Esiste una strada per ridurre
il peso dello Stato nel Mezzogiorno:
è necessario ridurlo per lintera
economia nazionale.
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Lo sviluppo si raggiunge promuovendo e rafforzando il mercato,
in quanto è il mercato, e non lo Stato, che crea lavoro.
E questa la frontiera dellinizio secolo, dalla quale
ci separa ancora la concezione di un Mezzogiorno come affare di
Stato, cioè di un problema meridionale da affrontare con
sussidi, con agenzie di sviluppo, con quei lavori socialmente
utili che il presidente della regione Puglia ha giustamente
definito (e i fatti hanno dimostrato che effettivamente sono) «una
bomba ad orologeria».
Eppure, esisteva, almeno in nuce, una sponda molto diversa, unidea
non nuova, ma finalmente ritenuta efficace, per inquadrare la questione
degli squilibri territoriali italiani in un contesto di interventi
culturali diversi dal passato e con tre elementi di
novità: la persistente ampiezza del problema stesso; il fatto
che esso sia prevalentemente riconducibile alleccessiva presenza
dello Stato nelleconomia locale e allinefficienza di
quella presenza; la diffusa esistenza di una cappa di incertezza,
e non soltanto di rischi aggiuntivi rispetto al resto del Paese,
tra le origini della mancata ripresa degli investimenti nelle aree
meridionali.
Il Mezzogiorno è notoriamente la più grande tra le
aree a lenta crescita, ma non è uno Stato sovrano, come ad
esempio la Grecia e il Portogallo. Pertanto, deve utilizzare strumenti
ordinari di sostegno regionale, non deve ricevere sussidi addizionali
rispetto ai livelli ritenuti compatibili con un regime di competizione.
Esiste una strada per ridurre il peso dello Stato nel Mezzogiorno:
è necessario ridurlo per lintera economia nazionale.
La drastica cura dimagrante del settore pubblico aprirebbe la strada
alla soluzione del terzo elemento innovativo dello scenario: lesistenza,
appunto, di una cappa di incertezza che rappresenta una remora alle
decisioni di investimento molto più tenace dei rischi ambientali,
le cosiddette diseconomie esterne. Per correggere gli effetti delle
quali, ma senza rimuoverne lesistenza, sono state erogate
svariate tipologie di incentivi finanziari alle imprese. Erogazioni
che hanno finito con lannebbiare la percezione imprenditoriale
del costo finanziario del capitale e la capacità di promuovere
investimenti efficaci ed efficienti. In tal modo, un eccesso di
capitale fisso per addetto è stato installato nelleconomia
meridionale, mentre simultaneamente aumentava il numero dei disoccupati.
Ruota intorno a questa lacerante distorsione la scarsa presenza
sui mercati esteri delle imprese meridionali. Anche perché
vivere di contributi allinvestimento è assai più
comodo che dover vivere della capacità di espandere i propri
ricavi. Ma quando il triangolo tra Stato, imprenditori e sindacati
occupa lintera scena, e lo Stato si impegna a compensare i
rischi esistenti con donazioni finanziarie a titolo gratuito, (o
peggio ancora, clientelare), il sistema economico finisce per perdere
slancio e vitalità. Ed è naturale, dunque, che le
residue energie attive vengano distorte dallincertezza generata
dal conflitto tra rami e parti dellamministrazione dello Stato,
nonché da una cultura che premia linterpretazione delle
procedure piuttosto che la rendicontazione dei risultati.
La combinazione di questi effetti ha sterilizzato anche la realizzazione
dei patti territoriali, mentre lassenza del metro calmieratore
del costo finanziario del capitale ha azzerato ogni significato
economico. La verità è che, nelle regioni meridionali,
bisognerà prendere le distanze da quella che Mario Monti
ha definito «la via finanziaria» allo sviluppo, per
tornare ad enfatizzare il valore del debito nel sostegno della crescita.
Anche la via finanziaria poggiava sul debito: il debito
dello Stato per finanziare le erogazioni che azzeravano la percezione
del costo del capitale nel ceto imprenditoriale e intrigavano, eccitavano
la volontà di potenza del ceto politico. Il debito sul quale
si potrà fondare una nuova fase di crescita è quello
delle imprese verso le banche: un tipo di debito che impone allimprenditore
la disciplina di un uso rigoroso delle risorse, e che intriga ed
eccita la sua capacità di organizzare la produzione.
Questa tipologia di debito è una frusta per la crescita
ben più efficace della concertazione tra le parti sociali.
Ma il debito, che è laltra faccia del credito, si espanse
insieme con la diffusione della fiducia. E la fiducia richiede coesione
sociale, condivisione delle regole civili, allargamento degli scambi
potenziali.
Questo processo virtuoso genera la riduzione dellincertezza
e contribuisce a determinare le condizioni che hanno permesso nel
Veneto, nelle Marche, negli Abruzzi, anche nella Puglia, di trovare
la strada di una relazione costruttiva tra banche e imprese.
Unespansione di queste relazioni può dar luogo a politiche
del lavoro più incisive, i cui risultati porteranno sicuramente
allespansione di comportamenti di mercato tra tutti gli attori
economici.
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