Sulle differenze tra dialogo sociale
e concertazione
si può disquisire
a lungo, ma resta il problema di trovare attori credibili per avviare
le riforme.
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Cosa cè dietro la maggiore affidabilità del
nostro debito pubblico, dietro la promozione dellItalia da
parte dellagenzia di rating Moodys? Cè
lo scheletro del sistema Paese formato da piccole e medie imprese
che detengono il tasso di sommerso più elevato dEuropa,
ci sono poche imprese di caratura internazionale (con le preoccupazioni
prodotte dalla crisi Fiat), cè un sistema bancario
ancora impegnato in tortuosi percorsi di riassetto proprietario
e organizzativo, cè una capacità di ricerca
e innovazione molto debole, cè un sistema di servizi
infrastrutturali fortemente lacunoso, ci sono le note asimmetrie
tra economia dei flussi finanziari ed economie dei territori.
Con queste premesse si può pensare di uscire dalla mediocrità
del made in Italy per navigare con sicurezza e maturità nel
mare aperto della competizione globale?
Leffetto immagine di una migliorata finanza pubblica non è
ossigeno sufficiente per analisi e valutazioni di prospettiva strutturale.
Lenfasi data alla notizia fa venire in mente una battuta di
Talleyrand: «Tout ce qui est esagéré est insignifiant»,
tutto ciò che è esagerato è insignificante.
Gli americani sono soliti dire che gli ebrei scrivono le canzoni
e gli italiani le cantano. Questo cliché sembra fare proseliti
anche nelle vicende interne delleconomia e della politica.
In un modello di globalizzazione caratterizzato da forti collegamenti
tra Europa, Usa e Asia nei flussi commerciali e finanziari non competono
più le singole imprese ma i sistemi territoriali locali,
nazionali, regionali. Tutto diventa più connesso e integrato.
Sondaggi e statistiche di casa nostra continuano invece a raccontarci
le ragioni e i numeri dellaccresciuto divario Nord-Sud, delle
persistenti carenze strutturali, del declino della grande impresa
(quando cresce la dimensione dimpresa crescono redditività,
produttività per addetto e investimenti).
Sotto il profilo politico le matrioske operanti nellarea liberale
subiscono la suggestione del vecchio modello thatcheriano, mentre
quelle che si riconoscono nelle idee del socialismo riformista subiscono
il fascino del disgelo sociale proposto dalla terza via di Clinton
e Blair. Cè un vuoto propositivo sostanziale che si
traduce nellassenza di iniziative strategicamente funzionali
ai processi di globalizzazione in atto. Restiamo in surplace, in
attesa di essere trainati da uninversione di tendenza della
congiuntura internazionale. Laggravante è costituita
dal fatto che ciò non è casuale ma lucidamente voluto.
LItalia diceva Flaiano ha un popolo di reduci.
Ci sono i partigiani nostalgici e i post-missini. Al netto del diluvio
retorico resta il retrogusto amaro di un Paese diviso, che ama invertire
spesso le parti in commedia. Così accade che i blocchi storici
più sensibili al rinnovamento predichino oggi ragioni di
conservazione. Mentre in Europa continuiamo a restare sotto la lente
dingrandimento per essere europei senza impiegare regole europee.
Ci devessere inoltre un serpente nelluovo che sparge
veleni a profusione, creando inquietudini sociali, scontri istituzionali
e nostalgie dorotee.
Riducendo allosso il lavoro di prospettiva, cè
da sanare una crisi di governabilità alta e minuta e da creare
ex novo una cultura dellinnovazione in antitesi allattuale,
prevalente, cultura della conservazione. Lultimo libro
dei sogni delle forze di governo è stato scritto con
mano sinistra, ma ha offerto alle forze di opposizione solo spunti
per una maxi vertenza nazionale. Invece di prove di dialogo si offrono
alla società civile nuove lezioni sui vecchi, criticati e
mai smessi veti incrociati.
Con lavvento del maggioritario simpone una colta riflessione
sullemancipazione della politica, dei suoi rapporti con le
istituzioni e la società civile. Sciolto il collante delle
classi, ogni individuo deve costruire da solo la sua sfera di appartenenza.
Impresa certamente più difficile e rischiosa. Del borghese,
che tanto sembra interessare allanalisi politica, Eugene Ionesco
aveva già detto: «E uno che ha dimenticato larchetipo
per perdersi nello stereotipo». Cè in realtà
una forte aspettativa per una nuova organizzazione della società
civile, mentre da più parti arrivano segnali classisti di
continuità che di fatto impediscono alla gente di credere
e di creare.
Non tranquillizza un bipolarismo politico che produce polarizzazione
sociale. Occorrono nuove leadership meno sensibili allegoriferimento,
occorrono meno occasioni dimpegno che mascherano occasioni
dimpiego.
