Marzo 2001

TESTIMONIANZE ARCHITETTONICHE A GALATINA

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La chiesa dei “Battenti”
Adriano Margiotta
 
 

 

 

 

I confratelli
dovevano fare
opere di penitenza
in particolari
periodi dell’anno, flagellandosi anche a sangue.

 

Possiamo assumere quella del 1579 non come data di fondazione della chiesa di S. Maria della Misericordia, bensì come inizio di quella evoluzione architettonica che ha portato a migliori lustri questo edificio. Difficile sicuramente la datazione del primo impianto, tuttavia documenti e tutto il contesto in cui questo è inserito ci fanno ipotizzare una piccola chiesa medievale di patronato di alcune famiglie, probabilmente facenti parte di quella “corporazione” dei pellettieri che in Galatina, da sempre, ha espresso una delle maggiori attività.
Nel 1500, Galatina, centro economicamente e socialmente dinamico, attirò una serie di maestranze che a lungo andare fecero di essa la periferia artistica di città come Nardò e, in seguito, Lecce.
Il portale della chiesa galatinese dei “Battenti” ne è un esempio insigne. Costruito a partire dal 1579, come recita l’epigrafe dell’architrave, Frater qui adiUvatur a fratRe, quasi civitas firma et iudicia quasi vectes confraternitatum 1579, è attribuito al neretino Giovanni Maria Tarantino, la personalità più interessante dell’architettura salentina tra gli ultimi decenni del Cinquecento e i primi del Seicento; sarebbe tuttavia più giusto dire alla “scuola” del Tarantino. Un confronto del portale di questa chiesa con quello del Duomo di Minervino, autografo lavoro del Tarantino del 1573, basta a convincerci in merito a questa proposta attributiva. Possiamo dire quindi che la chiesa dei Battenti appartiene a quel filone architettonico definito “maniera neretina”, che fino alla prima metà del Seicento testimonierà la vivacità e l’autonomia della provincia rispetto alle elaborazioni formali moderne provenienti da Lecce.
L’intera chiesa, viceversa, si presenta di difficile datazione, almeno per quanto riguarda il primo impianto. Le prime notizie certe della chiesa si hanno intorno al 1538 (Visita Pastorale). Nello stesso periodo in Galatina erano presenti tre confraternite: l’Annunziata, S. Giovanni e i Battenti. La Visita Pastorale in Terra d’Otranto del 1522 non ci è d’aiuto, in quanto sono andati persi i primi 64 fogli.

Il XVI secolo. Nel 1538-‘40 viene effettuata una seconda Visita da Antonio De Beccariis, vicario generale dell’arcivescovo Pietrantonio De Capua. Nella Visita si parla della confraternita, che aveva diritto di patronato. Il cappellano era don Vincenzo Papa Joanne.
La chiesa è ben disposta, sopra vi sono il coro, due porte con campanelli e due campane in alto; adiacente alla chiesa, un orto di sua proprietà con diversi alberi.
La chiesa ha altri beni: un «pallio sferico scuro moresco», un calice d’argento con relativa patera. Per quanto riguarda gli interni, si parla di un unico altare dedicato a S. Maria dell’Idria. Viene menzionato il cappellano don Battista Morea, che era tenuto a celebrare la messa una volta la settimana.
Ha inoltre dei possedimenti nelle vicinanze di Galatina, in località “la Fossa”, e altri oliveti di cui la Santa Visita fa una completa descrizione. Si parla di un orto olivato in località S. Antonio, per il quale l’affittatore pagava ducati uno alla chiesa.
Ulteriori notizie sulla presenza in Galatina della chiesa e della confraternita ci vengono date nel 1565: «Adì 15 di settembre 1565 morse la signora Errinna Scandarbech Castrista, principessa de Bisognano, in Morano, e de notte fu portata in Cassano, et seppellita. E andò per visitarla la confraternita delli Battenti, con cappellano don Giammaria Caio, arcidiacono nostro, il quale cantò la messa, quando fu seppellita allo convento delli scappuccini di Cassano». Notizie che confermano l’ipotesi dei Castriota come protettori della chiesa nel ‘500.
Successivamente viene menzionata la presenza della confraternita in Galatina nel 1566: «Lo Generale dell’ordine de San Francesco intrò in Sampietro a 29 d’aprile lundì, a 5 ore de giorno del 1566 e li uscero avanti li preiti, li dui conventi de monaci, de San Francesco e San Dominico, le tre confratarie de S. Giovanni, l’Annontiata e li Battenti, e da dui cento archibusceri». Di seguito troviamo scritto: «Adì 24 febbraro 1581 partetti, io, Petrantonio, per Roma, con la confraterna delli Battenti, et ritornai adì 21 di aprile».

