La tentazione
di relegare lItalia
in una posizione sempre più
mediterranea
attraversa capitali come Parigi, Vienna e Berlino.
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Lingresso nellUnione dei nuovi dieci Paesi membri
ci costerà 26 euro a testa. E il risultato della divisione
per ognuno degli abitanti della vecchia Ue dei 40,3
miliardi di euro che alimentano il pacchetto economico fissato al
vertice di Copenaghen per accompagnare la prima fase dellallargamento.
Quella che coprirà i tre anni dal 2004 ingresso effettivo
dei dieci al 2006. Ma se il calcolo matematico è esatto
ed è servito politicamente per forzare in nome della generosità
le resistenze di chi voleva risparmiare, quando si tireranno davvero
le somme economiche della costruzione della Grande Europa i costi
non saranno uguali per tutti. E non saranno uguali nemmeno i guadagni.
Governi, imprenditori, economisti stanno cercando di rispondere
a una domanda molto semplice: chi può ricavare vantaggio
e chi rischia di perdere posizioni? La risposta, tuttavia, non è
altrettanto semplice. Perché tante sono le variabili da qui
al primo maggio 2004. Molto dipenderà da quello che i Quindici
da soli e tutti insieme riusciranno a fare nellanno
e qualche mese che ancora mancano alla nascita vera e propria della
Ue a 25.
I terreni sui quali è già cominciata la corsa a riposizionarsi
sono tutti strategici. Dalla rete dei nuovi collegamenti Ovest-Est,
che sarà decisiva per i commerci, fino alla riforma della
politica agricola comune.
Se si fotografa la situazione di oggi, è evidente che i benefici
maggiori appaiono destinati alla fascia di Paesi che confinano con
i nuovi in particolare la Germania e che hanno la
maggiore forza sia produttiva sia commerciale. In questa classifica
lItalia gioca nelle posizioni di mezzo, danneggiata soprattutto
dal problema dei collegamenti: per conquistare nuovi mercati bisogna
prima raggiungerli, senza spese di trasporto eccessive.
Cè, poi, il problema dello sviluppo delle aree del
Mezzogiorno, che potrebbero perdere i fondi strutturali, che finiranno
ad Est, e che sintreccia alla grande questione agricola. Cè
il delicato capitolo del costo del lavoro, che incide sulla competitività.
E cè la concorrenza che alcuni dei nuovi Stati membri
si preparano a sferrare anche su terreni imprevisti, come i servizi
bancari.
Il muro delle Alpi, che già pesa sui traffici tra lItalia
e la Ue attuale, rischia di allontanarci dal grande mercato dellEuropa
centrale.
E vero che renderà la vita difficile anche allarrivo
dei prodotti a basso costo con i quali Polonia, Ungheria, Paesi
Baltici, Slovacchia e Repubblica Ceca sperano di entrare nel mercato
italiano. Ma, secondo i calcoli del Centro studi svizzero Litra,
ad un esportatore polacco costerà comunque meno per
effetto delle tariffe chilometriche più economiche
portare in Italia un carico di vodka di quanto non costerà
ad un esportatore italiano portare in Polonia un carico di vestiti,
tanto per fare un esempio.
Ma in ogni caso, il mercato unico europeo non può essere
strozzato da barriere di questo genere. A Copenaghen lItalia
si è battuta perché la Ue assicuri uno sviluppo
bilanciato delle reti di comunicazione transeuropee. Nel 1994
furono identificati dieci corridoi per unire Ovest ed
Est. Di questi, due interessano particolarmente lItalia: il
numero 5, da Barcellona a Kiev; e il numero 8, da Bari al Mar Nero.
Per il 5 è essenziale la collaborazione di Francia (per la
Lione-Torino), Austria e Germania (per il nuovo Brennero), ma i
nostri partner non sembrano eccessivamente interessati ad accelerare.
La tentazione di relegare lItalia in una posizione sempre
più mediterranea attraversa capitali come Parigi, Vienna
e Berlino. Con lAustria, poi, cè linterminabile
lite sugli ecopunti, che riduce il trasporto su strada.
Anche quello dei fondi strutturali è un terreno sul quale
la previsione è di perdere posizioni con lingresso
dei dieci nuovi Paesi. I fondi servono per aiutare le regioni meno
sviluppate dellUnione, ma delle 56 nuove regioni che entreranno
complessivamente, ben 52 sono sotto la media. Non solo: con lallargamento,
il reddito pro-capite dellEuropa a 25 scenderà da 23.200
a 19.600 euro. Il risultato sarà che le regioni del Mezzogiorno
italiano diventeranno statisticamente ricche e perderanno
i fondi a partire dal 2007, quando scadrà lattuale
regime. Per evitare una simile prospettiva che preoccupa
anche la Germania per i suoi Länder orientali lItalia
ha ottenuto un impegno di principio a Copenaghen. Ma la partita
resta aperta.
Ma è nel campo dellagricoltura che si attende lo scossone
più forte. Nella Grande Europa ci saranno nove milioni di
agricoltori in più e altri sessanta milioni di ettari di
superficie coltivata: quattro volte quella italiana. Quasi tutta
concentrata tra Polonia e Ungheria. Con un gran numero di addetti
per ettaro (quindici in Polonia, contro i sette in Italia) e con
salari molto più bassi. Anche con standard di produzione
soprattutto nellallevamento ancora non al livello
di quelli della Ue a 15. Nellaccordo di adesione ci sono due
anni di periodo transitorio in cui le autorità
di Bruxelles terranno sotto controllo qualità, sicurezza,
tutela delle denominazioni dorigine.
Come nel settore primario, anche nellindustria e nei servizi
la competitività dei nuovi Paesi membri è determinata
in parte considerevole da un costo del lavoro molto più basso.
Non è un caso che da molti anni imprese dei Quindici hanno
spostato parte dei loro interessi ad Est, oltre che nella più
lontana, e ancora più a buon mercato, Asia. Con lingresso
nellUnione, alla distanza, la forbice si ridurrà. Ma
certamente nellimmediato il vantaggio almeno sotto
il profilo commerciale sarà dei nuovi arrivati.
Quando si parla di Grande Europa, si dimentica spesso che i nuovi
Paesi entreranno nellUnione, ma non nelleuro. Lingresso
nella moneta comune non potrà avvenire che dopo due anni
di anticamera in un regime di cambi a fluttuazione fissa (lo 0,25
in più o in meno) che scatterà da quando i singoli
Paesi ne faranno richiesta. Ci sarà quindi un lungo periodo
di regime monetario differenziato.
Qualcuno, poi, potrebbe anche decidere di non aderire alleuro,
sullesempio di Inghilterra, Danimarca e Svezia. Il risultato:
i nuovi potranno continuare ad usare quella leva monetaria che può
dare una mano alla competitività. Soprattutto quando si tratta
di sostenere prodotti che non possono puntare su una qualità
superiore.
Ma cè di più: qualcuno sogna di entrare anche
nel dorato giro dei paradisi fiscali con attraenti politiche
bancarie. E il caso dellEstonia, che punta a rastrellare
investimenti.
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