Oggi ai figli di Rousseau non resta che aggrapparsi
a un altro mito, quello della Natura buona e benefica, barbaramente
violentata dalla globalizzazione.
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Un codice elementare, N30, che significa solo 30 novembre, è
ricorrente negli Stati Uniti. Mittente in rete: lassociazione
Global Trade Watch, espunta da una costola di una delle
più antiche organizzazioni in difesa dei consumatori, la
Public Citizens, fondata da Ralph Nader, colonna ormai
in disarmo del luddismo. Il testo:
Seattle, 30 novembre 1999, tre giorni di azione globale, resistenza
e festa contro il Wto (World Trade Organization). Invitiamo tutti
i soggetti dellintelligenza collettiva ad organizzare ovunque
un sistema di resistenza globale. Scioperi, marce, picchetti, occupazioni
non solo a Seattle, non solo in America, ma nellintero pianeta.
Così, si incontrano qui e là i professionisti
della contestazione, che trovano nella rivolta alle biotecnologie,
alla genetica, alla globalizzazione, lultima frontiera della
protesta sociale. Il cosiddetto popolo di Seattle è un coacervo
di personaggi, di culture, di ideologie, di passioni, omogeneo soltanto
in teoria, con un minimo comun denominatore esclusivamente nellopposizione
al libero mercato e allo spirito del capitalismo.
Sotto la patina tecnologica e globalista si cela il cuore, un po
sbrindellato, dei nemici della modernità, con
radici che vengono da lontano, visto che affondano nella repubblica
aristocratica di Platone e nelle predicazioni apocalittiche del
Medioevo, passano per i controriformisti, si fermano alla Ginevra
di Rousseau, transitano per lassoluto hegeliano, si rispecchiano
nella filosofia della storia marxiana, percorrono la società
asiatica di Lenin e giungono al Sessantotto di Marcuse.
Dopo Seattle, è il turno di Davos, Genova, Sydney, Praga,
Porto Alegre... Qualcuno, un francese dellassociazione Droits
devant, la chiama l«Internazionale antiliberalista»,
anche se nel mondo anglosassone fa presa piuttosto lespressione
«Internazionale dei cittadini». Comunque, dallaltra
parte della barricata si nota che quellInternazionale non
suona cosa del tutto nuova, e si parla di tradizionali turisti delle
cause regolarmente presentate come nobili e altrettanto regolarmente
perse, di antiamericani full time, squatter e anarchici, sindacalisti
a stelle e strisce, lobbies pesanti anche a Washington, come la
Afl, la confederazione guidata da Jimmy Hoffa jr., degli
autotrasportatori di Teamster e del sindacato dellacciaio
United Steelworkers. In aggiunta, un po di zapatisti
che hanno scoperto nel sub-comandante Marcos un surrogato di Che
Guevara, e un po di ala cattolica che riprende il verbo della
Teologia della liberazione.
Ecologia, terra e comunità. Una babele di gruppi mondiali
ha trovato nellecologia la nuova magica parola dordine
da sbandierare. Come figura di riferimento etico e sociale, il contadino
ha preso il posto delloperaio. Sulla rete, il punto dincontro
è Peoples Global Action, le cui versioni (in
inglese, francese, spagnolo, italiano, russo e tedesco) rimandano
ad una nebulosa di siti (dal WWF a Greenpeace, ma anche a People
Development Forum, ad Amici della Terra, a Rainforest Action Network,
ad Humane Society), con un credo generale semplice: Il Wto
è un governo mondiale invisibile e antidemocratico che agisce
contro il benessere delle popolazioni e dellambiente. I popoli
hanno diritto alla sovranità alimentare .
Uomo simbolo: José Bové, leader della Confédération
Paysanne Française. Si fa chiamare il contadino
e si presenta come un Vercingetorige che resiste alla penetrazione
del mercato globale fra le tribù galliche. Non potendo più
combattere un Cesare, se la prende con McDonalds. Il suo simbolismo
culturale mette insieme i miti della resistenza magica dei druidi,
lavversione per il consumismo, il sogno di una società
tradizionale fondata sulla terra e non sul commercio, lesasperazione
del concetto di naturale. La sua è la variante
antagonista della filosofia comunitaria (Amitai Etzioni,
Alasdair MacIntyre, Charles Taylor) che recupera i concetti di piccole
patrie e di identità territoriale, ma non rifiuta i
princìpi del libero mercato. Lecologismo estremista,
al contrario, tende a rappresentarsi sempre più come unalternativa
radicale al sistema, un paradigma inconciliabile con quello della
liberaldemocrazia.

