Ma, più di tutto,
ha influito
il crepuscolo
degli ideali,
di tutti gli ideali, compreso quello
europeistico.
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E pronto, per i nostri lettori, un altro elenco di iniziative
che lEuropa utile, amica dei suoi 376 milioni di cittadini,
ha recentemente messo in atto o sta preparando. Riguarda, tra laltro,
un progetto per lo sviluppo delle biotecnologie, listituzione
di un passaporto della salute, limponente insieme dei programmi
per la cultura.
Tra poco, rapidamente, pur senza trascurare i dati essenziali, vedremo
insieme questo elenco. E non mancheremo come facciamo ogni
volta che su questa Rivista ci occupiamo dellEuropa utile
di esprimere la nostra approvazione e di sollecitare la vostra.
E giusto e doveroso di fronte a una serie di atti che stanno
modificando e in meglio la nostra vita. Comè
però anche giusto e doveroso non chiudere né occhi
né bocca di fronte a un aspetto, questo purtroppo in buona
parte negativo, dellattività europea: quello politico.
Già, cari lettori, proprio così. Mentre lEuropa
utile procede di buona andatura, a volte corre, lEuropa politica
ha il fiatone, trascina le gambe, ogni tanto si ferma, perde fiducia
e convinzione. Detto con una sentenza fatta di tre parole: è
in crisi. In una brutta crisi, aggiungiamo, guardando i fatti. Talmente
brutta che potrebbe, nel giro di qualche anno, far sbiadire prima
e poi cancellare lesaltante prospettiva degli Stati Uniti
dEuropa proposta da Carlo Cattaneo nel 1848, rilanciata nel
1941 da Altiero Spinelli e dagli altri due autori del Manifesto
di Ventotene (Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi), reclamata
con impazienza nel 1945 dai giovani federalisti francesi e tedeschi
(tra loro cera il futuro cancelliere Helmut Kohl), dichiarata
non solo possibile ma indispensabile e urgente dai cosiddetti padri
fondatori del processo dintegrazione europea, cioè
Monnet, Schuman, Adenauer, Spaak, De Gasperi, Martino.
Qualcuno tra voi si chiederà e ci chiederà se non
cè un eccesso di allarmismo nella nostra analisi. Nei
suoi cinquantadue anni di storia (cominciata il 9 maggio del 1950,
con lappello dellallora ministro degli Esteri della
Francia, Schuman, allallora cancelliere della Germania, Adenauer,
per la messa in comune delle risorse di carbone e acciaio dei due
Paesi), lintegrazione europea ha ottenuto risultati che, nellinsieme,
costituiscono una rivoluzione epocale senza precedenti. Su un territorio
dove, per secoli e millenni, i popoli si sono confrontati con guerre
di sterminio, ora, da oltre cinquantanni, cè
una pace lunga e sicura. Accordi di collaborazione economica, commerciale,
culturale, hanno dato vita a una comunità che, nata con sei
Paesi (nel 57, con la firma dei trattati di Roma), oggi ne
comprende 15 e si prepara ad accoglierne, nel giro di pochissimi
anni, altri 12, forse 13 (con la Turchia), forse, successivamente,
altri ancora (di recente, come si ricorderà, il presidente
del Consiglio ha ipotizzato che perfino la Russia possa essere accolta
nellUnione).
Dodici degli Stati membri dellEuropa integrata hanno, da questanno,
una moneta comune, leuro. Altri ladotteranno in seguito.
Listituzione del Mercato Unico, nel 93, ha abolito le
frontiere doganali, ha stabilito la libertà di lavorare,
risiedere, studiare in un qualsiasi Paese dellUnione. Gli
accordi di Schengen hanno eliminato o ridotto (secondo i casi e
secondo i Paesi) i controlli dei passaporti o di altri documenti
didentità al passaggio tra una frontiera e laltra.
