E una prospettiva che può far mutare
la decisione
di rimettere il sogno nel cassetto,
di rinunciare
a diventare un Erasmuss boy.
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Partì a modesta velocità e in punta di piedi. Ora
corre. Per il prossimo avvenire promette di volare.
Parliamo di Erasmus, uno dei fiori allocchiello di quellEuropa
utile impegnata cioè a migliorare le condizioni
di vita dei propri cittadini di cui ci stiamo occupando in
questa rubrica della nostra Rivista. E il programma che offre
agli studenti universitari di 31 Paesi i 15 dellUnione,
i 13 candidati allallargamento, i 3 (Islanda, Liechtenstein,
Norvegia) dello Spazio Economico Europeo la possibilità
di fare unesperienza di studio e di vita oltre frontiera:
esattamente in un Paese europeo diverso da quello di normale residenza.
Al suo debutto, nel 1987, ebbe soltanto 3 mila adesioni (di cui
appena 220 in Italia). Adesso gli studenti che partecipano annualmente
alliniziativa sono in media 120 mila (di cui 12.421 italiani).
E presto dovrebbero essere molti di più. Qualche mese fa,
lo scorso ottobre, nel festeggiare il milionesimo studente di Erasmus,
Viviane Reding, il commissario europeo per listruzione e per
la cultura, ha previsto che entro il 2010, in circa otto anni, il
numero complessivo dei giovani che hanno aderito al programma dovrebbe
salire a 3 milioni, avere dunque una crescita media annua di poco
meno di 300 mila giovani. Il che vuol dire moltiplicare per cento
i numeri del 1987 e raddoppiare abbondantemente quelli di oggi.
Un bel successo: che potrebbe essere anche maggiore se si eliminassero
o si riducessero i problemi che continuano a tenere lontani da Erasmus
un certo numero di studenti europei. Vedremo tra poco quali sono
questi problemi.
Prima, però, completiamo il quadro di successi di Erasmus
aggiungendo un altro dato: sono arrivate a 1.800 le università
europee che collaborano al programma. E assieme a quella
degli studenti partecipanti davvero una bella cifra. E dà
un solido argomento in più alle istituzioni dellUnione
per proclamare Erasmus un grande successo della politica dellEuropa
utile.
E un giudizio che trova noi, e assieme a noi molti altri,
pienamente consenzienti. Ma che deve essere completato da una considerazione:
si poteva e si può ancora oggi fare molto di più.
Nel 1987 erano pochissimi gli studenti universitari europei che
conoscevano Erasmus per nome e cognome. In buona parte delle università
le circolari e gli opuscoli su questo programma spesso e volentieri
finivano negli archivi delle segreterie se non nei cestini!
senza essere portati allattenzione degli studenti.
I mezzi di comunicazione davano sullargomento rare, scarse
e talvolta poco chiare informazioni. Da qualche anno non è
più così. Le università che collaborano alliniziativa
sono ora lo abbiamo visto un numero imponente. Qualche
notizia su Erasmus comincia a far breccia nel silenzio dei giornali
sullargomento. E i giovani che navigano su Internet trovano,
su questo programma, unampissima informazione (soprattutto
sui siti della Commissione Europea e delle maggiori università).
Nonostante questi rilevanti progressi, non si può però
ancora dire che la possibilità di conoscere bene Erasmus
e quindi di apprezzarlo sia a disposizione di tutti gli studenti
europei. In qualche università le informazioni sul programma
sono ancora insufficienti. Oppure non sono sostenute con valutazioni
incoraggianti da parte dei docenti: con la conseguenza quando
questo accade che tra gli stessi giovani che, con qualche
difficoltà, riescono a mettere insieme unadeguata quantità
di notizie, non pochi finiscono con il dare attenzione e interesse
più ai sacrifici che ai vantaggi e si tirano indietro dopo
aver fatto somme e sottrazioni e aver visto o creduto di
vedere un totale in rosso.
