione alle biotecnologie, che possono rappresentare un pericolo, ma anche un’importantissima soluzione ai problemi della fame, delle malattie e del sottosviluppo.
Ciò che queste opposizioni non hanno è una capacità propositiva reale, che tenga conto della grande varietà e complessità dei problemi, vale a dire di quella che si chiama la governabilità globale. Molti dei problemi che oggi si affrontano ricadono sotto questa cappa. Il fallimento della Confe-renza dell’Aja sul clima ne è un esempio: non si è riusciti a comporre visioni contrastanti e interessi divergenti tra i tanti Paesi che hanno partecipato ai lavori, perché per fare fronte a problemi globali si utilizzano strumenti locali o parziali. L’adozione di soluzioni globali, però, comporta l’accettazione di soluzioni che su scala locale possono essere non ottimali, o addirittura penalizzanti.
Poco più di un anno fa, a Seattle, era fallita la conferenza che la Wto aveva convocato per lanciare un nuovo round commerciale, che si sarebbe dovuto chiamare Global Round. Il vertice naufragò e un anno abbondante non è stato sufficiente per farlo resuscitare. Ma il fallimento era stato determinato dall’impossibilità di individuare un’agenda comune realistica, che contemperasse obiettivi differenti di Paesi diversi: ci furono contrasti tra Paesi industrializzati, come gli Stati Uniti e i membri dell’Unione europea, tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo, e anche tra gli stessi Paesi in via di sviluppo. L’accompagnamento sonoro delle manifestazioni esterne dei dimostranti giunti a Seattle non fu che una concausa apparente, perché nei fatti la Conferenza era già fallita prima di iniziare.
Ma non c’è alcun dubbio che la variegata opposizione antiglobalista tenda a complicare questo quadro, di per sé complesso. Nel campo ambientale, ad esempio, molti ministri dell’Ambiente innalzano la bandiera ecologista, e questo si è chiaramente notato al vertice dell’Aja, dove la posizione europea non è riuscita a incontrarsi con quella americana. Nelle vicende delle biotecnologie, il copione è spesso analogo (la Conferenza di Genova è stata contestata anche da politici e rappresentanti di governo). Nei futuri momenti d’incontro delle grandi organizzazioni economiche, come il Fondo Monetario, o commerciali, come la Wto, si troveranno sicuramente esponenti politici e di governo che si faranno paladini di alcune delle posizioni del fronte di opposizione. E alle immense difficoltà di organizzare una governabilità globale, coordinando gli interessi di 150 e più Paesi, si assommeranno le difficoltà di dare rappresentanza alle organizzazioni non-governative, o almeno a quelle capaci di far sentire meglio la propria voce.
E’ alquanto arduo sostenere che ciò sia bene, che risponda a esigenze di democrazia globale e, soprattutto, porti a soluzioni più eque. Per ora, limitiamoci a verificare che le attuali forme di opposizione non giovano nemmeno in piccola parte a migliorare la governabilità globale. Certamente, la repressione non costituisce una soluzione; ma le manifestazioni violente non fanno altro che creare danno, togliendo credibilità all’intero movimento antiglobalizzazione, che invece, in alcune parti, potrebbe portare un contributo di critica, di ragioni, e – c’è da sperarlo – di nuove proposte.

   
   
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