Tutto questo e il molto altro qui non menzionato per ragioni
di spazio è forse poco? Certamente no, è tanto,
tantissimo. Ma in questo tantissimo manca la realizzazione del sogno
che molti anni fa indusse molti (noi compresi) a sposare e sostenere
con grandi entusiasmi la causa europea; il sogno della nascita di
una federazione di Stati che allinterno e allesterno
dellEuropa esprima una politica comune e che, usando tale
politica, lavori per risolvere i suoi problemi e quelli del mondo.
Appunto gli Stati Uniti dEuropa chiesti da Cattaneo, da Spinelli-Colorni-Rossi,
dai padri fondatori, anche da tutti noi che ci sentiamo
europeisti.
«Costruire una società democratica europea non significa
costruire un superstato europeo, significa costruire una società
in cui si diventa europei attraverso lesercizio dei diritti
e dei doveri della cittadinanza europea. Quello che proponiamo non
è uno Stato con un governo europeo. Proponiamo ununione
di popoli e di Paesi che sia in grado di proteggere meglio i cittadini
e sia in grado di garantire i loro interessi in settori nei quali
nessun Paese dispone di un potere sufficiente»: ecco, nelle
parole riportate tra virgolette, la conferma della crisi del sogno
federalista. Sono parole di Romano Prodi, presidente della Commissione
europea. Sono state pronunciate il 22 maggio, in unoccasione
in cui il sogno federalista, se avesse ancora forza, sarebbe stato
come minimo menzionato.
Le dichiarazioni di Prodi infatti illustravano il Progetto per lUnione
europea, documento con cui la Commissione intende dare un contributo
di osservazioni e proposte alla Convenzione europea, lAssemblea
al lavoro dal 28 febbraio per delineare il futuro dellUnione.
Bene, anzi male: in quelle parole lipotesi federalista non
cera. Come non cera nel Progetto della Commissione.
E neppure, almeno finora, a quanto risulta, nel dibattito che si
sta sviluppando in seno alla Convenzione tra i rappresentanti dei
governi, dei parlamenti nazionali e delle istituzioni europee.
In queste e altre sedi, oggi e già da qualche tempo, il tema
è addirittura ignorato mentre si fanno sempre più
frequenti le levate di scudi contro i cosiddetti superpoteri di
Bruxelles la Commissione e il Consiglio dei Ministri
e le rivendicazioni del diritto dei vari Stati a mantenere intatta
la loro sovranità.
Nessun dubbio, dunque: alcuni, anzi molti, si stanno impegnando
per rimettere e rinchiudere in un cassetto il sogno degli Stati
Uniti dEuropa.
E la crisi che Altiero Spinelli, il più appassionato,
assieme al francese Jean Monnet, tra i crociati delleuropeismo,
aveva già temuto una ventina danni fa, quando aveva
denunciato il rischio che lintegrazione avesse, come traguardo
finale, «lEuropa dei mercanti», unEuropa
efficace, autorevole sul piano economico, attenta e attiva nella
tutela dellinteresse degli Stati, delle imprese e anche dei
cittadini e tuttavia politicamente debole e disinteressata.
Il rischio si sta ora avverando, peraltro dopo essere stato annunciato
già da diversi anni. Fin dai suoi primi vagiti (nel 1954,
con il no de llAssemblea nazionale francese al progetto della
CED, la Comunità Europea di Difesa) lEuropa integrata
ha rifiutato di darsi un esercito comune.
In tempi più recenti, nel 1993, con lentrata in vigore
del trattato di Maastricht (che istituisce lUnione europea),
si è inventata la PESC, la politica estera e di sicurezza
comune, senza riuscire però a farla passare dalle parole
ai fatti, salvo che per la nomina del responsabile del nuovo organismo
(lo spagnolo Solana). Nei Balcani prima e nel Medio Oriente poi
la PESC è stata solo una vetrina di diversità europee
in materia di politica estera.
Tutto questo era ed è più che abbastanza per far passare
di moda i discorsi, i più prudenti compresi, su un futuro
federalista per lEuropa. Perché è avvenuto?