In questi nodi ci sono le principali contraddizioni della società
italiana. I soggetti sociopolitici (partiti, sindacati, forze di
governo e di opposizione) sono sostanzialmente attestati su strategie
e tattiche di reciproca delegittimazione che logorano e rendono
inadeguate le dinamiche istituzionali (sui guasti della nuova programmazione
centrata sulle autonomie locali si leggano le osservazioni intelligenti
delleconomista Nicola Rossi in Riformisti per forza).
Il consenso organizzato finisce così per cavalcare londa
delle emozioni (Usa day, girotondi, cortei) che aggregano in modo
estemporaneo e volatile, senza produrre solide identità collettive.
Per creare nuovi valori aggreganti occorrono larghe intese culturali
e istituzionali che sappiano mediare tra le dinamiche emergenti
dal lato del conflitto e da quello del consenso.
Un passaggio cruciale è dato dai temi del lavoro, dove confluiscono
competenze e valutazioni di più soggetti istituzionali. Linterpretazione
giurisprudenziale non può essere ad esempio indifferente
alle questioni di governance, di governabilità
dellimpresa, ormai considerata principale soggetto aggregante
di fattori economici e sociali (è nota la difficoltà
della scienza giuridica di adattarsi alle innovazioni prodotte dalleconomia).
Ancora, si fa un gran parlare di riforme del mercato del lavoro
(ammortizzatori sociali, formazione, maggiore libertà di
assunzione e licenziamento), ma nulla si sente in merito alla necessità
di adottare contestualmente politiche monetarie e fiscali espansive.
Il principale problema italiano (ed europeo) non sta nella rigidità
del sistema-lavoro (che pure esiste), ma nella debolezza della domanda
interna (diagnosi su cui cè un vasto consenso di economisti
europei e americani). Il Presidente della Confcommercio denuncia
da tempo la stagnazione dei consumi.
Tradizionalmente il sindacato è stato sempre soggetto promotore
di riforme in tema di lavoro. Adesso si trova un po spiazzato
poiché si assiste al fatto nuovo di un potere diniziativa
assunto dal governo. Sulle differenze tra dialogo sociale
e concertazione si può disquisire a lungo, ma
resta il problema di trovare attori credibili per avviare le riforme.
Le forze in campo sentono molto il richiamo della foresta, delle
rispettive supremazie storiche. Così si ostinano a non capire
i propri torti e ancora meno le ragioni degli altri (un metodo che
in politica ha sempre pagato), affievolendo gli slanci della necessaria
collaborazione strategica.
Lesaltazione esasperata della sola flessibilità lavorativa
rischia di essere inefficace e ancora peggio di compromettere i
faticosi percorsi di dialogo costruiti nel tempo nei rapporti governo-sindacati.
La flessibilità va ricercata a 360 gradi, incominciando col
chiedere in sede europea la revisione dei criteri anticiclici (troppo
rigidi) stabiliti dieci anni fa a Maastricht (allora erano giustificati
dagli alti deficit dei bilanci pubblici e dagli automatismi di spesa
non contenibili). Lesperienza ci dice che hanno generato ristagno
economico al limite della recessione (in Francia, in Germania, in
Italia).
In uno dei tanti convegni sulle relazioni industriali ho assistito
ad un episodio significativo. Mentre gli oratori parlavano di solidarietà,
statuto dei lavori (non dei lavoratori), giustizia distributiva,
un operaio ha chiesto di intervenire. «Se il governo volesse
accelerare la ripresa e aumentare i consumi potrebbe lanciare un
segnale preciso in questa direzione, potrebbe ad esempio detassare
i Bot dove confluiscono i nostri risparmi». Giriamo la domanda
agli addetti ai lavori. A noi preme sottolineare la visione lucida
dei problemi, anche se un operaio che pensa ai Bot non desta molto
interesse nei sindacati tradizionali. Forse nel confronto in atto
si parla molto di relazioni industriali vetuste, poco di un mondo
del lavoro in rapida evoluzione, reso più autonomo dai nuovi
modelli organizzativi imposti dalle recenti tecnologie e nello stesso
tempo più interconnesso con gli altri fattori che fanno impresa.
Ormai diritto del lavoro, diritto dellimpresa, diritto della
banca e dei mercati finanziari operano in stretta sintonia (non
a caso Pierluigi Ciocca sostiene da tempo che non si può
più parlare di un diritto delleconomia, ma di un diritto
per leconomia).
Cè poi lannoso tema della democrazia diretta
che i politici ritengono allargata per lampliamento dei poteri
concessi alle autonomie locali.
La singolare interpretazione data al federalismo amplia in realtà
larea della politica politicante, mentre una maggiore accentuazione
della democrazia diretta attende in sede istituzionale un uso più
ampio del voto referendario e del voto popolare.