Visita pastorale del 1607. Di notevole importanza, la Visita Pastorale del 1607 contiene una descrizione molto dettagliata della chiesa e dei suoi possedimenti: «Questa è la chiesa dei battenti nella quale vi è una confraternita che ha il diritto di patronato (ius patronatus) sulla chiesa. Vi è in essa un cappellano don Vincenzo India, che ha un onere di celebrazioni (messe) nei singoli giorni festivi. Ha un reddito di dodici ducati. La stessa chiesa è senza tetto ed è stata costruita con elemosine. Lo stesso cappellano ha giurato di celebrare le messe richieste nella chiesa. All’interno della chiesa vi è l’altare di S. Leonardo su cui esercita il diritto di patronato laicale la famiglia del defunto Leonardo Paula. Ed è il cappellano stesso Vincenzo India, che ha presentato la bolla con i suddetti benefici rilasciata dall’allora Vicario generale di Otranto don Pietro Tommaso, e ad avere l’onere di celebrare sull’altare ogni settimana. Ha come reddito per il solo altare di S. Leonardo sei ducati [...]».
Nella Visita del 1834 risulta che la chiesa, in occasione del Giubileo del 1633, fu riparata e dotata di nuove suppellettili, il tutto grazie alle elemosine dei pellegrini raccolte dalla Confraternita dei Domenicani ai quali era stata affidata; inoltre si parla della necessità di alcune riparazioni.
Le successive Visite ci dicono poco, tuttavia altre notizie relative all’edificio le troviamo per quanto riguarda i benefici che nei secoli ad essa vennero concessi.
Descrizione architettonica. Le figure e gli elementi floreali nelle facciate dell’architettura del Tarantino vengono fuori mettendo in evidenza forti giochi di luce, come avviene per il portale della chiesa dei Battenti; la trabeazione viene fuori fortemente e vede al suo centro, in un vortice di foglie, la figura di Giona il profeta, che insieme agli angeli e alle figure dei capitelli è uno degli elementi che più esprimono la forza scultorea del Tarantino. Su di esso due belle epigrafi che recitano:

“IANUA CONSTRUCTA EST CHRISTICOLARUM SUFFRAGIIS PRIORATUM FRANCISCO IMBINO ET IOACHINO PAPADIA POMPEIO STASI OECONOMI CATERISQ. PIIS CONFRATIBUS”,

mentre sotto, parafrasato, il proverbio di Salomone, già ricordato:

“FRATER QUI ADIUVATUR A FRATRE QUASI CIVITAS FIRMA ET IUDICIA QUASI VECTES CONFRATERNITATUM 1579”.

In alto, sull’architrave, racchiusa in un semicerchio con tre angioletti incorniciati, la raffigurazione in altorilievo della “Vergine della Misericordia”, che apre il suo manto, sorretto da due puttini, ad accogliere i confratelli inginocchiati. La Madonna, che si stacca quasi completamente dallo sfondo, originariamente policromo, è rappresentata più grande dei fratelli inginocchiati, retaggio della tradizione ornamentale classica.

