Settembre 2002

“ARTEREGINADIPACE”

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Guardare oltre il muro
Ugo Latrofa  
 
 

 

 

In Europa, dopo quella di Altamura, la realtà
più significativa
è in Spagna,
dove sono state
rinvenute circa 4.000 impronte.

 

L’iniziativa

La partecipazione della Banca Popolare Pugliese all’edizione 2002 della Fiera del Levante è stata caratterizzata dal medesimo filo conduttore che ha guidato la scorsa edizione: l’incontro tra arte e finanza.
Ma la manifestazione di quest’anno, proseguendo sulla strada avviata con “Cuoreamico”, si è arricchita di un nuovo elemento forte: la solidarietà, così che l’iniziativa si è fondata sull’intreccio di tre componenti: arte, finanza e solidarietà.
L’iniziativa intitolata “ArteReginadiPace – Guarda oltre il muro” è nata da una rielaborazione in chiave meno tradizionale della presenza della Banca alla Fiera del Levante; dal 7 al 15 settembre 2002 la BPP ha promosso l’incontro tra arte e solidarietà: 19 artisti, in gran parte pugliesi, hanno donato le opere con cui la Banca ha allestito il proprio stand fieristico all’interno del Padiglione 96.
Alcune decine di imprenditori, clienti della Banca Popolare Pugliese, a titolo personale o quali rappresentanti della società che dirigono, hanno versato un contributo volontario su un conto corrente appositamente istituito.
I fondi raccolti, circa 40.000 euro, sono stati devoluti al Centro di accoglienza “Regina Pacis” di San Foca, diretto da Don Cesare Lodeserto, per l’attivazione di un Numero Verde “SOS immigrati” attraverso il quale, e, con il coinvolgimento diretto degli immigrati, si fornirà un servizio nazionale di informazione sulle leggi in vigore in tema di immigrazione o in materia di lavoro o notizie su un proprio congiunto.
Simbolicamente, come ringraziamento, agli imprenditori è stato dato in dono uno dei pezzi d’arte tra quelli in mostra presso lo stand.
Il folto numero di visitatori dello stand (oltre 1.500) nonché il rilievo dato dalla stampa e dalla televisione convincono della validità della via intrapresa.


