I confratelli
dovevano fare
opere di penitenza
in particolari
periodi dell’anno, flagellandosi anche a sangue.
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Possiamo assumere quella del 1579 non come data di fondazione della
chiesa di S. Maria della Misericordia, bensì come inizio
di quella evoluzione architettonica che ha portato a migliori lustri
questo edificio. Difficile sicuramente la datazione del primo impianto,
tuttavia documenti e tutto il contesto in cui questo è inserito
ci fanno ipotizzare una piccola chiesa medievale di patronato di
alcune famiglie, probabilmente facenti parte di quella “corporazione”
dei pellettieri che in Galatina, da sempre, ha espresso una delle
maggiori attività.
Nel 1500, Galatina, centro economicamente e socialmente dinamico,
attirò una serie di maestranze che a lungo andare fecero
di essa la periferia artistica di città come Nardò
e, in seguito, Lecce.
Il portale della chiesa galatinese dei “Battenti” ne è
un esempio insigne. Costruito a partire dal 1579, come recita l’epigrafe
dell’architrave, Frater qui adiUvatur a fratRe, quasi civitas
firma et iudicia quasi vectes confraternitatum 1579, è attribuito
al neretino Giovanni Maria Tarantino, la personalità più
interessante dell’architettura salentina tra gli ultimi decenni
del Cinquecento e i primi del Seicento; sarebbe tuttavia più
giusto dire alla “scuola” del Tarantino. Un confronto
del portale di questa chiesa con quello del Duomo di Minervino,
autografo lavoro del Tarantino del 1573, basta a convincerci in
merito a questa proposta attributiva. Possiamo dire quindi che la
chiesa dei Battenti appartiene a quel filone architettonico definito
“maniera neretina”, che fino alla prima metà del
Seicento testimonierà la vivacità e l’autonomia
della provincia rispetto alle elaborazioni formali moderne provenienti
da Lecce.
L’intera chiesa, viceversa, si presenta di difficile datazione,
almeno per quanto riguarda il primo impianto. Le prime notizie certe
della chiesa si hanno intorno al 1538 (Visita Pastorale). Nello
stesso periodo in Galatina erano presenti tre confraternite: l’Annunziata,
S. Giovanni e i Battenti. La Visita Pastorale in Terra d’Otranto
del 1522 non ci è d’aiuto, in quanto sono andati persi
i primi 64 fogli.
Il XVI secolo. Nel 1538-‘40 viene effettuata una seconda Visita
da Antonio De Beccariis, vicario generale dell’arcivescovo
Pietrantonio De Capua. Nella Visita si parla della confraternita,
che aveva diritto di patronato. Il cappellano era don Vincenzo Papa
Joanne.
La chiesa è ben disposta, sopra vi sono il coro, due porte
con campanelli e due campane in alto; adiacente alla chiesa, un
orto di sua proprietà con diversi alberi.
La chiesa ha altri beni: un «pallio sferico scuro moresco»,
un calice d’argento con relativa patera. Per quanto riguarda
gli interni, si parla di un unico altare dedicato a S. Maria dell’Idria.
Viene menzionato il cappellano don Battista Morea, che era tenuto
a celebrare la messa una volta la settimana.
Ha inoltre dei possedimenti nelle vicinanze di Galatina, in località
“la Fossa”, e altri oliveti di cui la Santa Visita fa
una completa descrizione. Si parla di un orto olivato in località
S. Antonio, per il quale l’affittatore pagava ducati uno alla
chiesa.
Ulteriori notizie sulla presenza in Galatina della chiesa e della
confraternita ci vengono date nel 1565: «Adì 15 di
settembre 1565 morse la signora Errinna Scandarbech Castrista, principessa
de Bisognano, in Morano, e de notte fu portata in Cassano, et seppellita.
E andò per visitarla la confraternita delli Battenti, con
cappellano don Giammaria Caio, arcidiacono nostro, il quale cantò
la messa, quando fu seppellita allo convento delli scappuccini di
Cassano». Notizie che confermano l’ipotesi dei Castriota
come protettori della chiesa nel ‘500.