Documenti sulla chiesa e sulla confraternita


Da questi documenti, emerge che nell’arco dei secoli la chiesa è passata sotto diversi patronati: Fam. Lillo alla fine del Cinquecento, Fam. Congedo, Passante, Bonusio nel Seicento. I benefici, accordati dalla Curia di Otranto, confermano l’importanza della chiesa e della relativa confraternita, ma sono di notevole interesse anche perché nel caso, ad esempio, del beneficio del 1576-1778, la chiesa viene menzionata sotto il nome di Abbazia di S. Mauro (scomparsa abbazia presente in Galatina).
Nel documento relativo al beneficio del 1637-1780, si parla della cappella di S. Martino, poi divenuta chiesa di S. Maria della Misericordia, ad indicarci forse quella che era la prima cappella medievale.
Vista l’importanza dei documenti ritrovati li riporto qui di seguito:

Archivio della Curia Arcivescovile di Otranto
Fondo Parrocchie - I parte inventario,
Dott. Pantaleo Palma 17 nov. 1999.

Busta 75 Fasc. 26/74 1576-1778
Beneficio della SS. Trinità, poi S. Maria della Misericordia, o delli battenti, istituito nell’omonima cappella sita nell’abitato, di patronato della famiglia Lillo e poi arciconfraternita di S. Maria della Misericordia e Abbazia di S. Mauro. Presentazione del rettore da parte dei compadroni e relativa investitura da parte della Curia Arcivescovile. (Pag. 147).
Busta 75 Fasc. 26/86 1637-1780
Beneficio di S.Martino, istituito nell’omonima Cappella sita nell’abitato, poi diruta nella chiesa della beatissima Vergine della Misericordia, o delli Battenti, di patronato delle famiglie: Passante, Congedo, Bonusio. Presentazione del rettore da parte dei compadroni e relativa investitura concessa da parte della Curia Arcivescovile. (Pag 148-149).
Busta 74 Fasc. 26/97 1691-1913
Adempimento da parte della confraternita della SS. Trinità, o arciconfraternita di SS. Maria Vergine della Misericordia, alias dei fratelli Battenti, istituita nell’omonima cappella fin dal 1567, dei legati per la celebrazione delle messe, amministrazione dei beni e relativi assensi concessi dalla sacra Congregazione dei vescovi e regolari per la variazione del patrimonio posseduto. (Pag. 150).

L’immagine della Madonna è replicata nell’edicola esistente presso la cripta di S. Anna, vicino alla masseria omonima fuori dall’abitato, dove c’erano fino al secolo scorso i resti di un notevole edificio con «tre absidi in forma semicircolare [...] con freschi d’immagini cristiane».
A destra e a sinistra della Madonna, un tempo, due angeli a tutto tondo, di cui quello di destra, unico rimasto, in atteggiamento di preghiera, sostiene un cartiglio con l’iscrizione, forse incompleta, “NOS QUO OSTE / DEI PAPAM”. Tutto risulta di efficace solennità, nonché di pregevolissima forza scultorea, e nonostante quello galatinese risulti un cantiere minore, viene ugualmente fuori quello che fa del Tarantino una figura inedita nel panorama rinascimentale salentino.
Ritornando alla facciata, ai lati del portale, due piccole nicchie, che un tempo accoglievano molto probabilmente due dipinti; difficile risulta per questo un’eventuale interpretazione del loro periodo storico.
In alto, in asse con il portale e con il finestrone centrale, uno stemma (forse uno stemma nobiliare o il simbolo della confraternita) profondamente eroso, quasi illeggibile, che potrebbe essere la chiave di lettura del ruolo che ha assunto la chiesa un tempo.
Le facciate laterali, sia quella su piazza Galluccio che quella sulla stradina, lasciano intravedere il segno di quella che doveva essere l’altezza dell’imposta di un probabile tetto a capanna. Ad avallare maggiormente questa ipotesi, una finestra ogivale che per metà si intravede dal terrazzino della sagrestia, proprio all’altezza del solaio di questa.
All’interno, la zona absidale è frutto di rimaneggiamenti seicenteschi che hanno portato allo sfondamento della parete terminale dell’edificio e alla creazione di un semi-esagono che accoglie la macchina dell’altare principale.
Il tema, nello spazio absidale, sembra unico, la rappresentazione di momenti della vita della Vergine: “Lo sposalizio”, “La presentazione di Maria”, “La presentazione di Gesù”, “L’assunzione al cielo”, “L’Annunciazione”, “L’Immacolata”.
Guardando l’abside, ai suoi lati si collocano due altari, che, disposti ad angolo, sembrano quasi suggerire all’osservatore la centralità dell’abside.
Quello di sinistra è dedicato alla SS. Trinità, è stato officiato dagli affiliati all’omonimo pio sodalizio laicale, donato dai “CONFRATES D.AEM.AE MISER.UN IVBILEUM 1633”, ed è stato restaurato sotto il priorato Didaco Tanza. La tela che rappresenta la Trinità ricorda per la sua impostazione la Trinità del Masaccio, ma a differenza di questa vive una spazialità diversa, più aperta.
Sul lato destro vi è l’altare dedicato al SS. Crocefisso. La tela raffigura la crocifissione in una semplice scelta compositiva, ma allo stesso tempo ottiene un efficace effetto prospettico. La croce vuota al centro con ai suoi lati la figura della Madonna, a destra, e di S. Giovanni, a sinistra, entrambe in piedi, ci porta ad osservare in alto dove vi è la luce, con una serie di angeli a concludere la scena.
Le pareti laterali interne sono riccamente abbellite dalle tele che sono in numero di dieci, cinque per parte, che rappresentano momenti importanti della vita di Gesù e di vita mariana: “La natività”, “I Magi”, “La purificazione di Maria”, “La presentazione di Gesù al tempio”, “La disputa tra i dottori”. Le due tele rettangolari rappresentano nuovamente la Vergine in una delle tante interpretazioni della nostra fede. Le tele ellittiche, alcune di esse illeggibili a causa del degrado, rappresentano personaggi a mezzo busto di difficile interpretazione. Infine, guardando il soffitto, c’è dipinto in un grande ovale la Vergine Assunta in cielo, opera del pittore gallipolino Agesilao Flora, del 1897, accostabile alle opere del Tiepolo.