Tante sono le possibili risposte. Hanno pesato gli egoismi e le
vanità, sia nazionali, sia dei partiti, sia dei singoli leader.
Hanno pesato anche i cambiamenti politici che si sono verificati
negli ultimi decenni nella gran parte dei Paesi europei. La crescita
della famiglia comunitaria dai 6 Paesi del 58 ai 15
di oggi ha messo a confronto realtà ed esigenze lontanissime
le une dalle altre, talvolta contrastanti. Ma più di tutto,
almeno a nostro parere, ha influito il crepuscolo degli ideali,
di tutti gli ideali, compreso quello europeistico. Per molti, anche
tra coloro che per anni lo hanno coltivato con passione, il sogno
degli Stati Uniti dEuropa è diventato vecchio, non
più attuale.
Diversa è stata ed è la sorte dellEuropa dei
mercanti paventata da Spinelli, lEuropa che ha prodotto la
moneta comune, il Mercato Unico, anche le tante iniziative a favore
dei suoi cittadini. QuestEuropa ha messo e continua a mettere
al suo attivo molti e importanti successi. E il caso di rammaricarsene?
Non sarebbe giusto.
I successi di questEuropa un po bottegaia o utile,
come noi preferiamo chiamarla sono anche nostri successi.
Hanno migliorato la nostra vita, miglioreranno quella dei nostri
figli. Lo conferma lelenco di recenti iniziative di cui, allinizio,
abbiamo dato i titoli. LUnione si prepara a spendere in alcuni
anni la rispettabilissima cifra di 2.150 miliardi di euro per lo
sviluppo della biotecnologia e delle scienze biologiche. In questo
settore sono impegnate, nellUnione, 1.570 imprese. Già
ora la biotecnologia fornisce ai cittadini europei un buon numero
di farmaci di sicura efficacia e a prezzi contenuti. Rende più
sani e gustosi molti alimenti. Riduce i danni ambientali provocati
dai fertilizzanti. In prospettiva, offre nuove possibilità
dintervento nella lotta alla fame, alla denutrizione, alla
povertà.
I molti miliardi di euro che lUnione comincerà a spendere
presto, a partire dal 2003, per la biotecnologia, costituiscono
un investimento per accrescere e migliorare il benessere e la qualità
della nostra vita. Come lo sono, per altri versi, le iniziative
europee per la cultura. Il programma Cultura 2000, le
centinaia di manifestazioni per lanno europeo delle lingue
(il 2001), le centinaia e centinaia di spettacoli, mostre, dibattiti
che si svolgono nelle più importanti città darte
europee, la promozione del cinema e della televisione prodotti nellUnione,
il restauro di vecchi film, la collaborazione tra musei e università
dei 15 Paesi: tutto questo e molto ancora avviene con la collaborazione
e il sostegno dellEuropa comunitaria, ottenendo, tra laltro,
di ridurre i rischi di disoccupazione per i 7 milioni di uomini
e donne che, nellUnione, sono impegnati in attività
culturali.
Non è positivo e importante? E non lo è il passaporto
della salute che tra qualche anno, entro il 2005, assicurerà
a tutti noi piena assistenza medica, ospedaliera e farmaceutica
in ogni Paese dellUnione europea? Certamente lo è.
E lo sono i tanti altri benefici che lEuropa utile offre ai
suoi cittadini: come, da qualche tempo, documentiamo sulla nostra
Rivista.
QuestEuropa, lEuropa utile, pur dando spazio ai mercanti,
merita dunque non rimproveri ma consensi, talvolta perfino applausi.
Per senso di giustizia e di obiettività è dobbligo
riconoscerlo, pur senza negare, nemmeno nascondere la sofferenza
per il destino cui sembra andare incontro lEuropa dei sogni
giovanili di tanti di noi, quella politica, oggi apparentemente
declassata da sogno ad utopia: speriamo non definitivamente.
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