Marzo 2003

INNOVAZIONE PER LO SVILUPPO

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La sfida delle imprese
Edoardo Damiani - Gian Marco Moretti
 
 

 

 

 

Un sistema
produttivo povero
di imprese medie
e grandi è un sistema poco competitivo,
e anche la piccola
industria rischia
di vedere ridotti
i propri margini
di profitto.

 

La competitività delle imprese italiane è sempre più a rischio sui mercati globali. Le analisi condotte di recente sullo stato dell’economia italiana non lasciano dubbi: il nostro Paese sta perdendo quote di mercato sul PIL mondiale più rapidamente di qualsiasi altra nazione industriale sviluppata. Nel 1980 l’economia italiana pesava per il 4,23 per cento sull’economia-mondo; vent’anni più tardi questa percentuale era scesa al 3,53 per cento.
La classifica ha evidenziato una perdita di competitività per il sistema-Paese principalmente in base a tre direttive: la tecnologia (39° posto), le istituzioni pubbliche (37° posto), il contesto macro-economico (27° posto). Questi dati devono essere il punto di partenza di una riflessione per chiunque, a diverso titolo, abbia a cuore il futuro del Paese. La progressiva apertura e la concorrenzialità dei mercati legano sempre più le potenzialità di crescita dei sistemi territoriali alla loro capacità di attrarre investimenti e persone. Per questo si impone oggi un deciso rilancio dell’Italia su scala globale.

Qualche tempo fa, una lucida analisi del sistema americano, condotta da Michael Porter, affermava che l’aspetto centrale dello sviluppo economico è da identificare nella creazione delle condizioni per un rapido e sostenuto miglioramento dell’economia nazionale. Il basso tasso di crescita delle nostre imprese sembra confermare l’assenza quanto meno parziale di tali condizioni.
La grandezza media delle imprese è diminuita in tutte le economie industriali, per mutamenti strutturali nell’organizzazione produttiva, ma in Italia il fenomeno è stato tanto pronunciato da divenire un’anomalia. Le imprese con meno di dieci addetti danno oggi impiego a una quota dell’occupazione totale doppia della media europea (più del 45 per cento). In circa vent’anni l’occupazione delle imprese manifatturiere con più di 500 addetti è scesa intorno al 15 per cento del settore, dimezzando la propria incidenza; è del 56 per cento in Germania e del 43 per cento in Francia. Le imprese medie, tra 100 e 400 addetti, rappresentano soltanto il 10 per cento del totale, contro il 17,5 per cento in Germania e il 16 per cento in Francia.
Il relativo declino dell’industria di grande e media dimensione è nocivo alla crescita della competitività, perché dimensione aziendale, innovazione e sviluppo economico tendono a muoversi insieme. La grande innovazione industriale nasce da un tipo di ricerca che è prerogativa della grande impresa: circa l’80 per cento della ricerca industriale italiana si fa in imprese con oltre 500 addetti, mentre è quasi irrilevante l’attività nelle aziende al di sotto dei 50 addetti. Conseguenza del declino dell’industria media e grande è un minor contributo dei beni ad alta intensità tecnologica e una minore propensione ad investire in ricerca e sviluppo (meno della metà rispetto alla Francia e alla Germania). Un sistema produttivo povero di imprese medie e grandi, di ricerca e concentrato su produzioni a bassa intensità tecnologica, è un sistema poco competitivo, e anche la piccola industria, che pure ne costituisce l’elemento di forza, rischia di vedere ridotti i propri margini di profitto. Affinché si avvii un graduale riequilibrio della struttura industriale italiana, occorre allora che, negli anni a venire, cresca il numero delle imprese che da medie diventano grandi, e cresca il numero delle piccole che diventano medie.
Esistono tuttavia in Italia fattori che limitano le capacità di sviluppo delle imprese: dal diritto societario alla pressione fiscale. Una strada sicuramente da battere è quella delle liberalizzazioni, dal mercato del lavoro a quello dei prodotti e dei servizi. Fra i Paesi avanzati, il nostro è quello a più alta regolamentazione: c’è stata una riduzione, ma inferiore rispetto a quella intervenuta negli altri Paesi.
Non dimentichiamo che il programma di privatizzazione intrapreso nel ‘92 ha svolto un ruolo molto importante nel processo di rientro del debito. I proventi realizzati dalle dismissioni sono stati impiegati nel riacquisto di titoli del debito pubblico, contribuendo in maniera rilevante al processo di riduzione del debito in rapporto al PIL.
Esiste poi un ruolo di primaria importanza che il sistema finanziario può svolgere – e di fatto svolge – nel determinare la competitività dell’Italia.
Uno dei principali fattori critici di competitività del sistema-Paese è infatti rappresentato dal peculiare tessuto economico costituito da aziende snelle, con forti potenzialità di sviluppo. A tal proposito, le forme più efficaci per favorire l’afflusso di capitali di rischio alle piccole e medie imprese si stanno affermando nella forma di quelle definite dagli anglosassoni come “pro-public”; si tratta della sottoscrizione di titoli rappresentativi di capitali di rischio da parte di merchant bank, società di venture capital e fondi chiusi. La peculiarità di questi investitori istituzionali va identificata nel fatto che essi non si limitano all’apporto di risorse finanziarie, ma assistono l’azienda anche nei suoi programmi di sviluppo e possono arrivare ad accompagnarla fino alla quotazione, fornendole servizi reali, supporto, consulenza e soprattutto offrendo un contributo culturale volto ad aiutare il management e la proprietà ad adattare la propria mentalità alle esigenze di una più ampia base societaria.