Ipotesi evolutiva. La chiesa riveste una notevole importanza all’interno del tessuto urbano. Oggi si presenta all’angolo tra via Zimara e piazza Galluccio, mentre sino agli inizi del ‘900 faceva parte di quel percorso stradale di via Zimara che da un lato vedeva appunto la chiesa dei “Battenti” e dall’altro il convento delle clarisse (1605-1620), con annessa la chiesa dedicata all’Annunziata, oggi S. Luigi.
La demolizione di questa parte di tessuto urbano ha alterato l’importanza che in passato rivestiva, in quanto su piazza Galluccio si affaccia solo la semplice pagina muraria del prospetto laterale; imboccando invece la stretta via Zimara, la facciata principale, seguendo il fronte stradale, sembra quasi soffocata per la mancanza di quello spazio che sicuramente il portale cinquecentesco merita.
L’impianto dell’edificio è semplicissimo, una navata unica che ripropone la tipologia più antica dell’edilizia sacra minore. Tutto questo fa riflettere sulle origini di questo cantiere. Benché il portale indichi la data 1579 e le prime notizie certe risalgano intorno al 1538 (Visita Pastorale), si può azzardare un’origine anteriore, tra il XIV e il XV secolo. La chiesa è stata nel ‘500 sotto la tutela dei Castriota, ma nulla ci fa pensare che la prima costruzione fosse opera di questi. L’ipotesi dell’antichissima nascita è suffragata dall’importanza che essa ha rivestito in passato e sino alla sua chiusura nella gerarchia delle chiese e delle confraternite presenti in città.
Interessante risulta il rapporto tra la chiesa e il caseggiato che si affaccia sulla stradina di accesso alla sagrestia, che dovevano far parte di quella che per alcuni anni forse è stata una parrocchiale. L’edificio ha assunto un ruolo diverso nei secoli: molto probabilmente, nato come abitazione di qualche adepto della confraternita, è passato poi in mano alla chiesa e ai confratelli.
L’avvento in Galatina di un grosso cantiere come quello di Santa Caterina, che per magnificenza doveva eclissare, secondo l’intento degli Orsini, la pratica del rito greco sia a Galatina che in provincia, diede il via a quell’opera di rinnovamento che portò la chiesa allo stato attuale. Di conseguenza, si sposta ogni possibile data di origine del primo impianto e i rifacimenti del ‘500 e del ‘600 sono dovuti ad un rinnovamento architettonico che la chiesa affrontava in quegli anni.
Riassumendo, l’impianto originale, ovvero quella che poteva essere la chiesa prima del ‘500, vedeva una semplice facciata con tre o una finestra e un semplice portale d’ingresso, il tetto era a capanna, l’interno era più corto, concluso da un unico altare (dedicato a S. Maria dell’Idria). La sagrestia, forse ancora in costruzione, e il cortile sul retro della chiesa, vista la mancanza dell’abside, erano un tutt’uno con l’orto, mentre nelle vicinanze del caseggiato c’era il pozzo.
Di certo, è rilevante per la sua testimonianza storica il bassorilievo ritrovato nell’edificio alle spalle della chiesa, edificio che nel ‘500 apparteneva alla famiglia De Ligorio. Viene infatti menzionata la famiglia De Ligorio nella “Numerazione dei fuochi” di Galatina del 1597, dove la Galatina cinquecentesca viene divisa in ventiquattro “isole”: «La quinta si chiama l’insola di santa Maria deli Vattenti et incomincia dalla casa di Jacobantonio Urrisio alias Giancone et finisce alla casa dotale deli eredi di Colantonio Logorio, quale si chiama Gabriele Maria De Logorio».
Questo bassorilievo ha poco a che fare con la chiesa, ma di certo avalla l’ipotesi del contesto in cui è inserita; infatti esso è databile tra il XII e il XIV secolo.
A questo punto sorgono dei dubbi su altri possedimenti della confraternita. Alcuni atti notarili dai quali si ha notizia che la chiesa, per far fronte alla necessità di denaro, vende alcune parti di caseggiato, ci confermano che oltre all’orto avesse anche tra i suoi possedimenti parti di caseggiati adiacenti ad essa. La demolizione completa dell’isolato occupante l’intera piazza Galluccio ci priva di notizie importanti sull’articolazione di questo complesso di edifici. Nonostante ciò, ipotizzo che questi fossero di un’edilizia più povera e appartenessero alla famiglia Galluccio, mentre l’edificio che doveva far parte della chiesa comunicava direttamente con l’orto.
E’ per questo che vedo nell’edificio che si affaccia sulla stradina d’accesso alla sagrestia, per linguaggio e per posizione, quello che più poteva assumere il ruolo di abitazione degli adepti, o di parrocchiale. La divisione dei beni della confraternita nei secoli, l’abbattimento di diversi caseggiati e la chiusura di alcuni passaggi importanti, tuttavia, ci obbligano solo ad avanzare delle ipotesi.

