Marzo 2001

ALTA O BASSA FEDELTÀ?

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Tempi di e-music
Sergio Bello
 
 

 

 

 

Se il computer non è ancora diventato la nostra tv
e il nostro cinema, può essere oramai la nostra radio.

 

E’ ormai evidente che il consumo del suono sarà, nell’immediato futuro, uno dei settori di maggiori sviluppi della Rete. Le abitudini di ascolto cambieranno, decretando la probabile condanna a morte del disco. La profezia vede d’accordo i tecnici, forti delle ultime conquiste, e gli economisti, esaltati dalle impennate dei profitti delle società che per prime hanno compreso questa tendenza. Un entusiasmo non condiviso dagli artisti, che vedono minacciata la tutela del diritto d’autore. Come spesso si è verificato nella storia della musica (basta pensare alla messa a punto del pianoforte moderno), una novità tecnologica innesca conseguenze economiche, etiche ed estetiche.

Dopo gli ipertesti e le immagini, anche la musica è stata compressa al punto giusto per farla transitare in Rete, per essere scaricata, ricodificata su un diverso supporto, ascoltata. La sigla della svolta è MP3, derivazione del Motion Picture Expert Group, un gruppo di lavoro affiliato all’Internatio-nal Standard of Organisation (ISO) che dall’inizio degli anni ‘90 lavora sulla frontiera tuttora da valicare: la trasmissione, con standard di qualità accettabili, delle immagini in movimento, accompagnate dal loro sound. Se il computer non è ancora diventato la nostra tv e il nostro cinema, può essere oramai la nostra radio.
MP3, grazie a un algoritmo di compressione (encoder), riduce ai dati essenziali l’informazione sonora da digitalizzare. Quando si passa all’ascolto, un algoritmo di ricostruzione (decoder) ridefinisce la complessità del segnale. Il lavoro di ricerca ha tenuto conto di parametri psicoacustici: di un brano, vengono analizzati gli aspetti rilevanti per la percezione, come l’escursione dinamica e le bande di frequenza con maggiore energia, e vengono cancellate le informazioni di peso minore, che tuttavia per un compositore minori non sono per nulla.

I dubbi sulla qualità dell’ascolto non sono condivisi da tutti. C’è infatti chi sostiene che le soglie di frequenza entro cui la musica viene compressa vanno da 16.000 a 50 hertz, di fatto tutto ciò che un orecchio umano può udire. Eliminando la ridondanza numerica dell’onda sonora – si precisa – ma senza usare codifiche esasperate, non si abbatte certamente la qualità. I sostenitori di questa posizione ribadiscono il proprio pensiero, ricordando gli ulteriori progressi consentiti da “Real Audio”, recentissimo sistema che permette di ascoltare la musica già durante lo scaricamento da Internet. Operazione ormai possibile con modesti tempi di attesa e, soprattutto, senza occupare troppa memoria: in un solo Gigabyte si possono stipare trenta ore di ascolto, che è come dire una decina di opere liriche, circa sessanta sinfonie, seimila canzoni. Pochi secondi sono sufficienti per catturare una canzone dalla Rete. Lo sviluppo delle linee di telefonia iperveloce consentirà altre riduzioni di tempi.
Replicano gli esteti: «Gli ingegneri si sturino le orecchie. I meccanismi di compressione funzionano per musiche con dinamica e intensità costante, come il rock e il pop, facili da equalizzare». Ed è vero: le battute iniziali della Prima Sinfonia di Mahler, tutte in pianissimo e prescritte dall’autore «come un suono della natura», scaricate dalla Rete risultano semplicemente inascoltabili.
Ma anche i suoni artificiali dell’elettronica, le sue improvvise, aspre escursioni dinamiche e timbriche, i sibili, i soffi, hanno anime musicali troppo sensibili per venire compresse senza perdere di identità e di seduzione.
Il meccanismo di consumo è apparentemente semplice: dalla “library” di un “provider” Internet scelgo il brano preferito e, attraverso un sistema di chiavi digitali che tutelano il distributore, pago il servizio secondo le tariffe e le modalità convenute. La Siae ha messo a punto un “Protocollo MP3” per difendere anche in questo settore la creatività e il guadagno degli autori. I siti controllati sono però una percentuale minima rispetto ai tanti pirati del suono digitale.

Il provider diventa così juke-box, radio, negozio di dischi, senza altri limiti che quelli del mio desiderio. A costi infinitamente più ridotti e con la possibilità (disc-jockey di me stesso) di cancellare oggi quello che ho scelto ieri per sostituirlo, domani, con altri ascolti.
Oltre alla crisi di idee, l’industria discografica dovrà presto affrontare anche quella dell’inutilità del suo stesso supporto, diventato non il contenitore inconfondibile di un’unica opera, ma il quaderno di appunti dell’estro, della fantasia del consumatore. Meno minacciate appaiono invece le esecuzioni dal vivo: non soltanto per la diversa qualità della resa acustica, ma anche per i valori rituali e collettivi che ancora distinguono un concerto, a qualsiasi genere e tipo di musica appartenga.
Tutta qui l’interattività consentita, prigioniera di “encoder” e “decoder”? La e-music si esaurirà nel già noto triangolo clicco- ascolto-consumo sempre più velocemente?
“Musica infinita” è stato battezzato il progetto, ancora in embrione, di un altro gruppo, il Crm: «Immettere in Rete i primi anelli di una catena creativa, decifrarne le procedure per poter poi intervenire sui flussi logico-sintattici». L’eternità sempre mutante e globale non di un singolo compositore, ma dell’atto stesso del comporre. Un collettivo sogno d’artista che neanche Faust ha osato!

   
   
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