Tali forme di investimento sono essenziali per la crescita delle piccole e medie imprese, obbligate a raggiungere le dimensioni richieste dai processi economici in atto a livello mondiale per azione della competitività del mercato. In questo senso, le attività legate alla gestione di servizi finanziari diventano un fattore critico di successo, tenuto conto di quell’insieme di vincoli-opportunità rappresentati dal processo di globalizzazione.
L’attività di investimento contribuisce, in altre parole, allo sviluppo del sistema industriale e dell’economia nel suo complesso, selezionando imprese a rapido tasso di crescita e fornendo loro il capitale necessario a svilupparsi. Una ricerca sul territorio europeo ha dimostrato che le imprese venture backed:

• sono ad alto tasso di sviluppo;
• creano nuovi posti di lavoro;
• effettuano considerevoli investimenti;
• perseguono strategie di sviluppo a livello internazionale.

I dati della ricerca confermano l’influenza decisiva degli investimenti nel capitale di rischio sui fattori chiave che generano lo sviluppo economico.
D’altra parte, le attività degli investitori istituzionali hanno un’influenza diretta su un altro elemento fondamentale della competitività di un Paese: l’innovazione tecnologica.
L’Italia è la prima in Europa per la nascita delle nuove imprese: sono 200 mila l’anno. Ma una specifica ricerca ci dice che siamo gli ultimi nella trasformazione delle aziende da piccole a medio-grandi. Uno dei motivi è che le nostre nuove imprese non nascono da un forte contenuto di innovazione tecnologica, mentre la crescita è sempre favorita dalla tecnologia.
La creazione delle condizioni per innovazioni tempestive a livello di mercato è tuttavia subordinata all’esistenza di soggetti che sostengono tale sviluppo attraverso l’apporto di capitale e di know how.
Le Pmi stanno dimostrando di non essere una specie in estinzione che deve essere in qualche modo tutelata, ma un insieme di organismi capaci di grande flessibilità e adattabilità alle condizioni di mercato, e quindi in grado di contribuire alla crescita se messe in condizioni di operare in un contesto ambientale favorevole.
Se tale modello trova nell’accesso al mercato dei capitali in modo efficiente il proprio punto critico, appare evidente come la finanza possa fare molto creando i mezzi, le forme e i nuovi strumenti per permettere alle Pmi di attingere in modo sempre più semplice e conveniente agli ingenti capitali necessari per vincere la sfida della globalizzazione.

L’essenza dell’impegno sta nel trovare nuove vie. Le condizioni macroeconomiche di mercato che si prospettano all’orizzonte sono di estrema incertezza e rendono difficile l’interpretazione di scenari futuri. Tuttavia, un atteggiamento ottimista può generare flussi dinamici di possibilità, dando vita a nuove soluzioni e creando nuovi orizzonti.
Accompagnare le imprese nel loro percorso verso la competitività internazionale è un impegno. Creare un ambiente favorevole a questo processo è un dovere.

   
   
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