La Confraternita dei “Battenti”. La confraternita, nata nel ‘500, è detta anche “della Misericordia”, perché i suoi adepti erano dediti ad opere di carità fra di loro e con gli altri. La denominazione “Battenti” o “Flagellati” è dovuta al fatto che i confratelli avevano un regolamento secondo il quale dovevano fare opere di penitenza in particolari periodi dell’anno, flagellandosi anche a sangue.
I Battenti esistono anche altrove. Nel ‘500 alla confraternita aderivano i pellettieri e le loro famiglie.
Dalla Visita Pastorale del 1834 viene erroneamente riportata la nascita della confraternita nel 1663, in base all’iscrizione sull’altare che parla della confraternita, ma è certa la sua presenza agli inizi del Cinquecento. Del resto, anche l’iscrizione sul portale, datato 1579, parla di essa. La Visita ci informa inoltre del riconoscimento di confraternita, da parte di Ferdinando IV, nel 1777.

La confraternita per la sua antichità ha sempre assunto un ruolo importante nella gerarchia ecclesiale, è per questo che durante le processioni principali, i confratelli, tutti vestiti di rosso, avevano diritto ad un posto speciale al fianco del Santissimo Sacramento. Oggi della confraternita, che in passato ha avuto anche titolo di arciconfraternita, non rimane nulla, eccetto una teca con i nomi dei confratelli e alcuni simboli dei flagellanti.

   
   
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