Successivamente viene menzionata la presenza della confraternita
in Galatina nel 1566: «Lo Generale dell’ordine de San
Francesco intrò in Sampietro a 29 d’aprile lundì,
a 5 ore de giorno del 1566 e li uscero avanti li preiti, li dui
conventi de monaci, de San Francesco e San Dominico, le tre confratarie
de S. Giovanni, l’Annontiata e li Battenti, e da dui cento
archibusceri». Di seguito troviamo scritto: «Adì
24 febbraro 1581 partetti, io, Petrantonio, per Roma, con la confraterna
delli Battenti, et ritornai adì 21 di aprile».
Visita pastorale del 1607. Di notevole importanza, la Visita Pastorale
del 1607 contiene una descrizione molto dettagliata della chiesa
e dei suoi possedimenti: «Questa è la chiesa dei battenti
nella quale vi è una confraternita che ha il diritto di patronato
(ius patronatus) sulla chiesa. Vi è in essa un cappellano
don Vincenzo India, che ha un onere di celebrazioni (messe) nei
singoli giorni festivi. Ha un reddito di dodici ducati. La stessa
chiesa è senza tetto ed è stata costruita con elemosine.
Lo stesso cappellano ha giurato di celebrare le messe richieste
nella chiesa. All’interno della chiesa vi è l’altare
di S. Leonardo su cui esercita il diritto di patronato laicale la
famiglia del defunto Leonardo Paula. Ed è il cappellano stesso
Vincenzo India, che ha presentato la bolla con i suddetti benefici
rilasciata dall’allora Vicario generale di Otranto don Pietro
Tommaso, e ad avere l’onere di celebrare sull’altare ogni
settimana. Ha come reddito per il solo altare di S. Leonardo sei
ducati [...]».
Nella Visita del 1834 risulta che la chiesa, in occasione del Giubileo
del 1633, fu riparata e dotata di nuove suppellettili, il tutto
grazie alle elemosine dei pellegrini raccolte dalla Confraternita
dei Domenicani ai quali era stata affidata; inoltre si parla della
necessità di alcune riparazioni.
Le successive Visite ci dicono poco, tuttavia altre notizie relative
all’edificio le troviamo per quanto riguarda i benefici che
nei secoli ad essa vennero concessi.
Descrizione architettonica. Le figure e gli elementi floreali nelle
facciate dell’architettura del Tarantino vengono fuori mettendo
in evidenza forti giochi di luce, come avviene per il portale della
chiesa dei Battenti; la trabeazione viene fuori fortemente e vede
al suo centro, in un vortice di foglie, la figura di Giona il profeta,
che insieme agli angeli e alle figure dei capitelli è uno
degli elementi che più esprimono la forza scultorea del Tarantino.
Su di esso due belle epigrafi che recitano:
“IANUA CONSTRUCTA EST CHRISTICOLARUM SUFFRAGIIS PRIORATUM
FRANCISCO IMBINO ET IOACHINO PAPADIA POMPEIO STASI OECONOMI CATERISQ.
PIIS CONFRATIBUS”,
mentre sotto, parafrasato, il proverbio di Salomone, già
ricordato:
“FRATER QUI ADIUVATUR A FRATRE QUASI CIVITAS FIRMA ET IUDICIA
QUASI VECTES CONFRATERNITATUM 1579”.
In alto, sull’architrave, racchiusa in un semicerchio con
tre angioletti incorniciati, la raffigurazione in altorilievo della
“Vergine della Misericordia”, che apre il suo manto, sorretto
da due puttini, ad accogliere i confratelli inginocchiati. La Madonna,
che si stacca quasi completamente dallo sfondo, originariamente
policromo, è rappresentata più grande dei fratelli
inginocchiati, retaggio della tradizione ornamentale classica.
Documenti sulla chiesa
e sulla confraternita
Da questi documenti, emerge che nell’arco dei secoli
la chiesa è passata sotto diversi patronati: Fam. Lillo
alla fine del Cinquecento, Fam. Congedo, Passante, Bonusio
nel Seicento. I benefici, accordati dalla Curia di Otranto,
confermano l’importanza della chiesa e della relativa
confraternita, ma sono di notevole interesse anche perché
nel caso, ad esempio, del beneficio del 1576-1778, la chiesa
viene menzionata sotto il nome di Abbazia di S. Mauro (scomparsa
abbazia presente in Galatina).
