Marzo 2003

EURO/MONTAGNE RUSSE

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Ma nessun dorma...
Alessandro Gentili
 
 

 

 

 

 

 

L’attuale forza della nostra moneta è soltanto il frutto della debolezza
del dollaro
e delle esigenze
dell’economia
americana.

 

Se alla fine del 2002 procedeva a tutto gas, all’inizio del 2003 ha messo il turbo. Almeno per i cultori dei primati, che a volte non valutano tutte le conseguenze per l’economia reale di Eurolandia, l’euro ha dato molte soddisfazioni. Dopo aver toccato gli abissi di un rapporto con la divisa statunitense di circa 0,85, l’anno scorso ha decisamente rialzato la testa e quest’anno ha sfondato quote da primato, dando tutta l’impressione di voler continuare la sua corsa senza freni; al punto che la Goldman Sachs, uno dei maggiori operatori in valute sui mercati mondiali, prevede che alla fine di quest’anno la moneta europea potrebbe apprezzarsi sul dollaro fino a quota 1,12.

Come a dire che, per comprare un euro, gli americani, che meno di un anno fa dovevano pagare soltanto 85 centesimi, dovranno sborsare un biglietto verde, più dodici centesimi.
Ma poi è per davvero un risultato del quale compiacersi, quasi si trattasse di una gara fra chi ha la moneta più forte? E’ sul serio un segno della robustezza economica in Eurolandia? E ancora, è un recupero che ci crea più vantaggi, o, al contrario, più problemi?

Stando a qualche confusa dichiarazione molto formale delle autorità monetarie europee, l’apprezzamento sulla valuta americana sarebbe il segnale evidente dell’affermazione della nuova moneta unica e della sua salute. C’è a Francoforte, del resto, chi non manca di ricordare che quando l’euro nacque come valuta virtuale, nel 1998, valeva addirittura un dollaro e sedici centesimi.
Ma la concreta realtà sembra essere meno trionfale. Primo, perché l’attuale forza relativa della nostra moneta è soltanto il frutto della debolezza del dollaro e delle esigenze dell’economia americana. Secondo, perché il bilancio complessivo fra i vantaggi e gli svantaggi di un euro così forte rischia di rivelarsi molto negativo, per non dire disastroso per tutta l’Europa, e ancora di più per l’Italia.
Chiariamo meglio questi due punti. Se il valore dell’Euro fosse solo lo specchio dello stato di salute dell’economia europea, la sua attuale quotazione dovrebbe essere molto bassa. L’economia di Eurolandia è in stallo, per non dire sull’orlo della recessione. Fa fatica la Germania, la Francia ha rallentato moltissimo, l’Italia ha un bel carico di problemi. Come dire che i tre maggiori Paesi che da soli fanno i tre quarti del prodotto interno di Eurolandia hanno le gomme a terra. Ma la sfortuna ha voluto che anche la locomotiva americana, nonostante gli sforzi fatti dalla Federal Reserve e dal governo, abbia ancora i motori a basso regime, accusando peraltro un disavanzo commerciale da far paura. Ha bisogno quindi di esportare di più e di importare di meno, riducendo il disavanzo e ridando carbone alle caldaie della sua economia.
In che modo? Il modo più semplice è proprio quello (tanto utilizzato dall’Italia negli anni passati) di indebolire la sua moneta, rendendo i suoi prodotti meno cari sui mercati esteri. Ed è proprio questa la strada scelta tacitamente dal presidente statunitense. Aiutato in questo dalla miopia della Banca centrale europea che, mantenendo i tassi di interesse europei molto più alti di quelli americani, attira capitali nella zona euro, rafforzando (troppo) la nostra valuta, indebolendo il dollaro e contribuendo anche a deprimere ancora di più l’economia europea.
E veniamo alle presunte convenienze dell’euro superstar. Con una moneta più forte, gli unici veri vantaggi per noi sono due. Il primo, quello più importante, è la riduzione dell’impatto dell’aumento del petrolio in corso, visto che lo paghiamo in dollari. Il secondo è il calo dei costi per chi si recherà per vacanza o per motivi di lavoro in tutti i Paesi nei quali si paga in valuta statunitense. Per tutto il resto, l’Europa pagherà invece un prezzo molto alto.
Visto che i consumi interni fanno fatica a crescere (per l’astenia della Banca centrale europea e per l’incapacità dei governi di varare le necessarie riforme strutturali), avrebbe bisogno di aumentare il volume delle esportazioni. E ora, invece, le esportazioni diventeranno molto meno competitive, e di conseguenza più difficili. L’economia di Eurolandia rischia pertanto di indebolirsi ulteriormente, la ripresa si allontanerà nel tempo, l’occupazione crescerà meno di quanto dovrebbe e potrebbe. E chi, come il nostro Paese, ha un’inflazione più alta e una competitività in calo, sarà costretto a pagare i costi più elevati.
Per agganciarsi al treno della ripresa non resterà che aspettare che riparta in velocità la locomotiva americana. Cosa che si verificherà, speriamo il più presto possibile, grazie proprio alla spinta del dollaro più debole. Se questo è il quadro, compiacersi dei nuovi primati dell’euro è per davvero fuori luogo.

   
   
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