Il Patto è uno
dei migliori alleati
del ministro
dellEconomia;
il giorno in cui non ci fosse più, la sua vita diventerebbe
più difficile.
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Il Patto di Stabilità non è morto e non va cambiato.
Come italiano, vengo dallesperienza di una Costituzione che
conteneva una regola ferrea, voluta da Luigi Einaudi: nessuna spesa
poteva essere approvata senza copertura. Ho vissuto in prima persona
il disfacimento di questa disciplina negli anni Settanta e Ottanta,
quando si è arrivati al punto che la stessa Corte costituzionale
sostenne che non violava la norma indicare come forma di copertura
il ricorso al debito. Questo, per dire che perfino una regola ottima
come quella di Einaudi si è disgregata e poi si è
ritornati alla disciplina soltanto negli anni Novanta. Che le regole
di bilancio stiano strette, e che ci sia inclinazione a ribellarsi,
è naturale. Io non prendo questi segni di fastidio come una
debolezza del Patto, ma come sintomo dellinevitabile attrito
tra la regola e il desiderio di avere mano libera.
Il Patto non è una norma di trattato. Dunque, alla domanda
se si può cambiare, ove i Paesi membri decidano di farlo,
la risposta è sì: è tecnicamente possibile.
Se questo avverrà oppure no, dipenderà dalla valutazione
complessiva dei costi e dei benefici che verrà fatta. I benefici
dello spendere di più sono allettanti nel breve periodo.
Però possono essere molto più alti i costi di uno
squilibrio delleconomia e della perdita di reputazione sui
mercati.
Allora: in quasi ogni Paese il ministro dellEconomia deve
dire di no ai ministri della spesa che chiedono più spazio.
Il Patto è uno dei migliori alleati del ministro dellEconomia:
il giorno in cui non ci fosse più, la sua vita diventerebbe
più difficile. Egli deve lamentarsi del Patto, ma non per
questo è detto che convenga romperlo. Mi auguro che il risultato
di queste tensioni non sia la modifica degli impegni presi per il
2003: lItalia ha un debito pubblico che nessuno degli altri
Paesi ha.
Certo, il passaggio dalle promesse elettorali alle azioni di governo
è difficile per il vincitore, sia esso di destra o di sinistra.
Più nuovi governi ci sono in giro, più la tentazione
di sottrarsi alle regole ereditate rischia di essere diffusa. Lavvento
della destra in Europa dovrebbe portare maggiore sensibilità
allequilibrio dei conti. Ma la divisione fra rigore e assistenzialismo,
fra accettazione della disciplina del mercato e inclinazione alle
istanze sociali passa sia allinterno della sinistra sia della
destra. Quello che in realtà pesa, è che verso la
Commissione europea i governi diano segni di fastidio, come del
resto accade da quarantanni, ma non mi sembra che ciò
abbia nociuto alla salute.
Ora, tra i partner europei sembra far breccia un espediente: togliere
dal calcolo del deficit le spese per investimenti. Soluzione, questa,
già esaminata allepoca della costituzione del Patto,
e scartata, come quella di ricalcolare i saldi di bilancio aggiustati
secondo la condizione ciclica. Si è preferito attenersi a
cifre visibili a tutti e oggettive, non frutto di elaborazioni statistiche.
Ma è anche vero che la procedura dei ministri delle Finanze
permette già di tenere conto sia di uneventuale recessione
sia delle spese per investimenti pubblici: argomenti che si possono
far valere nellinterpretazione politica degli andamenti di
finanza pubblica.
La difficoltà che alcuni Paesi trovano sta nel compiere la
traversata dalla situazione attuale allaltra parte del fiume,
verso il pareggio di bilancio o il surplus. Otto Paesi sono già
arrivati al di là del fiume, quattro no. Di questi, Germania
e Portogallo sono in una situazione delicata, per cui è scattato
il meccanismo di preallarme; gli altri due, Francia e Italia, devono
completare il guado. Ma nessuno ha chiesto di cambiare tabella di
marcia. In tutti ha prevalso il giudizio che violare gli impegni
avrebbe fatto più male che bene. Non vi è alcun motivo
per modificare questo giudizio. Tanto più che il 2002 sarà
un anno di ripresa della crescita.
Oltre tutto, secondo la Banca centrale europea il 2002, che era
partito con crescita zero, finirà con un tasso vicino alla
crescita potenziale europea, cioè intorno al 2 o 2 e qualcosa
per cento. La media sarà una cifra intermedia. Più
precisi di così è difficile essere. E poi Germania
e Italia sono state poco dinamiche negli ultimi anni: la crescita
economica in Eurolandia dipende molto da questi due Paesi. Ma non
è questione di stimoli macroeconomici tradizionali, di politica
monetaria o di bilancio: è questione di mancanza di flessibilità
del sistema economico, sia a Berlino come a Roma, come anche in
altri Paesi. E non intendo solo la flessibilità del lavoro,
ma anche quella delle strutture amministrative, del sistema di distribuzione,
nella concorrenza, e via dicendo, oltre a unulteriore correzione
da fare nel sistema del welfare, che prima si fa, meglio sarà.
Negli ultimi dieci anni, la finanza pubblica italiana ha camminato
verso il risanamento, sia a livello centrale che locale. Ora cè
un nuovo test. Ma certo i pericoli esistono. La discesa dellinflazione
sotto il 2 per cento sta prendendo più tempo di quanto prevedessimo
qualche mese fa. Quindi, stiamo attenti. E andiamo avanti.
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