Nel documento relativo al beneficio del 1637-1780, si parla
della cappella di S. Martino, poi divenuta chiesa di S. Maria
della Misericordia, ad indicarci forse quella che era la prima
cappella medievale.
Vista l’importanza dei documenti ritrovati li riporto
qui di seguito:
Archivio della Curia Arcivescovile di Otranto
Fondo Parrocchie - I parte inventario,
Dott. Pantaleo Palma 17 nov. 1999.
Busta 75 Fasc. 26/74 1576-1778
Beneficio della SS. Trinità, poi S. Maria della Misericordia,
o delli battenti, istituito nell’omonima cappella sita
nell’abitato, di patronato della famiglia Lillo e poi
arciconfraternita di S. Maria della Misericordia e Abbazia
di S. Mauro. Presentazione del rettore da parte dei compadroni
e relativa investitura da parte della Curia Arcivescovile.
(Pag. 147).
Busta 75 Fasc. 26/86 1637-1780
Beneficio di S.Martino, istituito nell’omonima Cappella
sita nell’abitato, poi diruta nella chiesa della beatissima
Vergine della Misericordia, o delli Battenti, di patronato
delle famiglie: Passante, Congedo, Bonusio. Presentazione
del rettore da parte dei compadroni e relativa investitura
concessa da parte della Curia Arcivescovile. (Pag 148-149).
Busta 74 Fasc. 26/97 1691-1913
Adempimento da parte della confraternita della SS. Trinità,
o arciconfraternita di SS. Maria Vergine della Misericordia,
alias dei fratelli Battenti, istituita nell’omonima cappella
fin dal 1567, dei legati per la celebrazione delle messe,
amministrazione dei beni e relativi assensi concessi dalla
sacra Congregazione dei vescovi e regolari per la variazione
del patrimonio posseduto. (Pag. 150).
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L’immagine della Madonna è replicata nell’edicola
esistente presso la cripta di S. Anna, vicino alla masseria omonima
fuori dall’abitato, dove c’erano fino al secolo scorso
i resti di un notevole edificio con «tre absidi in forma semicircolare
[...] con freschi d’immagini cristiane».
A destra e a sinistra della Madonna, un tempo, due angeli a tutto
tondo, di cui quello di destra, unico rimasto, in atteggiamento
di preghiera, sostiene un cartiglio con l’iscrizione, forse
incompleta, “NOS QUO OSTE / DEI PAPAM”. Tutto risulta
di efficace solennità, nonché di pregevolissima forza
scultorea, e nonostante quello galatinese risulti un cantiere minore,
viene ugualmente fuori quello che fa del Tarantino una figura inedita
nel panorama rinascimentale salentino.
Ritornando alla facciata, ai lati del portale, due piccole nicchie,
che un tempo accoglievano molto probabilmente due dipinti; difficile
risulta per questo un’eventuale interpretazione del loro periodo
storico.
In alto, in asse con il portale e con il finestrone centrale, uno
stemma (forse uno stemma nobiliare o il simbolo della confraternita)
profondamente eroso, quasi illeggibile, che potrebbe essere la chiave
di lettura del ruolo che ha assunto la chiesa un tempo.
Le facciate laterali, sia quella su piazza Galluccio che quella
sulla stradina, lasciano intravedere il segno di quella che doveva
essere l’altezza dell’imposta di un probabile tetto a
capanna. Ad avallare maggiormente questa ipotesi, una finestra ogivale
che per metà si intravede dal terrazzino della sagrestia,
proprio all’altezza del solaio di questa.
All’interno, la zona absidale è frutto di rimaneggiamenti
seicenteschi che hanno portato allo sfondamento della parete terminale
dell’edificio e alla creazione di un semi-esagono che accoglie
la macchina dell’altare principale.
Il tema, nello spazio absidale, sembra unico, la rappresentazione
di momenti della vita della Vergine: “Lo sposalizio”,
“La presentazione di Maria”, “La presentazione di
Gesù”, “L’assunzione al cielo”, “L’Annunciazione”,
“L’Immacolata”.