E una reazione comprensibile dato che, realisticamente, Erasmus
non è fatto per gli stomaci delicati. Al programma si accede
per concorso. Sullesito della prova pesano il rendimento scolastico
e le attitudini dei candidati: quindi i somari e gli scansafatiche
sono esclusi a priori. Chi è ammesso deve addestrarsi a spaccare
il centesimo in quattro per tutta la durata della trasferta (da
un minimo di tre mesi a un massimo di un anno), salvo che non abbia
parenti o amici con conti in banca di tutto rispetto.
Accade perché Erasmus non offre una paga ma una paghetta.
Nel 2002 è stata di 140 euro (271 mila vecchie lire) al mese.
A tale modestissima somma data in effetti solo per pagare
i viaggi e le piccole spese si aggiungono contributi da parte
delluniversità da cui il giovane proviene e facilitazioni
varie da parte delluniversità che lo ospita (tra le
altre, lesenzione dal pagamento delle tasse di frequenza,
la mensa, in qualche caso lalloggio). Unassociazione,
costituita da giovani che in passato hanno partecipato a Erasmus,
è pronta, in ogni Paese, ad assistere chi si trova in difficoltà,
dandogli ad esempio indirizzi di negozi, ristoranti e ostelli dove
è possibile ottenere sconti, aiutandolo eventualmente a trovare
un lavoro part time, eccetera eccetera.
Tutto questo permette allo studente di rimpolpare, con qualche altro
soldo o benefici vari, la paghetta di Erasmus. Non gli dà
però la possibilità di nuotare nelloro. Coloro
che non possono contare su un adeguato soccorso da parenti o amici
devono rassegnarsi a stringere la cinghia. E se, per caso, non conoscono
o conoscono maluccio la lingua del Paese che li ospita rischiano
anche di andare incontro a limitate possibilità di apprendimento.
E una prospettiva che a molti sembra scoraggiante e che può
far maturare la decisione di rimettere il sogno nel cassetto, di
rinunciare a diventare un Erasmuss boy (o girl).
A meno che non si guardi in profondità nel pacchetto del
programma e non si scopra che oltre agli svantaggi esistono i vantaggi
e che questi ultimi sono notevoli. E quanto ha fatto, fa o
si appresta a fare un numero consistente di giovani: 1 milione finora,
3 milioni secondo la previsione di Viviane Reding
entro il 2010.
A prezzo di sacrifici notevoli, affrontando difficoltà di
vario genere, superando le proprie stesse perplessità e anche
qualche inevitabile momento di delusione e scoraggiamento, questi
giovani, studiando e vivendo per alcuni mesi a Londra, Parigi, Berlino,
Amsterdam, Copenaghen, o in altre città europee, fanno esperienze
scolastiche che, al ritorno al proprio Paese, sono accreditate nei
loro curricula e, in molti casi, influiscono positivamente sui giudizi
finali dei docenti. Acquisiscono una conoscenza, dal di dentro,
della cultura e della società dellUnione. Infine hanno
accesso a una sorta di corsia preferenziale verso il mondo del lavoro.
In una ricerca sui primi anni di Erasmus pubblicata in Gran Bretagna
nel 1996 si affermava che, specie tra gli studenti che avevano preso
parte al programma per periodi medio-lunghi (da sei mesi a un anno),
il numero di coloro che avevano trovato unoccupazione era
nettamente superiore a quello dei ragazzi e delle ragazze che non
erano stati coinvolti dalliniziativa. Questo, secondo la stessa
ricerca, grazie alle conoscenze e competenze internazionali acquisite
partecipando a Erasmus.
