Marzo 2003

EUROPA ALLARGATA

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Nel nome
della stabilità
Mario Sarcinelli
 
 

 

 

 

L’Europa
centro-orientale ha guardato a Occidente
per riannodare
i fili della storia,
della cultura
e dell’identità, alla
ricerca di un
modello democratico.

 

Secondo il Trattato di Amsterdam, ogni Paese che si candida ad entrare nell’Ue deve rispettare i valori fondamentali delle società politiche occidentali: libertà, democrazia, salvaguardia dei diritti umani, stato di diritto.
Nel giudizio dei responsabili dell’allargamento, «tutti i Paesi di imminente ingresso continuano ad essere in regola con i criteri politici.

Non v’è dubbio che la prospettiva di accedere alla Ue ha aiutato a stabilizzare la democrazia nell’Europa centrale e orientale».

Secondo il Trattato di Amsterdam, ogni Paese che si candida ad entrare nell’Ue deve rispettare i valori fondamentali delle società politiche occidentali: libertà, democrazia, salvaguardia dei diritti umani, stato di diritto.

Secondo il Trattato di Amsterdam, ogni Paese che si candida ad entrare nell’Ue deve rispettare i valori fondamentali delle società politiche occidentali: libertà, democrazia, salvaguardia dei diritti umani, stato di diritto. Nel giudizio dei responsabili dell’allargamento, «tutti i Paesi di imminente ingresso continuano ad essere in regola con i criteri politici. Non v’è dubbio che la prospettiva di accedere alla Ue ha aiutato a stabilizzare la democrazia nell’Europa centrale e orientale».
Nel 1993, il Consiglio di Copenaghen aveva già fissato i criteri economici e politici per i nuovi membri: una sostanziale economia di mercato, adusa alle sfide della concorrenza e delle fluttuazioni economiche; stabili istituzioni in grado di garantire un governo democratico e lo Stato di diritto, di recepire e applicare le leggi dell’Unione, di assicurare la protezione dei diritti umani e quella delle minoranze.
Sul fronte dell’economia di mercato, il progresso è visibile. Le riforme hanno avuto risultati diseguali, ma la competitività sul mercato interno è stata raggiunta in larga misura dai Dieci Paesi, grazie soprattutto alla liberalizzazione commerciale tra il Paese candidato e l’Unione: già nel 2000 i Dieci avevano contribuito per l’11 per cento circa al totale del commercio dell’Ue con Paesi terzi, contro il 6 per cento nel 1992. L’integrazione finanziaria, inoltre, aveva fatto sì che due terzi dei flussi netti di capitale provenissero dagli Stati membri dell’Ue e che gran parte dei medesimi assumesse la forma di investimenti diretti. Per quanto riguarda la crescita, i tassi sono stati e continueranno ad essere più elevati nei Dieci che nell’Ue dei 15.
Tuttavia, questo vantaggio è controbilanciato da un reddito pro-capite molto più basso: esso è pari al 39 per cento della media dei 15 calcolata in base alla parità dei poteri d’acquisto. Il differenziale di crescita a favore dei 10, secondo esercizi di simulazione condotti dagli uffici della Commissione, nel primo quinquennio dopo l’ammissione (2005-2009) dovrebbe aumentare ancora. I loro tassi di crescita dovrebbero incrementarsi di due punti percentuali l’anno, mentre quelli dei 15 beneficerebbero soltanto di uno 0,5-0,7 in più annualmente. Anche se la crescita si materializzerà e il differenziale, secondo le proiezioni, si allargherà in modo significativo, una generazione e forse più sarà necessaria per colmare il divario che oggi separa l’Ue dei 15 dai 10 nuovi adepti.

Passando alla stabilità dei prezzi, si deve sottolineare che i tassi d’inflazione e i disavanzi di bilancio sono talvolta ancora troppo alti, il che è dovuto o almeno aggravato da debolezze strutturali. Gli sforzi di monitoraggio e la “pressione dei pari” si sono rivelati utili per tenere sotto maggiore controllo queste variabili, ma azioni decise sono richieste dai singoli governi per venirne a capo. La tendenza della “core inflation” continua ad essere più alta, anche se è previsto un suo abbassamento. Va ricordato che l’ingresso nell’Europa non comporta il passaggio alla moneta unica, che dovrà essere adottata soltanto quando i 10 onoreranno i criteri di Maastricht.
Pertanto, considerato che l’ingresso dei nuovi Paesi aumenterà la popolazione dell’Unione di un centinaio di milioni di abitanti, ma il Prodotto interno lordo soltanto del 4,5-5 per cento, ne consegue che gli ulteriori benefici economici per i 15 dell’Ue saranno abbastanza modesti. Dall’allargamento deriverà loro, sì, una maggiore crescita, ma essi si troveranno esposti al rischio di una consistente immigrazione dai Paesi di nuova adesione e, soprattutto, di sostanziosi trasferimenti attraverso sia la vigente politica agricola comune (Pac) sia attraverso la politica di riequilibrio regionale.
In mancanza di una riforma della Pac, il bilancio dell’Unione, che ultimamente ha dedicato all’agricoltura 40,5 milioni di euro (45 per cento delle risorse), dovrebbe ingrossarsi di altri 10 milioni nel 2007.
La Commissione ha esposto di recente linee di riforma per restituire libertà agli agricoltori nella scelta delle produzioni in base alla richiesta del mercato, pur mantenendo sostegni al reddito agricolo e incentivi per lo sviluppo rurale. I negoziati con i nuovi Paesi non sono avvenuti su questa base. Inoltre, i Paesi che attualmente beneficiano di trasferimenti dai vari fondi strutturali rischiano di perderli per l’abbassamento del reddito comunitario pro-capite e chiedono che le regole del gioco vengano cambiate, il che non è gradito dai Paesi che sono contribuenti netti al bilancio. Non è un caso che in futuro si dovranno definire ancor meglio tre argomenti chiave del settore primario, dei fondi strutturali e del bilancio.
L’Europa centro-orientale, dopo la caduta del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Urss, ha guardato a Occidente per riannodare i fili della storia, della cultura e dell’identità; per trovare un modello democratico che stabilizzi le pulsioni di ben radicati nazionalismi in un quadro retto da regole sovranazionali e da collaborazione intergovernativa istituzionalizzata; per sentirsi parte non soltanto di un mercato unico, ma di una dimensione che sempre più si allargherà alla politica estera, alla difesa, alla sicurezza e alla giustizia. La stabilità determinata da questi sviluppi è un bene pubblico, in questo caso, internazionale. L’Europa è chiamata ad offrirla, anche se costa.

   
   
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