Settembre 2002

DALLA VALLE DEI DINOSAURI

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Una risorsa unica al mondo
Salvatore Vescina
 
 

 

 

In Europa, dopo quella di Altamura, la realtà
più significativa
è in Spagna,
dove sono state
rinvenute circa 4.000 impronte.

 

La “valle dei dinosauri” è una cava di calcare in agro di Altamura (Bari), caratterizzata da un numero «impressionante» di impronte di dinosauro – stimato tra le 30 e le 40 mila – la maggior parte delle quali disposte in vere e proprie piste (sequenze di più orme lasciate da uno stesso animale), lunghe decine e decine di metri.
La scienza paleontologica è unanime nei riconoscere che questo ritrovamento costituisce il più grande giacimento al mondo e, grazie alla nitidezza delle impronte e alla frequenza delle piste, una delle più interessanti paleosuperfici mai scoperte.
Per istituire un paragone con il sito di Altamura occorre assumere a riferimento un continente diverso dal nostro. Ad esempio, l’Australia, dove a Lark Quarry vi sono “soltanto” 3.300 impronte lasciate sul terreno da più specie animali (alcuni piccoli Ornitopodi e almeno un grande Teropode) circa 95 milioni di anni fa. Nel continente americano, presso Pergatory River, a Picket Wire nel Colorado, è situato il più grande ritrovamento negli Stati Uniti. Si tratta di circa 100 piste, risalenti a 150 milioni di anni fa, che nell’insieme totalizzano 1.300 orme di Brontosauro, Stegosauro e Allosauro.
Altro ritrovamento significativo, sempre negli Stati Uniti, è visitabile presso il Dinosaur State Park di Rocky Hill, nel Connecticut, con circa 2.000 impronte datate 200 milioni di anni.
In Europa, dopo quella di Altamura, la realtà più significativa è in Spagna, dove sono state rinvenute circa 4.000 impronte. Altro ritrovamento che segnaliamo, più per lo sfruttamento turistico (un po’ eccessivo rispetto ai nostri parametri ) che per la quantità delle impronte, è quello di Münchehagen in Germania, con circa 250 impronte risalenti al Cretacico.
Fino a pochi anni fa si riteneva che l’ltalia fosse stata interessata solo marginalmente dalla presenza di dinosauri visto che, fino a quel momento, i principali ritrovamenti erano avvenuti essenzialmente in alcune zone dell’America, dell’Australia e dell’Asia.
Su scala nazionale, il ritrovamento di Altamura non teme confronti.
Recenti scoperte pongono l’Italia tra i Paesi interessati dal “fenomeno dinosauri”: tra i siti italiani più significativi vanno menzionati Lerici in Liguria, Monte Pelmetto e Lavaredo sulle Dolomiti, Lavini di Marco vicino Trento, il promontorio del Gargano in Puglia, Pietraroja nei pressi di Benevento, dove è stato ritrovato lo scheletro di un Coelurosauro risalente al Cretacico superiore.
Tali ritrovamenti, pur di rilevante portata scientifica, per l’esiguità “quantitativa” dei reperti rinvenuti non possono essere in nessun modo comparati alla ricchezza, alla qualità (l’ottimo stato di conservazione e la nitidezza delle piste) e all’elevata biodiversità (le impronte appartengono infatti a più specie animali diverse) che caratterizzano il sito di Altamura.


Le impronte

La superficie sulla quale insistono le oltre 30.000 impronte di dinosauro risale a circa 75 milioni di anni fa. Buona parte degli studiosi ritiene che prima di allora, nel Triassico superiore (circa 230 milioni di anni fa, quando si presume siano comparsi i primi dinosauri), la terra emersa fosse formata da un unico grande blocco (Pangea), successivamente smembratosi, per effetto dei movimenti legati alla tettonica delle placche, in due blocchi divisi, per gran parte del Mesozoico, dall’oceano Tetide.
Nel corso del Giurassico (da 190 a 140 milioni di anni fa) e del Cretacico (da 140 a 65 milioni di anni fa) questi due blocchi si frammentarono, dando vita a un enorme arcipelago, caratterizzato da frequenti regressioni del livello del mare: la penisola italiana, unita all’area adriatica-dalmata e all’attuale continente africano, era formata da una pluralità di isole e penisole, separate da stretti bracci marini poco profondi. E, verosimilmente, si ritiene che quelle terre fossero la dimora dei grandi rettili.
L’alta concentrazione delle impronte rinvenute in contrada Pontrelli dimostra che un gran numero di dinosauri (50 o addirittura 100 individui) avesse popolato, o semplicemente attraversato, quell’area della Murgia. Il loro passaggio è avvenuto su uno strato sedimentato, al tempo costituito da fanghi e sabbia umida, che si è via via consolidato grazie all’azione di sali e di alghe. Con il passare del tempo sui segni impressi si sono depositati altri strati, consentendo la conservazione delle orme fino ad oggi.
Anche se risalire alle specie animali dalle impronte è obiettivo di una specifica scienza, la paleoicnologia (branca della paleontologia che studia le tracce), al momento non è agevole attribuire le orme a determinate specie di dinosauri. E’ possibile invece associare gli animali per gruppo o “famiglia”.
Gli studi preliminari fin qui condotti ad Altamura hanno permesso di individuare già quattro famiglie di dinosauri erbivori – i Sauropodi di piccole e medie dimensioni, gli Ornitischi, i Ceratopsidi, gli Anchilosauri – e sembra vi siano elementi per accertare la presenza di una famiglia di carnivori, i Terapodi.
E’ ben possibile, tra l’altro, che il sito contenga orme di dinosauri i cui reperti fossili non sono stati finora mai ritrovati (come nel caso dei Ceratopsidi).
Dall’analisi delle impronte si è pervenuti all’individuazione di animali bipedi (con sequenze destre e sinistre di impronte simili) e quadrupedi (con sequenze di coppie mano-piede) a 3 e a 5 unghie, piccoli e snelli, non più alti di 3 metri.
L’andatura degli animali appare normale, non turbata da situazioni di caccia o di fuga. Questa lettura è suffragata dalle evidenti “scodate” di grandi erbivori tranquilli al pascolo. Non è raro distinguere le “nuvolette” di fango carbonatico alzatesi durante la marcia e talvolta sono addirittura visibili le “pieghe” della pelle dei rettili al di sotto delle loro zampe.
Le impronte costituiscono una vera e propria “miniera” di informazioni scientifiche sui rettili che frequentavano la Murgia: dalla loro forma e dimensione è possibile desumere grandezza, lunghezza e peso dell’animale, la velocità con la quale esso si muoveva e gli eventuali cambi di direzione.
L’analisi delle piste è basilare per la comprensione di quanto non può dedursi dallo scheletro degli animali e cioè comportamento, interazioni reciproche e abitudini sociali. «Le impronte sono una cosa viva, ci dicono come si muoveva l’animale, dove andava, di cosa si nutriva, con chi viveva...».

   
   
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