Settembre 2002

 

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Ma finora è stato un passo del gambero
g.b.  
 
 

 

 

Fino a poco tempo fa, la direzione sembrava quella auspicata dagli europeisti: su questioni come i Balcani, la Macedonia, lo Scudo stellare o il protocollo di Kyoto, l’Unione europea pareva sempre più in grado di parlare con una voce sola. E’ d’altra parte logico che le competenze militari e diplomatiche tendano ad accentrarsi: ciò garantisce infatti l’efficienza delle maggiori dimensioni e il consenso di un’opinione pubblica che vede nelle aspirazioni di pace il fondamento dell’iniziativa europea. Con questi piani l’Europa si preparava a disporre di una forza di reazione rapida di 60 mila uomini entro il 2003 e a recuperare il ritardo tecnologico delle proprie forze armate.
La crisi dell’11 settembre ha messo in luce alcune ambiguità che fanno capo in particolare al ruolo, peraltro non comunitario, della politica estera europea. La lentezza di decisione e la scarsa legittimazione hanno dato la sensazione che l’Europa sia sempre impegnata a prepararsi per “la prossima crisi”, ma mai a risolvere i problemi urgenti.
In questo quadro si sono risvegliati gli istinti nazionali dell’Inghilterra, della Francia, della Germania. Quest’ultima ha parlato di un «nuovo ruolo protagonista di politica estera e della difesa della Germania», scordandosi per la prima volta (negli ultimi cinquantasei anni) di aggiungere «nell’ambito dell’Europa». Londra ha ritrovato ragione del proprio ruolo di interlocutrice privilegiata degli Stati Uniti. Parigi, a cui l’Europa sta a cuore tanto da aver sabotato gli ultimi due vertici, ha visto l’opportunità di sollevare lo stendardo francese anche per avvantaggiarsi sotto il profilo della politica interna. Come dimostra in tutt’altro ambito il dibattito sul Patto di Stabilità, rivolto soltanto a garantire margini opportunistici ai governi nazionali, l’istinto “domestico” dei leader europei è ancor molto vivo. Ha portato risposte fortunatamente utili a sostenere gli Stati Uniti, ad esempio, nell’impresa afghana, ma purtroppo controproducenti a sostenere l’Europa.
In questo spirito, (altro esempio), escludere l’Italia (com’è accaduto nell’incontro esclusivo tra Francia, Germania e Inghilterra, un’ora prima del vertice dei Quindici di Gand) è una scelta perversa ma coerente, essendo il nostro il Paese più disponibile a rinunce di sovranità nazionale a favore del progetto europeo. Sono queste rinunce di sovranità nazionale, d’altronde, il vero, autentico insegnamento di pace che l’Unione europea ha sviluppato, dopo aver vissuto la guerra sul proprio territorio e sulla propria pelle. Senza questo messaggio, resta l’armamentario dei vecchi Stati nazionali, il cui fallimento è legato proprio alle loro ambizioni belliche e di egemonia.

   
   
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