Marzo 2001

L’EUROPA UTILE - 1

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Il reticolo
delle garanzie
Mario Pinzauti  
 
 

 

 

 

 

Una sorta
di “carta d’identità” nel giro di qualche anno accompagnerà tutti i prodotti
alimentari venduti nell’Unione Europea e indicherà luoghi, tempi e modi
della produzione.

 

E’ l’Europa di cui, curiosamente, si parla poco, talvolta niente, nei servizi che i mezzi di comunicazione dedicano alle riunioni di vertice dei capi politici dell’Unione. Eppure è l’Europa cui, sicuramente, i cittadini sono più interessati. E’ l’Europa utile, cioè l’insieme delle iniziative che l’Unione ha realizzato e realizza per rendere più facile e più gradevole la nostra esistenza.
Si tratta di una grande quantità di iniziative: alcune già vecchie di mezzo secolo (sono quelle degli anni dell’inizio del processo di integrazione europea); altre più recenti; altre ancora appena avviate o solo progettate. Tutte hanno dietro il lavoro di un esercito di persone, sono costate e costano tanti soldi. In energie umane ed economiche l’Europa utile ha dunque avuto e ha un prezzo elevato. Ne è valsa e ne vale la pena?
A differenza di quanto fanno gli scrittori di romanzi gialli non rimandiamo la risposta alla fine dell’articolo che stiamo scrivendo. Diciamo subito un convinto SI!: con tanto di maiuscole, sottolineatura e punto esclamativo. E motiviamo il giudizio che la nostra risposta esprime passando la parola ai fatti.

Cominciamo con i fatti che riguardano le iniziative dell’Europa utile per assicurare ai suoi cittadini un cibo sano, genuino, gradevole. Questo problema – secondo un’indagine realizzata nel ‘97 dalla Commissione Europea – è il più sentito dalle 374 milioni di persone che risiedono nei 15 Paesi dell’Unione. E’ di conseguenza tra quelli che impegnano di più le istituzioni dell’Europa comunitaria: con risultati positivi che sono sotto gli occhi di tutti noi si può dire ogni giorno; oppure, in un numero minore di casi, sono apparentemente o parzialmente deludenti ma costituiscono passaggi obbligati verso futuri successi.
Tra questi ultimi, cioè tra i risultati che momentaneamente lasciano a bocca amara ma fanno intravedere positivi sviluppi, c’è il bilancio di quanto finora si è fatto per liberare allevatori, commercianti, consumatori dall’incubo della “mucca pazza”. I blocchi delle esportazioni di carne dalla Francia, la caduta dei consumi, il panico dei cittadini, la rabbia e le preoccupazioni degli allevatori, degli esportatori, dei commercianti, tutti questi fatti – oltretutto dilatati e infiammati da mezzi di comunicazione sempre pronti a sbattere il mostro in prima pagina – hanno reso apparentemente patetico se non grottesco il grido di guerra con cui, proprio nei giorni più esplosivi della crisi (eravamo alla fine dello scorso anno), David Byrne, commissario dell’Unione per la salute e la difesa dei consumatori, ribadiva la politica europea in materia di “mucca pazza” e, più in generale, di prodotti alimentari: «dalla fattoria alla forchetta», cioè garanzia di una tutela che comincia nel momento della produzione, appunto nella fattoria, per finire nel momento del consumo, sulla tavola del cittadino. Queste parole, in quei giorni, sono sembrate fuori luogo e fuori tempo. In realtà, Byrne stava confermando un impegno non solo serio ma credibile. Anzitutto perché senza la garanzia europea e la quantità di iniziative che l’hanno accompagnata e l’accompagnano la ricaduta di fine Duemila del caso della “mucca pazza” avrebbe avuto conseguenze peggiori (tra l’altro, una lunghissima guerra commerciale all’interno dell’Unione) di quelle alle quali abbiamo assistito con preoccupazione: più ancora perché, come hanno confermato i successivi sviluppi – dal vertice di dicembre a Nizza fino ad oggi –, l’azione dell’Unione resta l’unico strumento valido per cercare e trovare una soluzione del problema.
Per tanti altri prodotti alimentari – sono centinaia – è andata e va anche meglio. Per questi prodotti l’Europa le sue garanzie per la sicurezza, la genuinità e il gusto del cibo le ha già rese operanti. In qualche caso ha fatto e fa di più. Ha aiutato e aiuta i consumatori a fare le scelte migliori per difendere la loro salute e il loro diritto al piacere della tavola.
E’ quanto avviene ad esempio per i prodotti biologici, quelli, lo ricordiamo, ottenuti da terreni coltivati senza l’uso di erbicidi, pesticidi e altre sostanze chimiche. Sono, si può dire, nati ieri, cioè da pochi anni, ma sono in rapido, galoppante sviluppo.
Nell’Unione Europea la superficie delle aree su cui viene praticata l’agricoltura biologica è triplicata dal ‘93 a oggi, ha raggiunto i 2,2 milioni di ettari. Le vendite di prodotti biologici aumentano del 40 per cento all’anno. Coinvolgono, è vero, ancora una minoranza dei consumatori (circa il 3 per cento del totale), ma siamo di fronte ai segni inequivocabili di un favore di pubblico in sicura e forte crescita.
E’ un successo. Ma un successo che non ci sarebbe stato senza gli interventi europei. Un terreno agricolo può essere utilizzato per la coltura biologica solo dopo un lungo periodo di preparazione – circa due anni – indispensabile per purificarlo da microbi e da sostanze chimiche precedentemente impiegate. Durante questo periodo la coltivazione si ferma, gli agricoltori restano senza reddito. E’ una prospettiva poco allegra e indurrebbe i più a non impegnarsi nell’agricoltura biologica se mancasse il soccorso europeo: tra l’altro, un contributo fino a 900 euro (poco meno di 1 milione e 800 mila lire) per ogni ettaro. Questi incentivi rendono sopportabili per il coltivatore i due anni di attesa senza reddito; e tanto più perché i momentanei disagi e ristrettezze sono confortati dalla certezza degli ottimi profitti che nel prossimo futuro si otterranno con i prezzi elevati che, grazie alla qualità, sarà possibile pretendere per i prodotti biologici, alimenti di cui l’Unione Europea con un’etichetta in varie lingue attesta le doti (assenza di sostanze pericolose per la salute e ottimo sapore), incoraggiando l’interesse dei consumatori.
Non è quindi una forzatura dire che gran parte del boom dell’agricoltura biologica è firmato Europa. Come d’altra parte è firmato Europa il rilancio di quelli che da tempo sono i pezzi più pregiati della produzione alimentare dell’Unione. Tre marchi (quelli di Denominazione d’Origine Protetta, di Indicazione Geografica Protetta, di Specialità Tradizionale Garantita) sono i certificati di autenticità e di qualità assegnati ai più illustri nomi dell’aristocrazia alimentare europea: come il parmigiano-reggiano italiano, il Roquefort francese, la birra Guinness irlandese e tanti altri prodotti: in tutto, ormai, 500!
Non è poco, anzi è molto: anche perché è la premessa di importanti sviluppi. Le confezioni di carne con l’indicazione dei luoghi dell’allevamento e della macellazione apparse da qualche mese nei supermercati europei anticipano (e al momento giusto, dato che avviene mentre torna la paura della “mucca pazza”) una sorta di “carta d’identità” che, nel giro di qualche anno – presumibilmente entro il 2003 –, accompagnerà tutti i prodotti alimentari venduti nell’Unione Europea e indicherà luoghi, tempi e modi della produzione sia agricola che industriale, quantità e tipo di sostanze impiegate e ogni altra notizia che, con precisione, faccia capire al consumatore che cosa compra e si accinge a mangiare. Nell’ambito del programma europeo di ricerca e sviluppo (si chiama R&D e dispone di un bilancio di 14,96 miliardi di euro, pari a poco meno di 30 mila miliardi di lire) sono finanziati studi ed esperimenti per dare un nome e un cognome ai prodotti che possono essere causa o concausa di gravi malattie (come il cancro e una serie di allergie) o, al contrario, possono essere utili per combatterle. In un prossimo futuro il consumatore sarà informato dei danni e dei vantaggi che la sua salute può avere dagli alimenti attualmente sotto esame. Avverrà con nuove etichette europee. Già oggi altre etichette europee avvertono i cittadini della presenza in alcuni prodotti di organismi geneticamente modificati, i cosiddetti OGM, che sono ormai d’uso comune negli Stati Uniti e sono invece ancora considerati con diffidenza da molti europei.