Perché l’iniziativa

Guardare oltre il muro non è un gesto estremo, ma è il solo atto che viene richiesto a chi guarda per vedere; implica il possesso della propria coscienza, o l’onestà intellettuale che serve a chi pensa che la carità non sia mera elargizione del superfluo ma impegno dimensionato nel limite delle cose possibili.
Nel titolo del nostro manifesto c’era tutto questo sottinteso, questa premessa importante sulla quale costruire un percorso di presenza e di solidarietà.
Per un’azienda dovrebbe essere naturale saper leggere il proprio tempo e le domande che salgono dal territorio, perché un’azienda entra nella sommatoria del tempo e nelle coerenze del popolo che l’ha espressa. Un’azienda ha ragione d’essere se si rende funzionale alla socialità che la ospita, altrimenti è superflua, non destinata a durare.
Pensando la mostra “ArteReginadiPace”, era abbastanza chiaro che cosa si volesse comunicare. L’anno prima c’eravamo presentati alla Fiera del Levante con una mostra di scultura e fotografia, quest’anno si voleva coniugare l’interesse verso l’arte con una finalità più elevata, ma maledettamente più difficile da conseguire: la solidarietà.
Forse avremmo dovuto presentare l’offerta di prodotti e servizi della nostra Banca, perché... così fanno tutti e sarebbe stato l’ennesimo noioso, ridondante, costoso e inutile tentativo di rendersi visibili ad un pubblico distratto di visitatori, interessato al colore del Padiglione delle Nazioni o agli effetti speciali delle mostre tecnologiche, nient’affatto disposto a farsi tediare da improbabili performance di stile bancario. Invece abbiamo scelto la solidarietà, la solidarietà legata all’arte.
Perché noi siamo di qui e questa è terra di frontiera. I nostri padri partivano da questa frontiera, verso orizzonti più vasti lasciando dietro di sé le radici e la solitudine di chi restava, a masticare l’amaro, a dissodare una terra impoverita delle sue braccia e delle menti. Oggi questa frontiera è l’approdo dei disperati che portano un fagotto di speranza, stracciati, umiliati, sugli stessi approdi dai quali i nostri padri partivano.
E chi più di noi dovrebbe capire queste genti, chi potrebbe preparar loro un’accoglienza migliore.
La solidarietà non è uno steccato, un recinto dove ricoverare e ristorare i diversi. I poveri sono diversi. I poveri sono neri e i ricchi sono bianchi, lo sappiamo noi che costruiamo l’accoglienza con le inferriate, che vestiamo gli ignudi con i nostri panni dismessi, che acquietiamo la nostra coscienza con i pochi spiccioli della beneficenza. Noi, quelli che… chiedeteci tutto, ma non che chi ci ha raggiunto abbia pure la velleità di essere un uguale. La solidarietà è una grande cosa, ma trova spazio dove c’è ingiustizia.
Speculare sui diseredati è uno sciacallaggio intollerabile, perciò trattare il tema dell’immigrazione è stato difficile, perché c’è sempre stato questo pericolo incombente che il nostro pudore annusava, generando dubbi e conflitti intellettuali sull’opportunità di affidare a quest’esodo, che trova il suo epilogo sulla nostra terra, il compito di rendere visibile la nostra voglia di partecipare.
Ma l’essenza della nostra natura è agire, non subire passivamente, superare col senso critico anche il dubbio. Ed è la capacità di scegliere la reazione adatta alle diverse circostanze a darci il potere di creare, noi stessi, le circostanze.
Così ci siamo avvicinati a “Regina Pacis”, abbiamo conosciuto Don Cesare Lodeserto e abbiamo toccato con mano cosa sia il cristianesimo militante, quale sia la dimensione reale dei diversi. E’ stata un’esperienza nuova e non prevista, un angolo diverso da cui si guarda al mondo.
Su “Regina Pacis” non volano colombe, ma la miseria umana si incontra e si somma, genera voli di follia o slanci eroici non comuni, ma tutto questo rigorosamente dentro i confini segnati dalle reti metalliche. Chi entra nei recinti di “Regina Pacis” scopre che la beneficenza non esiste, o perlomeno non serve, dentro al muro, ci vuole l’umana comprensione, ciò che induce a capire che prostitute, scafisti e spacciatori sono ad un tempo padri e madri che vivono le difficoltà del presente, che fuggono da una realtà ingenerosa e sono più poveri di noi, non solo o non tanto perché non hanno cibo o vestiario o quant’altro di superfluo, ma soprattutto perché, meno di noi, hanno la speranza.
Così abbiamo deciso che avremmo affrontato il tema dell’immigrazione, promettendo collaborazione nella divulgazione, sposando cultura e solidarietà come un binomio vincente. Il denaro che la generosità degli artisti che hanno ceduto le loro opere e dei nostri clienti che le hanno acquistate ci consentirà di raccogliere non servirà a ristorare per un giorno i più poveri.
Con quei soldi costituiremo un Numero Verde per gli immigrati, un tentativo di rendere più larghi i confini di un Centro di accoglienza. Non sappiamo se il nostro tentativo di esserci riuscirà o avrà i risultati che cercavamo, non abbiamo questa sicurezza, ma avvicinandoci a distanza d’uomo agli immigrati dall’esempio di Don Cesare Lodeserto abbiamo imparato una cosa che certamente ci ha fatto crescere: la sicurezza, come l’arte, non deriva dal possedere tutte le risposte, nasce dall’essere aperti a tutte le domande.

Investire in solidarietà
La dimensione del servizio

Don Cesare Lodeserto

Non sarà mai facile percorrere nel giusto modo gli itinerari della solidarietà e comprendere quali possano essere le scelte più idonee, sia dal punto di vista morale sia dal punto di vista operativo.
Nello stesso tempo, il valore della solidarietà è pur sempre un messaggio educativo valido e necessario da rivolgere all’attuale società, che soffre la superficialità e la distrazione e ha bisogno di essere costantemente sollecitata. La solidarietà, in realtà, dovrebbe essere una scelta di tutti i settori della vita sociale ed educativa: deve fare scelte di solidarietà il mondo cattolico, attraverso gesti di carità, come anche il mondo della cultura, dell’economia, partendo dal concetto che la solidarietà non può essere intesa solo come elargizione di denaro, ma è anche servizio, inteso nella forma più ampia e nobile.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica è carità dare del denaro, ma è anche carità fare progetti di sviluppo nelle realtà povere, educare alla legalità, far crescere culturalmente e politicamente un popolo in condizioni di povertà.
Impegno identico deve essere quello dell’economia, la quale deve avvertire il dovere, anche nel settore bancario, di essere a servizio dell’uomo: solo la dimensione del servizio rende creativi e capaci di fare autentiche scelte di solidarietà.
A conferma di ciò c’è la storia degli istituti bancari, che hanno trovato origine in quegli ambienti religiosi che volevano combattere le tante forme di povertà, la più grave proprio l’usura. Nel tempo la banca ha assunto una dimensione e una funzione sociale elevatissima, a tal punto da essere soggetto promotore, e anche condizionante, dell’economia.
La morale sociale non ha mai smesso però di rammentare agli istituti bancari quelle funzioni per le quali sono stati costituiti, per cui è importante la vicinanza al popolo, la conoscenza del territorio, l’analisi delle povertà, l’approfondimento di tutte quelle problematiche che possono determinare nel bene o nel male la condizione economica di un Paese, di una famiglia, di una persona.
Conoscere vuol dire determinare anche delle scelte, che possono essere di natura finanziaria, come anche di natura solidaristica, per cui possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che anche la solidarietà può essere un buon investimento, tale da prevedere un interessante ritorno.