Il timore è la possibilità che dalla protesta dura
si passi al terrorismo ecologista, scenario in qualche modo prospettato
da un film cult della fantascienza spazio-temporale come Lesercito
delle 12 scimmie.
Sono tornati i luddisti. Quelli che condannano la macchina che
si sostituisce alluomo. La fobia dello sviluppo tecnologico,
che nella tradizionale veste luddista crea povertà e disoccupazione,
si colora di noir esistenzialista e pesca nella letteratura cyberpunk.
Da poco è in libreria lultimo romanzo di Bruce Sterling,
Zeitgeist, lo spirito dei tempi, che rappresenta un vero e proprio
manifesto politico del nuovo ruolo sociale della fantascienza. Tuttavia,
se si vuole cogliere lo spirito cyberluddista si devono ascoltare
i testi dei Rage Against The Machine, dove per Macchina
si intende non solo la tecnologia da contrastare, ma il Sistema
nel suo complesso. Il luddismo diventa così una sorta di
umanesimo post-moderno, che punta a distruggere la cultura tecnologica
utilizzando, come antitesi interna, proprio la tecnologia. Loro
simbolo, le icone bianche rubate a Lurlo di Münch.
Marxismo virtuale. Tre nomi per capire: Noam Chomsky, Paul Krugman,
Jeremy Rifkin. Sono loro i punti di riferimento del post-capitalismo,
che punta a stabilire, nella sua forma leggera, nuove regole per
il gioco economico: La sostituzione del concetto di profitto
con quello di bisogno, il controllo democratico delle attività
economiche, lo Stato come organismo tecnico e non come strumento
di oppressione .
Le strategie e gli obiettivi dei post-capitalisti sono sintetizzate
da Bifo, al secolo Francesco Berardi, teorico della contestazione
mediatica: Il fulcro della rivolta di Seattle è lintelligenza
collettiva. Il popolo della rete ha chiamato a raccolta il proletariato
high tech, e ha creato le condizioni affinché la rivolta
deflagrasse nel cuore del sistema mediatico mondiale. Questa non
è una rivolta contro la globalizzazione. Tanto è vero
che la sua forza sta nel fatto di essere globale, di usare mezzi
globali e di sollecitare limmaginario globale. La globalizzazione
deve però essere guidata dal sapere eticamente motivato .
Lo scenario appare post-moderno, ma i princìpi sono tuttaltro
che nuovi. C è leco di quel capitalismo che dovrebbe
portare in sé i germi della propria distruzione. Musica vecchia,
suonata con altri strumenti.
Luciano Pellicani cita Nietzsche, il quale sostenne che «lIlluminismo
provoca indignazione» perché significa Modernità,
che è una rivoluzione permanente generata dal mercato, dalla
scienza, dalla tecnologia, dallindividualismo. Nessuno meglio
di Marx ha descritto la potenza, allo stesso tempo creativa e distruttiva,
della Modernità: Il continuo rivoluzionamento della
produzione, lincessante scuotimento di tutte le condizioni
sociali, lincertezza e il movimento eterni contraddistinguono
lepoca borghese da tutte le precedenti. Tutte le stabili e
arrugginite condizioni di vita, con il loro seguito di opinioni
e di credenze rese venerabili dalletà, si dissolvono,
e le nuove invecchiano prima ancora di aver potuto fare le ossa.
Tutto ciò che vi era di stabilito e di rispondente ai vari
ordini sociali svapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli
uomini sono finalmente costretti a considerare con occhi liberi
da ogni illusione la loro posizione nella vita .
Come diceva Friedrich Schlegel, Modernità significa «disincanto
del mondo», quindi vita senza valori sacri. Di qui, linvito
dellilluminista Max Weber ad accettare stoicamente il fatto
che, nellepoca della secolarizzazione, luomo è
condannato a «vivere senza Dio e senza profeti». Non
il Dio della fede (che attiene al contesto del santo),
ma larchetipo che attiene al sacro, simbolo della
tradizione circolare, immutabile, che non dà spazio allindividuo,
non lo fa protagonista della storia, che non può scegliere,
ma deve ripercorrere un tracciato già scritto.
E esattamente ciò che gli orfani di Dio
vivono come una catastrofe intollerabile. Ciò suscita in
loro una forte ira contro la rivoluzione permanente capitalistica,
che tutto travolge: istituzioni, costumi, interessi, valori, sentimenti,
e via dicendo, tutto rinnovando. Fu il Rousseau il primo a dare
dignità teorica allindignazione contro la Modernità,
e pertanto gli attuali contestatori della globalizzazione vanno
considerati come discendenti diretti del divino Jean Jacques.
