Settembre 2002

CONTRADDITTORIO

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Liberarsi di Maastricht
Robert Solow Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

 

 

L’Unione europea deve trovare soltanto il modo di mettere da parte i criteri di Maastricht, quando la situazione lo richiede.

 

Partiamo da ciò che tormenta di più gli economisti: la disoccupazione. La disoccupazione continua sempre ad aumentare anche dopo la fine di una recessione, perché le aziende devono riorganizzarsi prima di aumentare la produzione.
Dubito però che la crescita economica degli Stati Uniti possa continuare alla velocità annua del 5,8 per cento vista nel primo periodo di quest’anno. Molto probabilmente rallenterà su ritmi più blandi. Infatti, si tratta di un andamento consueto: dopo una crisi, le aziende devono riempire i magazzini che nei tempi duri avevano svuotato, e questo ha contribuito al ritmo di crescita di circa il tre per cento. Poi la ripresa è stata sostenuta dalle molte offerte speciali, ad esempio nel settore delle auto. La vera crescita ripartirà quando aumenteranno gli investimenti, per ora più o meno fermi.
Per quel che riguarda la salute del dollaro, fino a quando non ci saranno fluttuazioni esagerate non bisogna temere ripercussioni particolari. Appena gli investitori percepiranno che i profitti delle aziende statunitensi torneranno a crescere, e che lo faranno più di quelle europee, torneranno ad acquistare in dollari.
E’ pur vero che le schermaglie continuano. In una fase delicata, il presidente americano ha inasprito le tensioni imponendo dazi sulle importazioni di acciaio. E’ stato un terribile errore. Non c’è nessuna ragione economica per proteggere un’industria che ha beneficiato per anni di misure protezionistiche, restando comunque del tutto inefficiente. Lo scopo della mossa dell’amministrazione americana è stato puramente politico, volto a raccogliere consensi.
Dal canto suo, l’Unione europea ha deciso di colpire i prodotti degli Stati americani dove i repubblicani potrebbero incontrare le maggiori difficoltà rispetto ai democratici. Ho trovato divertente questa scelta, ma non credo che sia stata una buona idea. L’Unione europea ha due modi per reagire: protestare contro il protezionismo americano, e a sua volta mettere in atto un protezionismo europeo, per esempio colpendo altre materie prime. Il problema dell’Europa è proprio il fatto che la sua principale, e forse unica fonte di ottimismo, è rappresentata dall’attesa crescita economica degli Stati Uniti. E’ un vicolo cieco dal quale il Vecchio Continente deve tentare di uscire. Molti ritengono ancora che il solo modo per farlo sia quello di riformare il mercato del lavoro, ma io sono convinto che non sia sufficiente. Non è vero che l’unica ricetta vincente sia la flessibilità. Occorre invece osare molto di più, occorre in primo luogo espandere l’economia attraverso la politica monetaria e attraverso la politica fiscale. Agire soltanto sul mercato del lavoro rischia di rivelarsi economicamente insufficiente e politicamente poco attraente. Solo dopo aver dato maggiore slancio all’economia sarà possibile andare dalle forze sociali per stabilire nuove regole, perché non si può pensare che l’unica soluzione dell’attuale debolezza sia ridurre i benefici dei lavoratori.
In più di una circostanza mi è stato chiesto se – secondo me – la Banca centrale europea non sia in grado, come la Federal Reserve, di dare maggiore slancio all’economia. Guardiamo ai fatti.
Il contrasto tra queste due istituzioni è emerso drammaticamente all’inizio del 2001, quando la crisi è iniziata. La Federal Reserve ha cominciato a tagliare i tassi già da gennaio, abbassandoli fino ad oggi, mentre la Banca centrale europea ha aspettato quasi metà anno, raggiungendo un tasso di riferimento pressoché doppio rispetto a quello americano. La reazione della Bce è stata troppo meccanica, mentre il pregio del presidente della Fed, Greenspan, è la flessibilità: osserva attentamente ciò che accade, reagisce e impara dagli errori.
Per quel che riguarda il controllo dell’inflazione europea, insieme con l’esplosione del debito pubblico in alcuni Paesi, va detto che i criteri di stabilità di Maastricht hanno avuto un senso in passato, quando i governi nazionali erano drogati dal deficit di bilancio.
Ora occorre cambiare strategia. Il pericolo più serio per la ripresa europea in questo momento è rappresentato dalla debolezza dell’economia tedesca, che avendo raggiunto un deficit vicino alla soglia del tre per cento ha dovuto tagliare le spese, attuare un consolidamento di bilancio che ha reso la situazione ancora peggiore.
Se l’Europa vuole essere prospera, deve far crescere la propria occupazione, che in Paesi come l’Italia e la Germania è ancora troppo bassa. L’Unione europea deve trovare soltanto il modo di mettere da parte i criteri di Maastricht, quando la situazione lo richiede. Non dovete permettere all’Unione europea di essere distrutta da Maastricht.

   
   
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