Allora,
chi ha ragione?
A giudizio delle
ultime statistiche economiche, sembra che la ragione
sia dalla parte
della Fed.
|
|
Leredità della Bundesbank colpisce ancora! La Banca
centrale europea continua a lanciare segnali di allarme sui pericoli
di inflazione e questo significa che è pronta in qualsiasi
momento a rialzare i tassi di interesse. Nel frattempo, le economie
mondiali rivelano di essere più fragili di quanto si pensasse.
I mercati hanno ragione a spaventarsi, se il presidente Bce annuncia
che linflazione potrebbe non scendere sotto il tetto del 2
per cento. E il costo del denaro si impenna, di conseguenza: proprio
il contrario di quello che ci si aspetterebbe quando leconomia
comincia a vacillare. Qualcuno sta sbagliando? Di sicuro, la Bce.
La situazione attuale dimostra benissimo la differenza tra la Banca
centrale europea e la Federal Reserve americana. Ed è prova
sia dellinadeguatezza della strategia europea, sia del fatto
che Eurolandia tende a crearsi problemi non necessari.
Mette anche in luce per quali ragioni, per tanti anni, i mercati
globali abbiano ripetutamente male interpretato la Bce e il suo
diretto predecessore, la Bundesbank. La Bce continua a concentrarsi
sui rischi di elevata liquidità nelleconomia delleuro
e in quella globale, provocata dalla convergenza dei tassi nel mondo
industriale a livelli talmente bassi da essere quasi privi di precedenti.
La Fed, al contrario, considera una crescita del 10 per cento della
massa monetaria nelleconomia americana come qualcosa dirrilevante,
senza implicazioni inflazionistiche significative, e si concentra
sulla fragilità della domanda, sulla possibilità e
disponibilità a consumare e investire da parte delle famiglie
e delle imprese. La Bce ha fiducia nel fatto che la ripresa economica
stia accelerando. E preoccupata dai rischi dinflazione
per le richieste salariali. La Fed, al contrario, non è sicura
che il risveglio economico attuale sia sostenibile. Teme un balzo
indietro, verso una crescita zero, o addirittura negativa, nonostante
la scoppiettante crescita del Prodotto interno lordo americano aumentato
del 5,8 per cento nei primi tre mesi di questanno.
Allora, chi ha ragione? A giudizio delle ultime statistiche economiche,
compresi i dati sulloccupazione e sullattività
nel settore dei servizi, sembra che la ragione sia dalla parte della
Fed. Una cosa difficile da capire è perché mai la
Bce al suo interno ammetta (come daltra parte hanno fatto
i sei principali istituti tedeschi di ricerca economica nelle loro
previsioni di primavera) che una quantità di moneta abbondante
nelleconomia porta sempre a un rimbalzo dellattività,
ma poi in pubblico i suoi funzionari danno scarsa importanza a questo
meccanismo. Chi guida la Bce evidentemente non vuole subire pressioni
e richieste di stimolo alleconomia.
In effetti, ogni volta che cè stata una rapida espansione
della moneta nei decenni passati, lattività industriale
ha fatto un balzo in avanti, facendo sì che la Bce alzasse
poi i tassi a breve per bloccare linflazione. Questa correlazione
normale del ciclo è stata molto netta in Eurolandia e anche
più costante negli Stati Uniti. Dunque, il discorso è
stato valido, almeno finora.
Il periodo attuale è infatti il primo, da quando si è
iniziato negli Stati Uniti nel 1960 a raccogliere statistiche, in
cui leconomia non risponde a unespansione della moneta.
Ci sono molte similitudini col Giappone, dopo che era scoppiata
la bolla dei mercati azionari della fine degli anni Ottanta. Si
tratta di una delle principali preoccupazioni dei mercati. La Fed
ritiene quindi che la ricetta migliore per i tassi di interesse
sia di lasciare le cose come stanno. La Bce invece, obbedendo alla
lettera alla strategia del predecessore teutonico, non sta prendendo
in considerazione la fragilità della domanda mondiale. E
potrebbe cominciare presto ad alzare il costo del denaro.
E uno scenario che abbiamo già visto con la Bundesbank.
Ma questa volta a soffrire potrebbe essere non soltanto la Germania,
ma i Dodici membri delleuro, insieme con un numero indefinito
di economie ad essi legate.
La locomotiva dEuropa deraglia e finisce per bloccare tutti
gli altri vagoni. E la sensazione che si prova a guardare
il non felice periodo della Germania, cominciato con le difficoltà
a onorare i limiti di deficit del Patto di stabilità, e continuato
con la serie di rovesci finanziari che ha colpito le sue aziende.
La bancarotta di Holzmann (costruzioni) e di Kirch (televisione)
sono solo i gioielli di una lista che, secondo le previsioni,
raggiungerà la bella cifra di 40 mila fallimenti entro il
2002, con una crescita di oltre il 25 per cento sullanno precedente.
Le difficoltà economiche dellultimo anno hanno evidenziato
tutte le rigidità di un modello che non è stato mai
liberale, ma che finora aveva funzionato grazie allalto livello
di coesione sociale. Il capitalismo renano è fatto di interconnessioni:
le imprese operano in mercati protetti sia per esplicita regolamentazione
sia per limplicita identificazione che il sistema crea.
Il credito bancario, molto più del mercato, è il vero
finanziatore delle imprese, spesso anche azioniste. Le banche sono
in mano pubblica, o comunque fortemente regolamentate. La politica,
attraverso lintervento in economia, gode di un alto consenso
e mantiene la pace sociale attraverso un alto livello di protezione
per i lavoratori.
Ma di fronte allultima crisi congiunturale il meccanismo si
è inceppato: solo lo 0,6 per cento di crescita del Pil nel
2001; i già sottolineati problemi di deficit; quattro milioni
e mezzo di disoccupati; la necessità di porre mano alle riforme,
contro sindacati sul piede di guerra. A tutto questo va aggiunto
il gran numero di insolvenze che si ripercuote direttamente sullo
stato patrimoniale delle banche, che peraltro come dimostra
il caso Kirch sono costrette a prestar soldi seguendo le
indicazioni dei politici piuttosto che i criteri industriali e finanziari.
Se la ripresa si affaccia nel resto dEuropa, in Germania tarda.
Daltra parte, sarebbe difficile sperare nel contrario, con
un sistema così poco flessibile, che richiede una stagione
di grandi cambiamenti. Una prospettiva tuttaltro che rassicurante,
visto che i problemi di Berlino si ripercuotono direttamente nelle
nostre tasche, come ha fatto notare leconomista-capo della
Bce, Otmar Issing, quando ha affermato che «le debolezze delleuro
hanno consistenti radici in Germania». Passati i tempi in
cui i tedeschi insegnavano il rigore ai partner, forse è
ora il caso che accettino qualche lezione dallEuropa.
|