Se il computer non è ancora diventato
la nostra tv
e il nostro cinema, può essere oramai la nostra radio.
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E’ ormai evidente che il consumo del suono sarà, nell’immediato
futuro, uno dei settori di maggiori sviluppi della Rete. Le abitudini
di ascolto cambieranno, decretando la probabile condanna a morte
del disco. La profezia vede d’accordo i tecnici, forti delle
ultime conquiste, e gli economisti, esaltati dalle impennate dei
profitti delle società che per prime hanno compreso questa
tendenza. Un entusiasmo non condiviso dagli artisti, che vedono
minacciata la tutela del diritto d’autore. Come spesso si è
verificato nella storia della musica (basta pensare alla messa a
punto del pianoforte moderno), una novità tecnologica innesca
conseguenze economiche, etiche ed estetiche.
Dopo gli ipertesti e le immagini, anche la musica è stata
compressa al punto giusto per farla transitare in Rete, per essere
scaricata, ricodificata su un diverso supporto, ascoltata. La sigla
della svolta è MP3, derivazione del Motion Picture Expert
Group, un gruppo di lavoro affiliato all’Internatio-nal Standard
of Organisation (ISO) che dall’inizio degli anni ‘90 lavora
sulla frontiera tuttora da valicare: la trasmissione, con standard
di qualità accettabili, delle immagini in movimento, accompagnate
dal loro sound. Se il computer non è ancora diventato la
nostra tv e il nostro cinema, può essere oramai la nostra
radio.
MP3, grazie a un algoritmo di compressione (encoder), riduce ai
dati essenziali l’informazione sonora da digitalizzare. Quando
si passa all’ascolto, un algoritmo di ricostruzione (decoder)
ridefinisce la complessità del segnale. Il lavoro di ricerca
ha tenuto conto di parametri psicoacustici: di un brano, vengono
analizzati gli aspetti rilevanti per la percezione, come l’escursione
dinamica e le bande di frequenza con maggiore energia, e vengono
cancellate le informazioni di peso minore, che tuttavia per un compositore
minori non sono per nulla.
I dubbi sulla qualità dell’ascolto non sono condivisi
da tutti. C’è infatti chi sostiene che le soglie di
frequenza entro cui la musica viene compressa vanno da 16.000 a
50 hertz, di fatto tutto ciò che un orecchio umano può
udire. Eliminando la ridondanza numerica dell’onda sonora –
si precisa – ma senza usare codifiche esasperate, non si abbatte
certamente la qualità. I sostenitori di questa posizione
ribadiscono il proprio pensiero, ricordando gli ulteriori progressi
consentiti da “Real Audio”, recentissimo sistema che permette
di ascoltare la musica già durante lo scaricamento da Internet.
Operazione ormai possibile con modesti tempi di attesa e, soprattutto,
senza occupare troppa memoria: in un solo Gigabyte si possono stipare
trenta ore di ascolto, che è come dire una decina di opere
liriche, circa sessanta sinfonie, seimila canzoni. Pochi secondi
sono sufficienti per catturare una canzone dalla Rete. Lo sviluppo
delle linee di telefonia iperveloce consentirà altre riduzioni
di tempi.
Replicano gli esteti: «Gli ingegneri si sturino le orecchie.
I meccanismi di compressione funzionano per musiche con dinamica
e intensità costante, come il rock e il pop, facili da equalizzare».
Ed è vero: le battute iniziali della Prima Sinfonia di Mahler,
tutte in pianissimo e prescritte dall’autore «come un
suono della natura», scaricate dalla Rete risultano semplicemente
inascoltabili.
Ma anche i suoni artificiali dell’elettronica, le sue improvvise,
aspre escursioni dinamiche e timbriche, i sibili, i soffi, hanno
anime musicali troppo sensibili per venire compresse senza perdere
di identità e di seduzione.
Il meccanismo di consumo è apparentemente semplice: dalla
“library” di un “provider” Internet scelgo il
brano preferito e, attraverso un sistema di chiavi digitali che
tutelano il distributore, pago il servizio secondo le tariffe e
le modalità convenute. La Siae ha messo a punto un “Protocollo
MP3” per difendere anche in questo settore la creatività
e il guadagno degli autori. I siti controllati sono però
una percentuale minima rispetto ai tanti pirati del suono digitale.
Il provider diventa così juke-box, radio, negozio di dischi,
senza altri limiti che quelli del mio desiderio. A costi infinitamente
più ridotti e con la possibilità (disc-jockey di me
stesso) di cancellare oggi quello che ho scelto ieri per sostituirlo,
domani, con altri ascolti.
Oltre alla crisi di idee, l’industria discografica dovrà
presto affrontare anche quella dell’inutilità del suo
stesso supporto, diventato non il contenitore inconfondibile di
un’unica opera, ma il quaderno di appunti dell’estro,
della fantasia del consumatore. Meno minacciate appaiono invece
le esecuzioni dal vivo: non soltanto per la diversa qualità
della resa acustica, ma anche per i valori rituali e collettivi
che ancora distinguono un concerto, a qualsiasi genere e tipo di
musica appartenga.
Tutta qui l’interattività consentita, prigioniera di
“encoder” e “decoder”? La e-music si esaurirà
nel già noto triangolo clicco- ascolto-consumo sempre più
velocemente?
“Musica infinita” è stato battezzato il progetto,
ancora in embrione, di un altro gruppo, il Crm: «Immettere
in Rete i primi anelli di una catena creativa, decifrarne le procedure
per poter poi intervenire sui flussi logico-sintattici». L’eternità
sempre mutante e globale non di un singolo compositore, ma dell’atto
stesso del comporre. Un collettivo sogno d’artista che neanche
Faust ha osato!
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