Un tempo, costoro contestavano la Gesellschaft (società)
borghese in nome della Gemeinschaft (comunità) proletaria.
Guru: Herbert Marcuse, lintellettuale del Gran Rifiuto che
additava nella Ragione illuministica la perversa potenza che aveva
generato una società oscena, animata da falsi
bisogni e asservita agli imperativi funzionali dellapparato
scientifico-tecnologico.

Rovinosamente collassato il mito della Rivoluzione Totale, oggi
ai figli di Rousseau non resta che aggrapparsi a un altro mito,
quello della Natura buona e benefica, barbaramente violentata dalla
globalizzazione.
Cioè: resta inalterata la fonte esistenziale e morale della
rivolta contro la Modernità, e riemerge il desiderio romantico
di vivere in una comunità armoniosa e compatta, fondamentalisticamente
rurale, in perfetto accordo con la Natura, per la negazione di un
mondo dominato da potenze impersonali e amorali, quali il mercato
e la tecnologia scientificamente orientata. A differenza dei riformisti,
però, questi anti-global profeti della rivoluzione assoluta
non ideano i meccanismi istituzionali per disciplinare in qualche
modo il processo di modernizzazione; la loro è una protesta
globale, come globale è la rivoluzione permanente capitalistica.
E una negazione secca, che rifiuta pregiudizialmente la discussione
e il compromesso. Non è una risposta costruttiva afferma
Pellicani ma la manifestazione virulenta del disagio esistenziale
che la Modernità genera ad ogni tappa della sua metamorfosi
espansiva. E daltronde, non potrebbe essere diversamente.
Chi anela a realizzare lassoluto in terra, non può
non guardare con orrore al trionfo dello spirito borghese, come
ha sostenuto Berdjaev.
I nuovi economisti dellanticapitalismo ecologista non comprendono
la realtà perché dispongono di strumenti concettuali
inadeguati. Essi identificano il mercato con le sue rappresentazioni
neoclassiche e con la logica unidimensionale dellhomo
oeconomicus, ignorando i fondamentali contributi teorici della
scuola austriaca (si pensi, in particolare, a Ludwig von Mises).
Sulle orme di Nicholas Georgescu-Roegen, essi presumono di salvare
gli schemi della macroeconomia classica integrandoli con i cosiddetti
valori ambientali.
Anche il loro concetto di riforme è approssimato. Per gli
ambientalisti, avremmo bisogno di politiche ispirate allo sviluppo
sostenibile perché le risorse sarebbero scarse. Sfornando
montagne di cifre, dicono che lumanità avrebbe solo
tot barili di petrolio, tot tonnellate di rame, o di carbone, o
tot metri cubi di gas, e via di seguito; e che per questo motivo
sarebbe necessario limitare la libertà individuale.
Niente di meno vero. Come von Mises ha spiegato in Lazione
umana, le risorse esistono soltanto quando alcuni uomini le fanno
emergere dal nulla. Il petrolio fu un liquido nero che sporcava
il deserto, fino a quando lingegno di alcuni individui non
dimostrò che poteva essere utile per far funzionare motori
o scaldare abitazioni. Di fatto, noi non conosciamo le dimensioni
dei beni potenzialmente a nostra disposizione: essi saranno tanto
maggiori, quanto più gli uomini saranno liberi di scoprirli
e di valorizzarli.
Il piatto materialismo ecologista ignora il ruolo della creatività
individuale, e in questo modo pone le premesse a politiche autoritarie.
Non a caso gli esiti ideologici dellambientalismo sono tutti
nel solco delle peggiori filosofie della Modernità politica.
E la pratica ecologista radicale è stata ed è costantemente
ossessionata dal più funesto mito che ha dominato il Novecento:
quello della pianificazione. Ancora oggi, malgrado lesperienza
del passato, la retorica verde pretende sempre nuovi piani: locali,
territoriali, paesaggistici, urbanistici, e via dicendo.
Proprio da qui proviene la vocazione globalista dellecologismo,
secondo cui dal momento che i problemi ambientali sarebbero di dimensione
cosmica, dovremmo accettare la prospettiva di un governo unico mondiale
al più con qualche concessione per il glocale,
cioè un globale che lasci qualche spazio a dimensioni localistiche
posto a tutela delle foche monache e incaricato di perseguire
duramente ogni profanatore della biosfera. Dietro agli incontri
di Rio e di Kyoto è facile scorgere lombra inquietante
di una simile prospettiva orwelliana.
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