Settembre 2002

BUFERE A WALL STREET

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Ma si trattava
di scandali annunciati
Joseph Stiglitz Premio Nobel per l’Economia
 
 

Il terrorismo
ha insomma
distolto l’attenzione dalla reale
situazione della
nostra economia, dalla sua debolezza, dai suoi vizi.

 

Gli scandali che fanno tremare Wall Street? L’unica cosa che mi sorprende è che qualcuno ne sia sorpreso. Che fossero necessari migliori controlli sulla contabilità delle aziende era già evidente quasi dieci anni fa. L’incertezza della ripresa economica? Non è ancora ripartito il ciclo degli investimenti. E cresce il rischio di un’ulteriore perdita di fiducia dei consumatori. Il protezionismo attuale? In questo modo si ferma il processo di liberalizzazione degli scambi mondiali, uno dei motori della crescita economica internazionale. Eppure, sono ottimista. Ma il mio è un ottimismo di lungo periodo: ci vorrà tempo prima che la situazione cambi.
Fra il ‘93 e il ‘94 ho lavorato a lungo, insieme ad alcuni colleghi economisti, a un progetto di riforma degli standard di contabilità delle aziende americane.
Che il sistema fosse a rischio, e che i controlli fossero inadeguati, era evidente fin da allora. Ma tutti preferivano guardare da un’altra parte. Anzi, sia gli gnomi di Wall Street sia il Tesoro americano sia soprattutto la Silicon Valley, tutti fecero pressione per impedire qualsiasi riforma. La Borsa correva, tutti guadagnavano ed erano felici che le cose andassero avanti così. Paradossalmente, se non fossero intervenuti i fatti dell’11 settembre, oggi staremmo anche peggio.
Nel senso che il pessimismo dei consumatori e degli investitori sarebbe ancora maggiore. L’11 settembre ha provocato infatti una reazione volontaristica, direi “patriottica”. E ha spinto l’amministrazione a varare un pacchetto straordinario di aiuti all’economia. Il terrorismo ha insomma distolto l’attenzione dalla reale situazione della nostra economia, dalla sua debolezza, dai suoi vizi. Ora ci vorrà tempo per superare i danni creati dagli scandali. Ma adesso si cominciano per lo meno ad ascoltare le prime serie riflessioni sullo stato dell’economia. Come dice la vecchia teoria: quando il fiume è pieno, non si vedono le pietre sul fondo; quando è vuoto, le pietre vengono fuori tutte. Ormai è diventato un problema politico. E la Sec, l’Organo di controllo dei mercati, si vede costretta ad agire. Ma fino a questo momento non ho visto alcuna azione adeguata.
L’incertezza di consumatori e investitori è aggravata anche da una crescita economica contraddittoria. La recessione del 2001, pur breve e morbida, è in realtà la somma di due recessioni, dovute rispettivamente all’esaurimento del ciclo delle scorte e del ciclo degli investimenti. Per quanto riguarda le scorte, ci sono segni di recupero. Ma per gli investimenti, ancora niente. In più, c’è il problema dell’alto indebitamento delle famiglie americane, che continuano a consumare e a indebitarsi. Oggi, il tasso di risparmio delle famiglie statunitensi è attestato attorno all’1 per cento del reddito. Non può evidentemente scendere. Per contro, non può neanche salire, perché questo significherebbe, appunto, una riduzione dei consumi, dannosa per l’economia.
Infine, il protezionismo di Bush. Per tutti gli anni Novanta la crescita economica mondiale è stata determinata in buona parte dalla liberalizzazione degli scambi e dallo sviluppo dei cosiddetti Paesi emergenti. Per questo, trovo estremamente dannoso l’atteggiamento della Casa Bianca: basta pensare ai dazi sull’acciaio o al “Farm Bill”, la nuova legge che riempie di sussidi gli agricoltori americani. In questo modo si rischia di bloccare ogni ulteriore liberalizzazione del commercio mondiale. E di aggravare le condizioni dei Paesi meno sviluppati, col pericolo di un aumento dei rancori, della povertà, della disperazione di buona parte dell’umanità. A parole, Bush dice di essere per il libero commercio, ma nei fatti sta andando nella direzione esattamente opposta. E’ certamente vero che anche la politica agricola europea è da biasimare. Ma c’è una differenza oggettiva. Perlomeno, l’Europa se ne sta rendendo conto. E, a differenza dell’America, incomincia a muoversi nella direzione giusta.

   
   
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