L’Islam è di fronte
a un dilemma
analogo: gli sforzi intrapresi
per riunire religione e politica dividono
i musulmani,
come hanno diviso
i cristiani.
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Dieci anni fa, Samuel Huntington diceva che alla fine della Guerra
Fredda le linee di frattura del mondo erano essenzialmente culturali
e che ne sarebbe derivato uno “scontro tra le civiltà”.
E suddivise queste ultime in cinque o sei grandi zone che talvolta
possono coesistere, ma non incontrarsi, perché non hanno
valori comuni.
Due conseguenze derivano da questo punto di vista: da una parte,
gli attacchi terroristici dell’11 settembre e la risposta americana
sarebbero l’espressione di un conflitto tra l’Islam e
l’Occidente; dall’altra, i diritti dell’uomo ai quali
attribuiamo in Occidente un carattere universale non sarebbero che
l’espressione della cultura europea, inapplicabili a quelli
che non la condividono.
Penso che Huntington si sbagli su entrambi. L’universalità
è possibile perché il motore essenziale della storia
umana e dell’evoluzione del mondo non è il pluralismo
culturale, ma la ricerca del progresso e della modernizzazione che
s’incarna nella democrazia liberale e nell’economia di
mercato. Il conflitto attuale non è uno scontro tra civiltà
intese come aree culturali di pari importanza. E’ piuttosto
una lotta combattuta da chi si sente minacciato dalla modernizzazione
e quindi dalla sua componente morale, che è sintetizzabile
nel rispetto dei diritti dell’uomo.
Praticamente, tutti i diritti esistenti o acquisiti nel corso della
Storia poggiano su una delle tre autorità incarnate da Dio,
dall’uomo o dalla natura. Dall’inizio del secolo dei Lumi,
Dio o la religione come fonte dei diritti sono respinti dall’Occidente:
il carattere laico della concezione occidentale dei diritti è
all’origine della tradizione liberale.
Oggi questa sembra essere la principale linea di frattura tra l’Islam
e l’Occidente: molti musulmani respingono l’idea di uno
Stato laico. Ma prima di aderire all’idea di uno scontro inevitabile
tra civiltà, dovremmo cercare di capire perché il
liberalismo laico moderno si è sviluppato prima di tutto
in Occidente. Non a caso le idee liberali si sono diffuse nel XVI
e XVII secolo, mentre lotte sanguinose dividevano i cristiani in
tutta Europa, dimostrando l’impossibilità di governare
basandosi su un consenso religioso.
Hobbes, Locke e Montesquieu hanno reagito di fronte ad atrocità
come la Guerra dei Trent’Anni dicendo che, per assicurare la
pace civile, dovevano essere separate religione e politica.
L’Islam è di fronte a un dilemma analogo. Gli sforzi
intrapresi per riunire religione e politica dividono i musulmani,
come hanno diviso i cristiani. I nostri uomini politici hanno ragione
affermando che il conflitto afghano non è contro l’Islam,
religione estremamente eterogenea, che non riconosce nessuna autorità
stabilita per interpretare il Corano. Intolleranza e integralismo
sono soltanto una possibilità, perché l’Islam
si è sempre confrontato con la laicità e la necessità
di tollerare le altre religioni. Lo si vede nel fermento riformista
di uno Stato teocratico come l’Iran.
La seconda fonte dei diritti – il punto di vista positivista,
secondo il quale un diritto riconosciuto istituzionalmente è
effettivamente applicabile – non garantisce un’evoluzione
liberale, perché porta al relativismo culturale. Se, come
Huntington sottintende, i diritti che noi esaltiamo in Occidente
sono nati esclusivamente dalla crisi politica della cristianità
in Europa, come impedire che altre società facciano riferimento
alle proprie tradizioni per negare tali diritti? Un argomento, questo,
caro al governo cinese.
L’ultima fonte dei diritti è la natura. Il tema dei
diritti naturali condiziona sempre il nostro discorso morale. Quando
diciamo per esempio che la razza, l’etnia, la ricchezza o il
sesso non sono caratteristiche essenziali, ciò implica una
nozione d’appartenenza umana in nome della quale ognuno di
noi ha diritto alla stessa protezione rispetto ad abusi che potrebbero
commettere Stati o gruppi.
Ma se i diritti umani sono universali, dobbiamo esigere la loro
applicazione in ogni luogo e in ogni momento? Aristotele dice che
le leggi naturali esistono effettivamente, ma che la loro applicazione
richiede flessibilità e prudenza. Questo punto di vista rimane
valido. Occorre saper distinguere il concetto teorico dell’universalità
dei diritti dell’uomo e la loro applicazione, perché
la loro percezione è diversa a seconda delle culture.
In molte società tradizionali, nelle quali le scelte di vita
e le opportunità sono limitate, il punto di vista occidentale
e individualista dei diritti è molto sconcertante, perché
la concezione occidentale è legata al processo generale di
modernizzazione. Non riconoscerlo, vuol dire mettere il carro innanzi
ai buoi. Il nostro impegno in favore dell’universalità
dei diritti dell’uomo si inscrive nel contesto complesso di
una civiltà a carattere universale che comporta altri elementi
che non possono essere dissociati: la giustizia economica e la democrazia
politica.
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