Non si tratta di investire in forme pubblicitarie, bensì in scelte di crescita sociale, di armonizzazione dell’umana sofferenza, di consapevolezza della necessaria prevenzione e riduzione del danno che può essere generato da uno stato di povertà sul territorio.
La scelta della Banca Popolare Pugliese di coniugare la funzione della cultura e dell’arte, il ruolo di una struttura di carità e il potenziale di un istituto bancario hanno in sé una grande forza morale, oltre ad una credibilità elevata. Nessun soggetto operante è stato sminuito della propria funzione, ma ognuno ha messo a disposizione le proprie capacità di servire i poveri e dare loro la compattezza operativa di una struttura morale e di solidarietà poliedrica, ma determinata.
L’artista ha disegnato l’accoglienza e l’immigrazione, la carità di una struttura ecclesiale a servizio dei poveri ha potuto creare nuove forme di servizio, la banca ha preso posto nel territorio accompagnando con la propria forza morale il cammino della solidarietà.
Il mondo delle povertà oggi ha bisogno di certezze a lungo termine, per cui anche gli investimenti in funzione della solidarietà devono proiettarsi in un futuro lungo. Per cui quanto si fa insieme deve entrare nel tempo e nella storia del territorio in cui si sceglie di operare. Bisogna attuare l’immediatezza dell’intervento, perché l’appello dei poveri è pur sempre un’emergenza, ma bisogna anche porre le basi per un futuro diverso, dove la povertà non è emergenza, bensì un problema sociale da affrontare e risolvere, sempre nella totale intesa fra tutte le realtà che operano all’interno di un territorio.
Il fenomeno migratorio, anche se è in calo nel nostro territorio, è un problema che esige una forte sintonia e la determinazione di un programma di solidarietà che coinvolga un po’ tutti. Le migrazioni dell’uomo prima di tutto ci fanno comprendere che esiste un mondo al di là del proprio territorio con il quale confrontarsi e dal quale attingere esperienze e novità, non importa se poi questo mondo si manifesti anche attraverso la povertà. Anche l’uomo povero ha una dignità e ricchezza di esperienza da comunicare.

Il fenomeno migratorio ha permesso al Salento di crescere, di misurare il proprio coraggio di fare solidarietà, di sapersi coalizzare nel momento della prova, di essere un modello per l’Europa, che non ha mai avuto un impatto così difficile e drammatico con l’immigrazione di massa.
Il Salento ha compreso quanto accadeva e ha fatto delle scelte, chiaramente dimostrate dalle strutture di accoglienza, che hanno manifestato nel sacrificio personale la dignità e forza morale di un popolo, anche se oggi, al di fuori dei contesti dove bisognava avere il coraggio di decidere, il facile giudizio vuol mettere in discussione ciò che nessuno ha avuto e avrebbe avuto il coraggio di fare.
Ma la storia ha sempre dato ragione al coraggio e all’umiltà, per cui tutto ciò che anche oggi si vuol fare per i poveri e per gli immigrati deve avere in sé il sapore di una storia da scrivere e raccontare, mettendo insieme l’autenticità morale e interiore, che non ha bisogno della solidarietà per affermare se stessi e fare opera di immagine, ma la solidarietà, che è solo un messaggio di crescita umana, valido per chi opera, per i ricchi e per i poveri, e soprattutto per coloro che ancora oggi nulla hanno compreso della storia, del Salento e dell’umana povertà.

   
   
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