Questo, in sintesi, dando attenzione solo ai fatti principali, è il dossier su quanto l’Europa utile fa per rendere sicuro e gradevole il nostro cibo. Sempre limitandoci ai dati essenziali, vediamo ora quanto questi e altri risultati sono costati e costano in soldi e in lavoro.
Soltanto per i prodotti a base di carni l’Unione ha elaborato e reso operativi undici “regolamenti” (cioè strumenti legislativi) dopo anni di ricerche e studi. La PAC (Politica Agricola Comune), principale voce di spesa dei bilanci comunitari (nel 2000 ha assorbito il 44% delle uscite, pari alla bellezza di 41 miliardi di euro, cioè circa 80 mila miliardi di lire), è sempre più impegnata non solo a tutelare gli interessi dei coltivatori ma anche i diritti e le esigenze dei consumatori: come confermano le iniziative destinate a stimolare la diffusione dell’agricoltura biologica. Per garantire ai consumatori alimenti sani e gradevoli sono al lavoro migliaia tra esperti, funzionari e dipendenti delle istituzioni europee: ad esempio, i 100 ispettori dell’UAV, l’Ufficio Alimentare e Veterinario che ha sede a Dublino, è balzato agli onori delle cronache nel corso delle ultime ricadute del caso della “mucca pazza” ma è intervenuto, tra il disinteresse dei mass media, in cento e mille altre occasioni; o anche i 131 scienziati di fama internazionale che in nove comitati cercano e spesso trovano le formule che, si può dire, ispirano e guidano la politica alimentare dell’Unione Europea; oppure l’ancora più numeroso gruppo di esperti che, nelle direzioni generali delle istituzioni europee (soprattutto la Commissione) e, quando è utile, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale per il Com-mercio, il Codex Alimentarius dell’Onu e altri organismi internazionali, trasformano in direttive, leggi, trattati le soluzioni suggerite dagli studiosi dei problemi dell’alimentazione.
In conclusione: un grande, enorme lavoro che impegna tanti uomini, costa tanti soldi ma è compensato da un risultato che tutti i giorni mettiamo sulle nostre tavole, mangiando e apprezzando cibi di cui sempre meglio e sempre di più l’Europa utile ci garantisce la sicurezza e il sapore.

   
   
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