Settembre 2002

SE L’EUROPA HA PAURA

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Il “fenomeno conservatore”
MIKHAIL GORBACIOV  
 
 

Si impone una riflessione complessiva se si vuole evitare che l’Europa precipiti nel gorgo dello sciovinismo che può travolgere le istituzioni democratiche in molti Paesi continentali.

  Oggi abbiamo a che fare con effetti distinti, ma congiunti, legati ai processi della globalizzazione in atto e alla stessa crisi della globalizzazione. La situazione economica internazionale rimane critica, e non soltanto nei Paesi in via di sviluppo. Una grande incertezza colpisce strati sempre più vasti della popolazione lavoratrice in tutta l’Europa. I ceti medi – che erano stati in qualche misura beneficiati dal grande sviluppo di questi ultimi due decenni, a differenza delle classi lavoratrici di media e di bassa qualificazione, che invece hanno pagato con alti tassi di disoccupazione – sono ora anch’essi investiti dalle angosce prodotte dall’insicurezza, dalla precarietà, dalla perdita (in atto o temuta) delle posizioni conquistate negli anni precedenti.

Dal laburismo europeo la popolazione si aspettava e si aspetta programmi che garantiscano la salvaguardia di queste conquiste e la certezza del futuro. Ma i governi laburisti europei non hanno trovato una risposta, sposando semplicemente il modello neo-liberista americano. Una scelta che ora stanno pagando, in quanto questo modello viene respinto dalle vaste masse popolari del nostro continente. Il laburismo europeo sembra non aver correttamente valutato le grandi differenze sociali, istituzionali e culturali che caratterizzano l’Europa rispetto agli Stati Uniti d’America. E, di conseguenza, hanno sottovalutato le grandi difficoltà che avrebbero incontrato nel trapiantare le ricette neo-liberiste in Europa.

Ovviamente, si pone la domanda: è possibile combinare il neo-liberismo o, come viene altrimenti definito, il fondamentalismo di mercato, con un impegno reale a risolvere gravi problemi sociali e democratici? E se è possibile, in quale misura?

La risposta, per ora, non c’è. Ma va ricercata. Gli eccessi del fondamentalismo di mercato vanno limitati, perfino suoi sostenitori, come George Soros, oggi lo riconoscono come una necessità. Le radici di quanto accade risiedono qui, insieme con l’assenza di molte soluzioni per molti problemi concreti, dalla criminalità all’immigrazione.

Ad esigere una correzione non è soltanto la politica, ma innanzitutto la dottrina, l’approccio generale verso la società moderna, la società dell’epoca globale con i suoi problemi. Il ruolo dello Stato, le sue funzioni nel mondo globalizzato, le sue responsabilità di fronte alla società civile, nazionale e mondiale, sono soltanto alcuni di questi problemi. E ancora: quale deve essere il ruolo della società civile nel mondo del cambiamento? Esiste la necessità impellente di sviluppare una concezione della democrazia in condizioni di globalizzazione.

Un secondo elemento che favorisce la svolta conservatrice è rappresentato dalla paura. Di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale, nemico comune di tutto il mondo civilizzato, una considerevole parte della popolazione si fa tentare dalle ricette della conservazione, dalla proposta di una guerra per “estirpare” il terrorismo. Questo problema non può essere risolto senza aiutare il Terzo Mondo, senza vincere la povertà, fenomeno che ha raggiunto proporzioni minacciose.

Un terzo elemento che agisce spingendo prepotentemente verso il conservatorismo gli elettori europei è rappresentato dai fenomeni migratori. Lo “scontro di civiltà” che avviene sotto gli occhi di milioni di cittadini europei è alimentato anche dall’arrivo nei loro Paesi di migliaia e migliaia di immigranti, nella stragrande maggioranza musulmani. Alcuni Paesi europei hanno maggiori tradizioni e sono meglio preparati ad accogliere altre culture e altri modi di vita, in cambio di forza lavoro a costo minore, disponibile a funzioni che nessuno in Europa vuole svolgere più. Altri sono meno preparati. Ne conseguono reazioni xenofobe, la paura del contatto ravvicinato con altre usanze e religioni, anche il razzismo. Come si è visto, anche la Francia, da oltre un secolo abituata a convivere con l’immigrazione algerina, soffre degli stessi mali, al cospetto dei quali soccombono i ragionamenti di tolleranza, solidarietà e giustizia.

   

In questa situazione, le ragioni del laburismo non riescono a soddisfare enormi masse di persone. Il cittadino (che è anche elettore) semplice e impaurito vuole soluzioni radicali e nette. Si impone dunque una riflessione complessiva e multilaterale, se si vuole evitare che l’Europa precipiti nel gorgo dello sciovinismo, che può travolgere le istituzioni democratiche in molti Paesi continentali.

La risposta alla domanda: “Che fare?” non è affatto semplice. Bisogna partire da ciò che ci unisce, dai valori della solidarietà e della giustizia. Il fatto stesso che il movimento no global (ma sarebbe meglio chiamarlo “new global”) non abbia quasi nulla in comune con i laburismi istituzionali europei dice molto del distacco che si è creato, e delle divisioni interne allo stesso laburismo. Il conservatorismo vince perché pone i problemi in forma più chiara e diretta. Vince perché è più compatto.

E’ ormai chiaro che la globalizzazione americana non è la risposta ai problemi del mondo e alle esigenze di sicurezza delle grandi masse europee. E’ necessario rifiutare la guerra come strumento per spegnere la contrapposizione tra ricchi e poveri. Un altro problema chiave sarà la capacità della società di difendere la natura. Larghi settori di opinione pubblica sosterranno coloro i quali avranno una politica di sviluppo sostenibile, di tutela dell’ambiente, e voteranno per le forze che proporranno progetti alternativi alla politica attuale. Il secondo forum di Porto Alegre ha dimostrato che milioni di giovani possono e vogliono battersi “per un altro mondo possibile”. Oggi questi milioni di giovani non hanno rappresentanza politica. Non è colpa loro. Se il laburismo europeo vuole tornare a vincere, deve sapergliela dare.

   
   
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