Settembre 2002

STORIE FORSE ILLUSIONI

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Un canto di sirena
Antonio Errico
 
 

 

 

Ma la sirena
più seducente,
più amabile
e incantante,
più dolce
e più struggente,
è la memoria
dell’infanzia...

 

Come ogni sera il gufo si affacciò da una feritoia del castello d’Otranto, figura di un altro tempo e senza tempo, scolpita nella pietra come sopra i fogli di uno dei bestiari medievali.
Era una sera d’agosto. Quasi notte.
Maria Corti lo guardò; disse: quel gufo rappresenta il persistere del mistero in questo luogo. Per lei Otranto non era un luogo vero; non lo era diventato mai.
Rimaneva uno dei suoi luoghi mentali, vissuto e studiato, metafora e mito del tutto e del niente, incipit ed explicit di lungo racconto, alfa e omega.
Era la storia pesante e sanguinosa dell’invasione dei turchi, era la fiaba leggera di Idrusa, la memoria profonda dell’infanzia di una bambina che di tanto in tanto, nei giorni della festa, lasciava l’istituto delle suore Marcelline di Piazza Tommaseo a Milano, per scendere a trovare suo padre, ingegnere nel Salento.
Per Maria Corti il riverbero delle cose spesso aveva più senso delle cose stesse; le ombre più del corpo da cui provengono; la reinvenzione dei fatti, la riscrittura della storia, più dei fatti stessi, della stessa storia.
Sarà stato anche per questa sua visione del mondo, per quella percezione, per quella convinzione che tanto l’origine dell’universo reale quanto l’origine dell’universo di parole chiamato letteratura, e segnata da un evento misterioso forse mai rivelabile, a determinare il rapporto empatico tra interprete e testo che ha sempre caratterizzato il suo lavoro critico, le indagini sulla lingua, la sua filologia. Oppure sarà stato per aver conservato intatto lo stupore, la meraviglia, la passione della bambina che per leggere si nascondeva sotto le coperte del suo lettino all’istituto delle Marcelline.
Se Maria Corti si è distinta dai logotecnocrati, dai burocrati della critica, dai professori-impiegati, lo deve anche al fatto di aver messo il cuore nei libri che ha scritto.
Lo deve a quel suo essersi lasciata sedurre continuamente, fino all’ultima ora, dal canto delle sirene che abitano in un libro, dentro i giri di una frase di romanzo, nelle sillabe di un verso.
Quella di Maria Corti è stata la seduzione intellettuale di una creatura che ha cercato di scandagliare la profondità dell’esistenza così come si manifesta – si realizza – nell’espressione dell’arte.
Accade molto spesso, più o meno inconsciamente, che si affidi ad un personaggio il nucleo del proprio pensiero, il fondo dei propri desideri. Maria Corti lo ha fatto con Basilio, un personaggio del suo Canto delle sirene.
Basilio, pittore in Otranto di affreschi e oggetti d’arte, sospetta che le sirene nascano da nostre immaginazioni irrisolte e oscure.
Affascinato dall’archetipo di Ulisse, convinto che ogni uomo non è altro che una variante degli uomini vissuti prima, e che finché esisteranno gli uomini le loro storie saranno somiglianti, cerca la voce della sirena nel Canale d’Otranto; cerca una maniera che gli consenta di trasformare la sua arte da rappresentazione in realtà, da forma in sostanza, in materia.
Per Basilio l’immaginazione non deve produrre figure, simboli; deve generare esistenze: la materia deve pulsare, deve conquistare un’anima, una voce.
Così, mentre il mare trascina la barca verso la grotta del Malepasso, dove Basilio cerca la voce della sirena, si verifica una situazione conflittuale: da una parte l’ipotesi che sta per avvenire il contatto con la sirena, dall’altra la paura della morte che non gli avrebbe permesso la realizzazione dell’idea dell’arte ottenuta attraverso la conoscenza totale che dal contatto sarebbe scaturita.
Basilio ha paura perché è un uomo solo, variante inevitabilmente sperduta nell’oceano delle varianti umane.
Per affrontare la sirena avrebbe dovuto riunire e unificare tutte le varianti delle storie dell’uomo.

La letteratura per Maria Corti è stata un richiamo di sirena; è stata il tentativo consapevolmente assurdo di mettere insieme tutte le varianti di quell’immenso, insondabile testo che è un uomo.
Ma la sirena più seducente, più amabile e incantante, più dolce e più struggente, che è poesia non scritta, è la memoria dell’infanzia. E’ la bambina in vestaglietta di lana d’angora che scappa di notte dall’istituto per andare dalla nonna.
Se la seduzione intellettuale non è altro che il bisogno interiore di chiudere il cerchio della conoscenza per scendere al fondo e capire il senso e la ragione dell’esistenza, e se il punto in cui il cerchio si chiude coincide esattamente con il punto da cui il cerchio è partito, questo punto non può essere altro che l’infanzia. Ed è qui, allora, che bisogna scandagliare. E’ qui che il desiderio di conoscenza può placarsi o comunque farsi più sereno.
Tutto il resto non è altro che illusione. Anche la storia non è altro che illusione.

«Quanti anni son passati da allora? Solo i vivi contano gli anni. Ed è mutato qualcosa?».
In questa frase che conclude L’ora di tutti è racchiusa tutta l’idea che Maria Corti ha avuto della storia.
L’interrogativo sugli anni che passano in un continuum che lascia tutto immobile, indifferenziato, traduce lo scetticismo nei confronti della capacità – o della possibilità – che gli uomini hanno di decidere il generarsi dei fatti, o anche solo di incidere su di essi.
Tutto accade soltanto per caso: il caso stabilisce i destini individuali e collettivi; il caso governa gli eventi.
Non si sa se ogni cosa sia decisa a priori o se venga decisa all’istante. Non si sa da chi venga decisa.
La storia non è un progetto. Forse neanche un processo. E’ un accadere improvviso, prevedibile a volte, imprevedibile altre.
Ma la previsione non è altro che conseguenza di un’intuizione o di un’esperienza diretta o riflessa. Non è decisione.
Solo i vivi contano gli anni. Inutilmente, dunque.
Sembra un conto sterile perché sterile sembra sempre (e forse è) il conto – o il gioco – disperato con l’ineluttabile.

   
   
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