Guardando l’abside, ai suoi lati si collocano due altari, che,
disposti ad angolo, sembrano quasi suggerire all’osservatore
la centralità dell’abside.
Quello di sinistra è dedicato alla SS. Trinità, è
stato officiato dagli affiliati all’omonimo pio sodalizio laicale,
donato dai “CONFRATES D.AEM.AE MISER.UN IVBILEUM 1633”,
ed è stato restaurato sotto il priorato Didaco Tanza. La
tela che rappresenta la Trinità ricorda per la sua impostazione
la Trinità del Masaccio, ma a differenza di questa vive una
spazialità diversa, più aperta.
Sul lato destro vi è l’altare dedicato al SS. Crocefisso.
La tela raffigura la crocifissione in una semplice scelta compositiva,
ma allo stesso tempo ottiene un efficace effetto prospettico. La
croce vuota al centro con ai suoi lati la figura della Madonna,
a destra, e di S. Giovanni, a sinistra, entrambe in piedi, ci porta
ad osservare in alto dove vi è la luce, con una serie di
angeli a concludere la scena.
Le pareti laterali interne sono riccamente abbellite dalle tele
che sono in numero di dieci, cinque per parte, che rappresentano
momenti importanti della vita di Gesù e di vita mariana:
“La natività”, “I Magi”, “La purificazione
di Maria”, “La presentazione di Gesù al tempio”,
“La disputa tra i dottori”. Le due tele rettangolari rappresentano
nuovamente la Vergine in una delle tante interpretazioni della nostra
fede. Le tele ellittiche, alcune di esse illeggibili a causa del
degrado, rappresentano personaggi a mezzo busto di difficile interpretazione.
Infine, guardando il soffitto, c’è dipinto in un grande
ovale la Vergine Assunta in cielo, opera del pittore gallipolino
Agesilao Flora, del 1897, accostabile alle opere del Tiepolo.
Ipotesi evolutiva. La chiesa riveste una notevole importanza all’interno
del tessuto urbano. Oggi si presenta all’angolo tra via Zimara
e piazza Galluccio, mentre sino agli inizi del ‘900 faceva
parte di quel percorso stradale di via Zimara che da un lato vedeva
appunto la chiesa dei “Battenti” e dall’altro il
convento delle clarisse (1605-1620), con annessa la chiesa dedicata
all’Annunziata, oggi S. Luigi.
La demolizione di questa parte di tessuto urbano ha alterato l’importanza
che in passato rivestiva, in quanto su piazza Galluccio si affaccia
solo la semplice pagina muraria del prospetto laterale; imboccando
invece la stretta via Zimara, la facciata principale, seguendo il
fronte stradale, sembra quasi soffocata per la mancanza di quello
spazio che sicuramente il portale cinquecentesco merita.
L’impianto dell’edificio è semplicissimo, una navata
unica che ripropone la tipologia più antica dell’edilizia
sacra minore. Tutto questo fa riflettere sulle origini di questo
cantiere. Benché il portale indichi la data 1579 e le prime
notizie certe risalgano intorno al 1538 (Visita Pastorale), si può
azzardare un’origine anteriore, tra il XIV e il XV secolo.
La chiesa è stata nel ‘500 sotto la tutela dei Castriota,
ma nulla ci fa pensare che la prima costruzione fosse opera di questi.
L’ipotesi dell’antichissima nascita è suffragata
dall’importanza che essa ha rivestito in passato e sino alla
sua chiusura nella gerarchia delle chiese e delle confraternite
presenti in città.
Interessante risulta il rapporto tra la chiesa e il caseggiato che
si affaccia sulla stradina di accesso alla sagrestia, che dovevano
far parte di quella che per alcuni anni forse è stata una
parrocchiale. L’edificio ha assunto un ruolo diverso nei secoli:
molto probabilmente, nato come abitazione di qualche adepto della
confraternita, è passato poi in mano alla chiesa e ai confratelli.
L’avvento in Galatina di un grosso cantiere come quello di
Santa Caterina, che per magnificenza doveva eclissare, secondo l’intento
degli Orsini, la pratica del rito greco sia a Galatina che in provincia,
diede il via a quell’opera di rinnovamento che portò
la chiesa allo stato attuale. Di conseguenza, si sposta ogni possibile
data di origine del primo impianto e i rifacimenti del ‘500
e del ‘600 sono dovuti ad un rinnovamento architettonico che
la chiesa affrontava in quegli anni.