Un esempio aiuta a capire. Il difensore civico (ombudsman) è
unistituzione recente pensata per rafforzare la rete di tutela
dei cittadini nei rapporti con la pubblica amministrazione. Nelle
esperienze del Nord Europa, da cui proviene, esso è espressione
di un voto popolare che conferisce neutralità e autorevolezza
allistituto. In Italia il movimento Cittadinanza attiva
chiede da tempo lelezione diretta del difensore civico, ma
allo stato delle cose la maggioranza dei regolamenti locali privilegia
lelezione dei consigli comunali (con il risultato che per
il meccanismo dei veti incrociati alcune grandi città non
hanno ancora il difensore civico). Non è casuale che siano
in molti, dallinterno e dallesterno (Confindustria,
Banca dItalia, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale),
a chiedere per lItalia riforme strutturali. Unagenda
parlamentare delle priorità dovrebbe tenere conto di questa
richiesta. Va sottolineato che si chiedono riforme,
non politiche. Si chiede cioè un quadro normativo
organico volto a cambiare il funzionamento del sistema nel lungo
periodo. Le politiche del governo, pressate dallemergenza,
finiscono per introdurre nel sistema provvedimenti tampone, che
hanno respiro corto e carattere isolato.
Quando si è in presenza di regole sbagliate e non idonee,
le politiche di tamponamento aggiungono emergenza a emergenza, cioè
lemergenza permanente. Se il Parlamento lavora bene e migliora
lefficienza globale del sistema, il Governo sarà meno
indotto a svolgere interventi correttivi abborracciati e potrà
dedicarsi meglio ad un lavoro di prospettiva dal respiro programmatico
(realizzando ad esempio un parco-progetti per la costruzione di
possibili scenari di sviluppo su cui impegnare il dibattito politico).
Vale la pena ricordare che le diverse realtà economiche territoriali
per operare nella logica dei flussi globali non possono più
fare affidamento solo sui valori di solidarietà e solidità
delle famiglie. Per andare dal locale al globale, lorganizzazione
delle comunità territoriali ha bisogno di tenere sotto controllo
diversi indicatori: i dati dellexport, i flussi dinvestimento
in entrata e in uscita, il grado dinternazionalizzazione del
sistema bancario, il sistema delle infrastrutture, il livello di
offerta informativa (università e altre istituzioni in grado
di dialogare con lEuropa e altre realtà internazionali,
con spiccata sensibilità a raccogliere le istanze locali
per farle rimbalzare nel globale). Sono tutte occasioni di verifica
che richiedono il supporto di un articolato ed efficiente quadro
istituzionale. Lattuale grado di assuefazione allincertezza
produce invece lindignazione che stanca.
Lultimo sondaggio delleurobarometro (Commissione europea)
è significativo. Con riferimento al grado di soddisfazione
nel funzionamento del proprio Paese le percentuali sono allarmanti.
Solo 38 italiani su cento sono soddisfatti della propria democrazia,
mentre 59 su cento si dichiarano insoddisfatti (siamo in assoluto
i più scontenti dEuropa insieme ai portoghesi). Altri
motivi di riflessione offre lindice di fiducia verso quattro
poteri fondamentali: Governo, Parlamento, Amministrazione pubblica,
Partiti politici. LItalia finisce allultimo posto con
un tasso di fiducia del 31%, contro una media europea del 40%. Cè
sfiducia anche nei media: il 49% si fida della televisione (media
Ue 62%), il 44% crede nella radio (media Ue 62%), il 39% nei giornali
(media Ue 46%).
Lo scetticismo generalizzato è palpabile ovunque: si partecipa
e si crede meno alla vita pubblica, si vota anche meno. In compenso,
cresce il sentimento della solidarietà corporativa. La società
civile sembra disamorata della vita collettiva, mentre appare sempre
più ripiegata sulla vita privata e più concentrata
sulle occupazioni solitarie, ivi incluso il volontariato.
Se si scava nelle origini storiche della società civile (Hobbes)
si scoprono le radici liberali, le simpatie per letica laica
e lo Stato minimo, il rapporto privilegiato con il diritto naturale,
che geneticamente costituisce la matrice originaria del common
law, dellimportanza delle consuetudini nel diritto.
Un progetto per la creazione di nuovi esperimenti di democrazia,
per lelaborazione organica di cose straordinarie sul fronte
istituzionale è certamente materia di riflessione politica,
ma non può essere trattato solo nel recinto degli addetti
ai lavori. Il deficit di modernizzazione ha bisogno di nuove reliquie
laiche.
Si potrebbe partire abbandonando la Mecca dellusato: il governo,
la sua predisposizione allestasi lirica; i sindacati e i partiti,
le loro pregiudiziali ideologiche e di potere. Con il coinvolgimento
di unopinione pubblica attestata su posizioni di neutralità
costruttiva.
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