Alcuni dati raccolti nel corso della stessa indagine (basata essenzialmente
su interviste fatte a studenti) permettevano di capire meglio perché
il programma europeo avesse creato molte occasioni di lavoro. Un
terzo degli ex studenti di Erasmus aveva ricevuto offerte di occupazione
dallestero, metà tra costoro erano stati contattati
da imprese del Paese che li aveva ospitati durante la trasferta
di studio. Il 71 per cento infine era stato assunto da aziende impegnate
a diffondere i loro prodotti o servizi in campo internazionale.
Da tali dati nella sostanza confermati da altri riferiti
al periodo più recente di Erasmus esce il più
positivo e il più importante dei verdetti sul programma europeo,
presentandolo come una chiave che può aprire con una certa
facilità, per chi la sa usare, le porte del mondo del lavoro,
chiuse inesorabilmente invece per milioni e milioni di altri giovani.
Secondo Eurostat, listituto di statistica dellUnione,
la disoccupazione sta diminuendo, sia pure di pochissimo, nellEuropa
comunitaria. Ma non per i giovani. Tra chi ha unetà
tra i 15 e i 25 anni, ed è dunque nel momento della vita
in cui si entra o si è appena entrati nel mercato del lavoro,
i disoccupati residenti nei 12 Paesi delleuro sono aumentati,
nellultimo anno, dal 15,6 al 16,1 per cento, mentre nel complesso
dei 15 Paesi dellUnione Europea, nello stesso periodo, i giovani
senza lavoro sono saliti dal 14,6 al 15,1 per cento.
Siamo di fronte alla conferma di una brutta, preoccupante tendenza:
la crescita della disoccupazione giovanile. Ma lo scopriamo mentre
ci troviamo davanti ad altri dati, secondo i quali questa tendenza
risparmia i giovani di Erasmus o, come minimo, rispetto ai loro
coetanei, li coinvolge in misura minore.
Dovrebbe bastare questo per far aumentare i consensi al programma
europeo, per rendere credibile la veloce e spettacolare crescita
delle partecipazioni che Viviane Reding ha previsto quando ha detto
che, entro il 2010, gli Erasmuss boys and girls
arriveranno a tre milioni.
Certo, il risultato sarebbe facilitato e potrebbe addirittura superare
gli odierni preventivi se qualche difetto di cui oggi soffre il
programma venisse eliminato o almeno ridotto.
Non si tratta di dare libero ed entusiastico accesso ai somari e
agli svogliati che, comunque, con o senza partecipazione a Erasmus,
dovranno fare salti mortali doppi o tripli per trovare un lavoro
dopo la conclusione degli studi.
Si tratta di rendere meno accidentata la strada a beneficio di chi
ha volontà e attitudini. Ad esempio, come suggerisce il commissario
Reding, sarebbe opportuno e giusto che i governi nazionali e le
grandi imprese private provvedessero a far crescere, con propri
contributi, i modestissimi e inadeguati fondi europei destinati
alle spese di trasferta dei giovani partecipanti. E sarebbe utile,
come ancora la signora Reding propone, un numero di gemellaggi tra
università europee superiore allattuale.
Essenziale, anzi decisiva, sia a livello europeo sia nei singoli
Stati, appare infine un insieme di iniziative che permetta di ampliare
e migliorare, almeno tra i giovani, la conoscenza di più
lingue: come è stato chiesto, reclamato in centinaia e migliaia
di convegni (ad esempio, quelli svoltisi nel 2001, Anno europeo
delle lingue) senza tuttavia, finora, ottenere su questa materia
risultati apprezzabili.
E un insieme di imprese non facili. Ma erano e non sono imprese
facili neppure listituzione delleuro, la creazione di
un Mercato Unico, lallargamento progressivo dellUnione
dai 6 Paesi del 58 ai 15 di oggi, ai 25 di domani e ai 28
di dopodomani. Tuttavia, questi e altri traguardi sono stati o saranno
raggiunti. Accadrà lo stesso per la crescita di Erasmus,
uno dei capolavori dell Europa utile? Uniamo realismo
e ottimismo: e diciamo che ci sono molti elementi per rispondere
sì.
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