Ma la sirena
più seducente,
più amabile
e incantante,
più dolce
e più struggente,
è la memoria
dellinfanzia...
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Come ogni sera il gufo si affacciò da una feritoia del castello
dOtranto, figura di un altro tempo e senza tempo, scolpita
nella pietra come sopra i fogli di uno dei bestiari medievali.
Era una sera dagosto. Quasi notte.
Maria Corti lo guardò; disse: quel gufo rappresenta il persistere
del mistero in questo luogo. Per lei Otranto non era un luogo vero;
non lo era diventato mai.
Rimaneva uno dei suoi luoghi mentali, vissuto e studiato, metafora
e mito del tutto e del niente, incipit ed explicit di lungo racconto,
alfa e omega.
Era la storia pesante e sanguinosa dellinvasione dei turchi,
era la fiaba leggera di Idrusa, la memoria profonda dellinfanzia
di una bambina che di tanto in tanto, nei giorni della festa, lasciava
listituto delle suore Marcelline di Piazza Tommaseo a Milano,
per scendere a trovare suo padre, ingegnere nel Salento.
Per Maria Corti il riverbero delle cose spesso aveva più
senso delle cose stesse; le ombre più del corpo da cui provengono;
la reinvenzione dei fatti, la riscrittura della storia, più
dei fatti stessi, della stessa storia.
Sarà stato anche per questa sua visione del mondo, per quella
percezione, per quella convinzione che tanto lorigine delluniverso
reale quanto lorigine delluniverso di parole chiamato
letteratura, e segnata da un evento misterioso forse mai rivelabile,
a determinare il rapporto empatico tra interprete e testo che ha
sempre caratterizzato il suo lavoro critico, le indagini sulla lingua,
la sua filologia. Oppure sarà stato per aver conservato intatto
lo stupore, la meraviglia, la passione della bambina che per leggere
si nascondeva sotto le coperte del suo lettino allistituto
delle Marcelline.
Se Maria Corti si è distinta dai logotecnocrati, dai burocrati
della critica, dai professori-impiegati, lo deve anche al fatto
di aver messo il cuore nei libri che ha scritto.
Lo deve a quel suo essersi lasciata sedurre continuamente, fino
allultima ora, dal canto delle sirene che abitano in un libro,
dentro i giri di una frase di romanzo, nelle sillabe di un verso.
Quella di Maria Corti è stata la seduzione intellettuale
di una creatura che ha cercato di scandagliare la profondità
dellesistenza così come si manifesta si realizza
nellespressione dellarte.
Accade molto spesso, più o meno inconsciamente, che si affidi
ad un personaggio il nucleo del proprio pensiero, il fondo dei propri
desideri. Maria Corti lo ha fatto con Basilio, un personaggio del
suo Canto delle sirene.
Basilio, pittore in Otranto di affreschi e oggetti darte,
sospetta che le sirene nascano da nostre immaginazioni irrisolte
e oscure.
Affascinato dallarchetipo di Ulisse, convinto che ogni uomo
non è altro che una variante degli uomini vissuti prima,
e che finché esisteranno gli uomini le loro storie saranno
somiglianti, cerca la voce della sirena nel Canale dOtranto;
cerca una maniera che gli consenta di trasformare la sua arte da
rappresentazione in realtà, da forma in sostanza, in materia.
Per Basilio limmaginazione non deve produrre figure, simboli;
deve generare esistenze: la materia deve pulsare, deve conquistare
unanima, una voce.
Così, mentre il mare trascina la barca verso la grotta del
Malepasso, dove Basilio cerca la voce della sirena, si verifica
una situazione conflittuale: da una parte lipotesi che sta
per avvenire il contatto con la sirena, dallaltra la paura
della morte che non gli avrebbe permesso la realizzazione dellidea
dellarte ottenuta attraverso la conoscenza totale che dal
contatto sarebbe scaturita.
Basilio ha paura perché è un uomo solo, variante inevitabilmente
sperduta nelloceano delle varianti umane.
Per affrontare la sirena avrebbe dovuto riunire e unificare tutte
le varianti delle storie delluomo.
La letteratura per Maria Corti è stata un richiamo di sirena;
è stata il tentativo consapevolmente assurdo di mettere insieme
tutte le varianti di quellimmenso, insondabile testo che è
un uomo.
Ma la sirena più seducente, più amabile e incantante,
più dolce e più struggente, che è poesia non
scritta, è la memoria dellinfanzia. E la bambina
in vestaglietta di lana dangora che scappa di notte dallistituto
per andare dalla nonna.
Se la seduzione intellettuale non è altro che il bisogno
interiore di chiudere il cerchio della conoscenza per scendere al
fondo e capire il senso e la ragione dellesistenza, e se il
punto in cui il cerchio si chiude coincide esattamente con il punto
da cui il cerchio è partito, questo punto non può
essere altro che linfanzia. Ed è qui, allora, che bisogna
scandagliare. E qui che il desiderio di conoscenza può
placarsi o comunque farsi più sereno.
Tutto il resto non è altro che illusione. Anche la storia
non è altro che illusione.
«Quanti anni son passati da allora? Solo i vivi contano gli
anni. Ed è mutato qualcosa?».
In questa frase che conclude Lora di tutti è racchiusa
tutta lidea che Maria Corti ha avuto della storia.
Linterrogativo sugli anni che passano in un continuum che
lascia tutto immobile, indifferenziato, traduce lo scetticismo nei
confronti della capacità o della possibilità
che gli uomini hanno di decidere il generarsi dei fatti,
o anche solo di incidere su di essi.
Tutto accade soltanto per caso: il caso stabilisce i destini individuali
e collettivi; il caso governa gli eventi.
Non si sa se ogni cosa sia decisa a priori o se venga decisa allistante.
Non si sa da chi venga decisa.
La storia non è un progetto. Forse neanche un processo. E
un accadere improvviso, prevedibile a volte, imprevedibile altre.
Ma la previsione non è altro che conseguenza di unintuizione
o di unesperienza diretta o riflessa. Non è decisione.
Solo i vivi contano gli anni. Inutilmente, dunque.
Sembra un conto sterile perché sterile sembra sempre (e forse
è) il conto o il gioco disperato con lineluttabile.
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