Riassumendo, l’impianto originale, ovvero quella che poteva
essere la chiesa prima del ‘500, vedeva una semplice facciata
con tre o una finestra e un semplice portale d’ingresso, il
tetto era a capanna, l’interno era più corto, concluso
da un unico altare (dedicato a S. Maria dell’Idria). La sagrestia,
forse ancora in costruzione, e il cortile sul retro della chiesa,
vista la mancanza dell’abside, erano un tutt’uno con l’orto,
mentre nelle vicinanze del caseggiato c’era il pozzo.
Di certo, è rilevante per la sua testimonianza storica il
bassorilievo ritrovato nell’edificio alle spalle della chiesa,
edificio che nel ‘500 apparteneva alla famiglia De Ligorio.
Viene infatti menzionata la famiglia De Ligorio nella “Numerazione
dei fuochi” di Galatina del 1597, dove la Galatina cinquecentesca
viene divisa in ventiquattro “isole”: «La quinta
si chiama l’insola di santa Maria deli Vattenti et incomincia
dalla casa di Jacobantonio Urrisio alias Giancone et finisce alla
casa dotale deli eredi di Colantonio Logorio, quale si chiama Gabriele
Maria De Logorio».
Questo bassorilievo ha poco a che fare con la chiesa, ma di certo
avalla l’ipotesi del contesto in cui è inserita; infatti
esso è databile tra il XII e il XIV secolo.
A questo punto sorgono dei dubbi su altri possedimenti della confraternita.
Alcuni atti notarili dai quali si ha notizia che la chiesa, per
far fronte alla necessità di denaro, vende alcune parti di
caseggiato, ci confermano che oltre all’orto avesse anche tra
i suoi possedimenti parti di caseggiati adiacenti ad essa. La demolizione
completa dell’isolato occupante l’intera piazza Galluccio
ci priva di notizie importanti sull’articolazione di questo
complesso di edifici. Nonostante ciò, ipotizzo che questi
fossero di un’edilizia più povera e appartenessero alla
famiglia Galluccio, mentre l’edificio che doveva far parte
della chiesa comunicava direttamente con l’orto.
E’ per questo che vedo nell’edificio che si affaccia sulla
stradina d’accesso alla sagrestia, per linguaggio e per posizione,
quello che più poteva assumere il ruolo di abitazione degli
adepti, o di parrocchiale. La divisione dei beni della confraternita
nei secoli, l’abbattimento di diversi caseggiati e la chiusura
di alcuni passaggi importanti, tuttavia, ci obbligano solo ad avanzare
delle ipotesi.
La Confraternita dei “Battenti”. La confraternita, nata
nel ‘500, è detta anche “della Misericordia”,
perché i suoi adepti erano dediti ad opere di carità
fra di loro e con gli altri. La denominazione “Battenti”
o “Flagellati” è dovuta al fatto che i confratelli
avevano un regolamento secondo il quale dovevano fare opere di penitenza
in particolari periodi dell’anno, flagellandosi anche a sangue.
I Battenti esistono anche altrove. Nel ‘500 alla confraternita
aderivano i pellettieri e le loro famiglie.
Dalla Visita Pastorale del 1834 viene erroneamente riportata la
nascita della confraternita nel 1663, in base all’iscrizione
sull’altare che parla della confraternita, ma è certa
la sua presenza agli inizi del Cinquecento. Del resto, anche l’iscrizione
sul portale, datato 1579, parla di essa. La Visita ci informa inoltre
del riconoscimento di confraternita, da parte di Ferdinando IV,
nel 1777.
La confraternita per la sua antichità ha sempre assunto
un ruolo importante nella gerarchia ecclesiale, è per questo
che durante le processioni principali, i confratelli, tutti vestiti
di rosso, avevano diritto ad un posto speciale al fianco del Santissimo
Sacramento. Oggi della confraternita, che in passato ha avuto anche
titolo di arciconfraternita, non rimane nulla, eccetto una teca
con i nomi dei confratelli e alcuni simboli dei flagellanti.
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